martedì 26 luglio 2011

TESEO


E' uno dei grandi eroi del mondo classico, il "rivale" ateniese di Eracle, il cui mito era nato invece nell'area del Peloponneso. Protagonista di un'infinità di battaglie, avventure e imprese (tra cui la celebre uccisione del Minotauro), fu onorato dai suoi concittadini anche come padre della patria, fondatore della potenza ateniese e riformatore delle istituzioni pubbliche cittadine.
Teseo era considerato dai greci il padre di Atene, una città che non aveva fondato ma che, secondo la tradizione, aveva rinnovato e reso grande. Alle sue imprese si facevano risalire l'espansione territoriale di Atene e il suo dominio sull'Attica. Dall'azione politica di Teseo si pensava discendessero invece le istituzioni della democrazia greca.

GENEALOGIA DI TESEO

Esistono due diverse tradizioni sulla nascita di Teseo. La più accreditata fa dell'eroe attico il figlio di EGEO, antico re di Atene, e di ETRA, principessa di Trezene e discendente, attraverso il nonno PELOPE, dal grande ZEUS. Secondo questa tradizione, il concepimento di Teseo sarebbe stato il frutto di un inganno: Egeo, infatti, non riuscendo ad avere figli, si era rivolto all'oracolo di Delfi, che, però, gli aveva risposto in modo oscuro. Il re ateniese, in cerca di conforto, si recò dall'amico PITTEO, re di Trezene, il quale approfittò dello scoramento del sovrano per farlo ubriacare. Poi ordinò alla figlia Etra di trascorrere una notte con lui. Dalla loro unione nacque un figlio, che venne chiamato Teseo. Un'altra versione dei fatti sostiene però che Etra, ispirata da un sogno inviatole da Atena, la notte stessa in cui si congiunse con Egeo andò a offrire sacrifici sull'isola di Sferia, al largo di Trezene. Lì fu sorpresa da POSEIDONE, dio del mare, che la prese con la forza e la ingravidò. L'eroe attico, secondo questa variante del mito, avrebbe dunque due padri: uno umano, Egeo (da cui la sua natura mortale), e l'altro divino, Poseidone, che gli avrebbe trasmesso una forza e un coraggio eccezionali.

LONTANO DAL PADRE

Malgrado attendesse da tempo la nascita di un erede, Egeo non portò con sè ad Atene Teseo. Temeva infatti che i suoi 50 nipoti, detti Pallantidi, sentendosi esclusi dalla successione attentassero al suo trono e cercassero di uccidere il neonato. Teseo crebbe perciò a Trezene, sotto la tutela del nonno Pitteo, affidato alle cure della madre Etra e dei migliori precettori. A sette anni, in occasione di una visita di Eracle alla città, diede per la prima volta prova del suo valore: un giorno in cui il celebre ospite era a colloquio con il nonno, e aveva abbandonato in una sala la pelle di leone che usava come manto, Teseo, scambiandola per un leone vero, le si avventò contro come una furia, colpendola ripetutamente con una spada. In seguito Teseo, ormai adolescente, si recò a Delfi consacrandosi al dio Apollo. Al suo ritorno a Trezene, la madre gli svelò la verità sulle sue origini. Etra lo condusse in un luogo segreto, dove Egeo, prima di partire, aveva nascosto dietro un masso una spada e un paio di sandali. E gli raccontò di come lo stesso Egeo le avesse raccomandato di non svelare quel nascondiglio al figlio se non quando questi fosse stato abbastanza forte  per spostare da solo il masso. Ora quel momento era giunto, disse Etra a Teseo. E lo invitò a recuperare la spada e i sandali lasciati per lui dal padre.

LA SPADA SOTTO LA ROCCIA

Non senza fatica, Teseo scostò il masso indicatogli dalla madre e si appropriò della spada e dei sandali che il padre gli aveva lasciato. Poi partì per Atene, incurante degli inviti di Etra a essere prudente. Ansioso di emulare le gesta di Eracle, egli non prese neppure in considerazione l'ipotesi di raggiungere Atene via mare. Preferì invece muoversi a piedi, incamminandosi lungo un sentiero infestato da briganti.


IL LETTO DI PROCUSTE

Nel corso del suo viaggio verso Atene, Teseo affrontò e soppresse diversi briganti. Uno su tutti, Procuste (o Damaste), il crudele gigante che legava i passanti a un letto e poi li "adattava" alla sua misura tagliandoli o stirandoli secondo necessità. Teseo sconfisse Procuste in un furibondo duello, poi, con spietato contrappasso, lo uccise segandogli le gambe.

