domenica 13 novembre 2011

AFRODITE (VENERE)


Era la dea dell’amore, del desiderio, della fecondità. Identificata a Roma con Venere, un’antica divinità italica, con la sua bellezza ammaliava uomini e dèi, scatenando attrazioni fatali in chiunque la incontrasse. Eppure anche per lei, talvolta, il dolce ardore della passione poteva avere qualche risvolto amaro.
Affascinante, sensuale, seducente, ma anche volubile e capricciosa, Afrodite era ritenuta dagli antichi una dea “pericolosa”. La sua bellezza, infatti, aveva il potere di risvegliare gli aspetti più istintivi e irrazionali dell’animo umano, scatenando passioni e gelosie che spesso avevano un epilogo tragico.

GENEALOGIA DI AFRODITE

Sulla nascita di Afrodite esistono due diverse tradizioni: la più antica risale a Omero e fa della dea dell’amore la figlia di Zeus e Dione, una misteriosa divinità nata dalle nozze tra Urano e Gaia.
Nella Teogonia di Esiodo, invece, si sostiene che Afrodite nacque dalla spuma del mare fecondata dai genitali di Urano quando questi fu evirato dal figlio Crono. Secondo questa versione del mito, Afrodite, una volta emersa dalle acque, sarebbe stata trasportata dagli Zefiri fino a Citera, e poi di lì a Cipro, dove avrebbe toccato per la prima volta la terraferma facendo spuntare una tenera erba sotto i suoi piedi.
Una versione alternativa vuole invece che Afrodite sia nata in una conchiglia, e che all’interno delle sue valve sia stata trasportata sulla spuma del mare fino a Citera.
In quanto dea dell’amore, Afrodite ebbe molte avventure, e altrettanti figli. Di questi nessuno nacque dal suo matrimonio sfortunato con Efesto, dio del fuoco. Numerosi furono invece i figli generati dalla sua relazione con Ares, tra cui Eros, Phobos (la Paura) e Armonia, “colei che riunisce”. Dalla sua relazione con Anchise nacque invece Enea, l’eroe troiano a cui il latino Virgilio attribuiva la fondazione di Roma.

DOPPIA NATURA

Il culto di Afrodite nel mondo classico ha probabilmente radici remote. Si ritiene infatti che nella figura della dea emersa dalla spuma del mare riecheggino antiche mitologie orientali. In particolare Afrodite è spesso assimilata ad Ashtoret (o Astarte), la Grande Madre fenicia, adorata da tutti i popoli di lingua semitica e legata ai riti di fertilità e desiderio. Come Astarte (e ancor più come la sua antesignana, la babilonese Ishtar), anche Afrodite è in qualche misura una divinità a due facce: da un lato benefica, in quanto connessa ai riti di amore, pietà e maternità; dall’altro terribile, poiché legata alle forze più oscure della Terra (da qui la sua identificazione a Sparta, a Cipro e sull’isola di Citera, con la dea della guerra). Questa dualità si riflette anche nella personalità di Afrodite che emerge dai miti: se nella maggior parte dei racconti Afrodite è celebrata per la sua bellezza e seduttività – così irresistibile da soggiogare persino il padre Zeus – in altri casi il suo potere sugli altri assume forme brutali e vendicative. Così per esempio, Afrodite è ritenuta da molti autori responsabile della morte di Ippolito, colpevole solo di essersi consacrato ad Artemide e non a lei.
E nel mito ovidiano di Eros e Psiche, la gelosia nei confronti della bellissima fanciulla amata dal figlio induce Afrodite a sottoporla a ogni sorta di tormenti.
Anche per la latina Venere, che prima dell’influenza greca era una divinità secondaria del pantheon romano, la dualità è un aspetto costitutivo della sua natura. E tuttavia nell’Urbe la dea dell’amore assume anche un’inedita valenza politica. Venere infatti inizia a essere venerata come patrona della gens Iulia (la stirpe imperiale) e come madre di Enea, il fondatore di Roma. E in tale veste acquisisce il ruolo di protettrice dell’impero, una funzione pubblica che alla greca Afrodite non è mai stata concessa.