L'ARRIVO AD ATENE

Dopo aver ripulito l'Attica dai suoi briganti, Teseo giunse in incognito ad Atene, con l'intenzione di incontrare al più presto il padre Egeo. Ma questi, all'epoca, era in balia della sua amante, la maga Medea, che intuì l'identità del giovane e fece il possibile per eliminarlo. Per prima cosa gli ordinò di catturare il toro di Maratona, un mostruoso bovino che Teseo soggiogò a mani nude e trascinò poi con una corda fino ad Atene. Medea allora rivide i suoi piani, e convinse Egeo a offrire un grande pranzo in onore di Teseo. Poi, con il consenso del re (che temeva quel giovane così valoroso), porse all'eroe una coppa di vino avvelenata. Prima di berlo, però, Teseo estrasse come per caso la spada di Egeo e questi, riconoscendola, si gettò al collo del figlio, scagliando lontano la coppa avvelenata. Teseo ottenne così gli onori meritati, mentre Medea, smascherata, dovette andare in esilio.

SUL TRONO DI ATENE

Poco dopo essersi reincontrato con il padre, Teseo compì la sua impresa più celebre: si recò a Creta e uccise il Minotauro, il mostruoso uomo-toro a cui, ogni anno, Atene doveva versare un odioso tributo di sangue. Poi rientrò in patria, ma, al suo arrivo in porto, si scordò di sostituire le vele nere con quelle bianche, segno di vittoria. Egeo pensò così che il figlio fosse morto e si gettò dalle mura cittadine. Il suo suicidio spinse Teseo sul trono, inaugurando un'epoca di sostanziali cambiamenti. In primo luogo Teseo realizzò il "sinecismo", ovvero unificò le diverse borgate dell'Attica nello stato di Atene. Istituì inoltre le Feste Panatenee, simbolo della raggiunta unità politica, e divise la società  in tre classi: nobili, artigiani e coltivatori. Infine pose le basi delle future istituzioni democratiche di Atene. L'intensa attività di governo non distolse comunque Teseo da guerre e avventure: dopo aver assoggettato la città di Megara, egli affrontò e vinse le Amazzoni, infuriate perchè l'eroe aveva rapito e sposato una di loro, Antiope. Con l'amico Piritoo, partecipò inoltre alla guerra tra Lapiti e Centauri, scatenata dal tentativo di stupro di Ippodamia da parte di un Centauro, e si spinse fino negli Inferi, dove fu liberato da Eracle dopo una lunga prigionia. Al suo rientro in Atene, trovò una situazione profondamente mutata: le fazioni politiche si contendevano il potere e lui stesso era stato di fatto esautorato. Disperando di poter riaffermare la sua autorità, si recò in esilio sull'isola di Sciro, dove il re Licomede dapprima gli si finse amico, ma poi lo uccise facendolo precipitare da una rupe. Le sue spoglie rimasero a lungo insepolte, finchè non vennero riportate ad Atene e inumate in un tempio ai piedi dell'Acropoli. Iniziò allora il culto degli Ateniesi per Teseo, venerato come protettore della città: si raccontava addirittura che, durante la battaglia di Maratona, egli fosse apparso ai soldati ateniesi, trascinandoli con i suoi incitamenti alla vittoria sui Persiani. 



ALL'OMBRA DEL MINOTAURO

Meno atletico di Eracle, meno cerebrale di Edipo, meno inquieto di Ulisse, Teseo finì presto in una sorta di cono d'ombra, schiacciato dalla fama della sua vittima più celebre, il Minotauro. Di lui tuttavia si ricordarono nel medioevo grandi poeti come Giovanni Boccaccio e Geoffrey Chaucer - che lo fece protagonista di uno dei Racconti di Canterbury - e, nel XVII secolo, un drammaturgo amante dei classici  come Jean Racine. In campo figurativo, Teseo è stato immortalato da pittori come Vittore Carpaccio, Nicolas Poussin, Pieter Paul Rubens, oltre che, di recente, da Pablo Picasso. Notevoli le riletture del suo mito effettuate nel XX secolo da Andrè Gide e Cesare Pavese, a cui va aggiunto, in campo cinematografico, un film d'avventure di Silvio Amadio, Teseo contro il Minotauro, girato nel 1960.

mercoledì 20 luglio 2011

CERBERO


Gli autori greci descrivevano l'Aldilà come un luogo oscuro e desolato, popolato da mostri che sorvegliavano e intimorivano le anime dei defunti. Tra queste creature, la più temuta era Cerbero, un famelico cane a tre teste che presidiava l'ingresso dell'Ade. Un compito a cui Cerbero si dedicava con solerte ferocia, spezzando le illusioni di colore che, dopo la morte, pensavano di poter sfuggire agli abissi tenebrosi dell'Oltretomba.
Fauci ringhianti da mastino, una coda cosparsa di aculei, la schiena ricoperta di vipere: così i poeti anichi immaginavano Cerbero, il cane da guardia degli inferi, un mostro che, con le sue tre teste, simbolizzava la perdita del passato, del presente e del futuro legata alla morte.

GENEALOGIA DI CERBERO

Il feroce CERBERO aveva ereditato la sua natura mostruosa dai genitori: il padre TIFONE, figlio di TARTARO e di GAIA, era un gigante alato con cento teste, occhi fiammeggianti e la parte inferiore del corpo composta da due spire di serpente. La madre ECHIDNA, invece, nata dall'unione delle divinità marine FORCO e CETO (ma una differente tradizione la faceva discendere dal gigante CRISAOR), aveva un busto da donna innestato su una coda di vipera. Dagli amori tra Tifone ed Echidna ebbe origine Cerbero, che prese dal padre le dimensioni gigantesche e la forza bruta, mentre dalla madre ereditò la voracità (si diceva che Echidna divorasse tutti i passanti che transitavano davanti alla sua grotta, in Cilicia). Oltre al cane infernale, i due mostruosi compagni avevano anche altri figli, tutti parimenti terrificanti: dall'IDRA DI LERNA, sopraffatta da Eracle in occasione della seconda fatica, ad ORTRO, il cane a più teste che vigilava sulle mandrie di Gerione, fino alla CHIMERA, il leggendario animale, per metà capra e per metà leone, ucciso da Bellerofonte.

A GUARDIA DEI MORTI

Cerbero dimorava lungo le rive del fiume Stige, nel punto in cui il nocchiero Caronte, attraversate con la sua imbarcazione le acque scure dell'Acheronte, depositava le anime dei defunti destinate all'Ade. Non appena sbarcati, i nuovi arrivati trovavano ad accoglierli il cane infernale, che li scortava ringhiando fino all'ingresso degli Inferi e si allontanava solo quando era certo che tutti avessero varcato quella soglia fatale. Se qualcuno tentava di fuggire, Cerbero lo inseguiva e lo riportava indietro a forza, non senza averlo prima dilaniato con le sue zanne. Nessun dono poteva placare la furia di Cerbero; al più si poteva ammansire per qualche istante l'ira della belva gettandole in pasto la focaccia di miele che i Greci, proprio a tale scopo,  ponevano nella tomba accanto al defunto. Solo pochi eroi avevano avuto il privilegio di vedere Cerbero da vivi: tra costoro Eracle, l'unico insieme ad Ade, dio dell'Oltretomba, a essere riuscito a domarlo. Eracle discese agli Inferi su ordine di Euristeo, re di Tirinto e Micene, che come dodicesima e ultima fatica gli aveva imposto proprio di riportare Cerbero sulla terra. L'ero si presentò dunque ad Ade e gli chiese il permesso di condurre con sè il cane. Ade dapprima glielo negò, ma poi acconsentì alla richiesta dell'eroe, a patto che questi riuscisse ad addomesticare Cerbero a mani nude. Impresa che, puntualmente, l'eroe portò a termine, dimostrandosi più forte persino della morte.

DOMATO DA ERACLE

Non appena si trovò dinanzi Cerbero, Eracle gli si avventò contro e lo soggiogò. Poi lo legò con pesanti catene e lo trascinò fino a Tirinto, dove Euristeo, vedendo il mastino infernale giungere al guinzaglio del cugino Eracle, ne ebbe così paura che si rifugiò in una giara.


IL POTERE DEL CANTO

Un altro personaggio mitologico greco riuscì ad eludere la feroce guardia di Cerbero e a varcare le soglie dell'Oltretomba. Si tratta di Orfeo, il cantore e poeta tracio che si spinse fino negli Inferi per recuperare la moglie Euridice, morta per il morso velenoso di un serpente. Orfeo non aveva il vigore fisico di Eracle, che era riuscito a sopraffare Cerbero con la forza. Aveva però ricevuto in dono dagli dèi l'arte della musica: intonò perciò con la sua lira un canto così irresistibile che Cerbero, come stregato da quella melodia, lo lasciò passare.

ENEA E LA VEGGENTE

Secondo il poeta latino Virgilio, anche il fondatore di Roma, Enea, scese agli Inferi dove incontrò le anime di coloro che avrebbero reso grande la città da lui creata. In questo viaggio l'eroe fu accompagnato dalla Sibilla Cumana, la veggente di Cuma, che lo aiutò a superare la guardia di Cerbero gettando all'insaziabile mostro una focaccia imbevuta di sostanze soporifere.