L’AMANTE INQUIETA

Attorno alla figura di Afrodite sono sorte diverse leggende, non riconducibili a un corpus unitario ma frammentarie e spesso contraddittorie. Molte prendono spunto dall’infelice matrimonio della dea con Efesto, lo storpio dio del fuoco, a cui il padre l’aveva destinata a sua insaputa. Per sfuggire alla gabbia di un matrimonio combinato, Afrodite tradì il marito con un gran numero di amanti, e soprattutto con Ares, che amò di una passione infuocata. Al dio della guerra Afrodite restò fedele anche dopo che il marito, avendola sorpresa a letto con il rivale, intrappolò i due amanti con un’invisibile rete metallica e li espose alla derisione degli altri dèi. Un’umiliazione che spinse Afrodite a trascorrere un periodo di esilio a Cipro, la sua isola preferita, lontano dagli occhi di tutti; ma che non le impedì, una volta tornata sull’Olimpo, di riprendere le sue tresche amorose con gli altri dèi, tornando a tradire il marito, oltre che con Ares, anche con Dioniso ed Ermes.
Non solo, la dea ebbe anche diverse avventure (per la verità non tutte a lieto fine) con umani, tra cui i bellissimi Adone e Anchise.
Accanto ai racconti di soggetto erotico, il corpus mitologico su Afrodite ne propone poi altri di contenuto più cupo, spesso volti a sottolineare la natura vendicativa della dea. Così, quando le donne dell’isola di Lemno smisero di adorarla, la dea le punì affliggendole con un odore nauseabondo che indusse i mariti a lasciarle e a tradirle con prigioniere tracee. E quando le figlie di Cinira, re di Cipro, la disonorarono con il loro comportamento, ella le castigò costringendole a prostituirsi con stranieri. Al pari degli altri dèi dell’Olimpo, Afrodite partecipò poi alla guerra di Troia, nella quale parteggiò per i Troiani. Il suo favore non salvò la città dalla rovina, ma permise almeno alla stirpe troiana di sopravvivere, grazie a Enea che Afrodite protesse nella sua fuga verso Roma.

L’INGANNO AD ANCHISE

Innamoratasi del bel pastore Anchise, Afrodite, per non intimorirlo, si finse una principessa frigia, e in tale veste lo sedusse e lo amò. Poi, quando Anchise scoprì l’inganno, lo rassicurò circa il suo destino (il giovane, infatti, temeva di essere punito da Zeus per aver amato un dea) e gli annunciò che il figlio nato dalla loro unione avrebbe conquistato gloria eterna.

BELLO DA MORIRE

Già in fasce Adone era così bello che Adrodite, vedendolo, lo volle tenere con sé. In seguito la dea si invaghì del giovane e ne fece il suo amante. E forse proprio questa sua scelta costò la vita ad Adone, incornato da un cinghiale che, secondo la leggenda, fu aizzato contro di lui da Ares, geloso del favore accordato da Afrodite al pericoloso rivale.


PIGMALIONE E GALATEA

Nelle sue Metamorfosi Ovidio racconta il mito di Pigmalione, antico re di Cipro che si innamorò della statua di donna da lui stesso scolpita. Folle d’amore per quella scultura, Pigmalione supplicò infine Afrodite di dare vita alla sua creazione. Preghiera che la dea esaudì, facendo sì che la statua si trasformasse in una donna in carne ed ossa. Pigmalione la sposò e dall’unione tra il sovrano e Galatea (questo il nome della donna) nacque una figlia, che a sua volta generò Cinira, fondatore nella città di Pafo di uno dei più importanti santuari greci consacrati ad Afrodite.

SEDUZIONE PERICOLOSA

L’archetipo di Afrodite quale femme fatale seducente a al tempo stesso pericolosa non ha mai cessato di affascinare artisti e poeti. Tra Medioevo e (tardo) rinascimento, per esempio, la dea è tra le protagoniste di opere di grande ambizione come La Teseide di Giovanni Boccaccio, I Lusiadi di Luis Vaz de Camoes, e Venere e Adone di William Shakespeare. Per non parlare della sovrabbondante produzione pittorica incentrata sulla dea, tra cui dipinti di Andrea Mantegna, Giorgione, Tiziano e Sandro Botticelli. Nell’Ottocento romantico la dea dell’amore viene celebrata da Ugo Foscolo nel poemetto incompiuto Le Grazie. Più dissacrante la rivisitazione del mito effettuata nel 1932 da Salvador Dalì, che ridipinge la Venere di Milo (la più celebre statua classica su Afrodite) trasformandola in una bellezza surreale con cassetti a scorrimento.