L'ALDILA' OMERICO

Il regno su cui Cerbero vigilava era, al contrario dell'Aldilà cristiano, un vero e proprio luogo fisico, collocato nelle profondità della Terra e dotato di caratteristiche geografiche precise, anche se mutevoli a seconda delle epoche. Così Omero, nell'Iliade, descrive l'Oltretomba come una terra squallida e spoglia, immersa in una tenebra perenne nella quale vagano, simili a ombre senza coscienza, le anime dei defunti. Per accedervi da vivi bisogna recarsi al Paese dei Cimmeri, una regione sempre avvolta dalle nebbie, dove si trova l'ingresso al regno dei morti. Inoltre, secondo il più grande poeta arcaico greco, coloro che si sono ribellati violentemente agli dèi vengono per punizione sprofondati nel Tartaro, un abisso posto molto al di sotto dell'Ade, dove, per esempio, sono imprigionati i Titani. Agli eroi viene invece riservato un destino di beatitudine nei Campi Elisi, un regno di felicità e pace posto all'estremo occidente della Terra. Con il maturare delle dottrine filosofiche e religiose greche, anche l'immagine dell'Aldilà andò modificandosi. Si affermò per esempio l'idea che le anime avessero sorti diverse a seconda del comportamento più o meno virtuoso tenuto in vita. Inoltre si precisarono i contorni geografici dell'Ade, nel quale scorrevano diversi fiumi, tra cui lo Stige, l'Acheronte, il Flegetonte e il Lete, e si estendeva un'immensa palude detta Acherusia. Dal punto di vista "logistico", il compito di smistare il traffico dei morti era affidato a due figure mostruose, Caronte e Cerbero, mentre la valutazione dei meriti e demeriti dei defunti era affidata a tre giudici inflessibili, Minosse, Eaco e Radamante. Su tutti, defunti, giudici e mostri infernali, regnava Ade, dio degli Inferi, crudele e autoritario quanto la moglie Persefone.


UN DEMONE INFERNALE

Dopo il collasso della civiltà greco-latina, la figura di Cerbero finì per essere assimilata a quella di un demone infernale, sulle tracce dell'interpretazione figurale offerta dai padri della Chiesa, che miravano a incorporare i miti pagani nella tradizione cristiana. Anche il medioevo predilisse l'interpretazione allegorica del personaggio, facendone di volta in volta l'emblema dell'ingordigia, della discordia (per via delle tre teste), delle diverse età dell'uomo (giovinezza, maturità, vecchiaia). L'arte rinascimentale e postrinascimentale riservò scarsa attenzione a Cerbero, che ebbe al più ruoli da comprimario nei dipinti dedicati a Eracle e Orfeo (come il celebre Orfeo ed Euridice di Pieter Paul Rubens). Più massiccia la presenza di Cerbero nella cultura contemporanea, sia in romanzi di successo come Harry Potter e la Pietra Filosofale, di G.K. Rowlings, sia in film dell'orrore (per esempio Cerberus - Il guardiano dell'Inferno, di John Terlesky) e fumetti manga.

mercoledì 6 luglio 2011

ERACLE (ERCOLE)


I Romani lo chiamavano Ercole ed è l'eroe greco per eccellenza. Le leggende che lo vedono protagonista sono così numerose da essere state raccolte in un ciclo narrativo. Eracle è l'uomo che cade ma si risolleva, l'eroe che affronta il Male a viso aperto e lo vince. Un tramite per il mondo divino del quale, attraverso un processo di purificazione che culmina nella sua apoteosi, riuscirà infine a far pienamente parte.
Figlio di una mortale e del signore degli dèi, Eracle, come tutti gli eroi greci, ha insieme geni umani e divini. Dotato di una forza sovrannaturale, che gli consente di superare prove temute dagli stessi dèi, rivela però anche una inattesa fragilità, eredità della sua origine terrena e causa di frequenti e rovinose cadute.

GENEALOGIA DI ERACLE

Secondo il mito, ERACLE (Ercole per i Romani) ebbe due padri, l'uno mortale e l'altro immortale. Il padre immortale fu ZEUS che, per unirsi con la bella ALCMENA, nipote di PERSEO, assunse le sembianze del marito della donna, ANFITRIONE. Per soddisfare appieno il suo capriccio amoroso, Zeus chiese inoltre al Sole di non percorrere con il suo cocchio il cielo per tre giorni. Ebbe così a disposizione una lunghissima notte per generare con Alcmena il figlio che, secondo l'oracolo, avrebbe dovuto governare sulla stirpe di Perseo. Il padre mortale di Eracle fu invece Anfitrione, re di Tirinto, che, pur cosciente dell'inganno subito dal signore dell'Olimpo, seppe allevare come suo quel bimbo straordinario, trattandolo alla pari dell'altro figlio IFICLE. La vita di Eracle fu sin dall'inizio condizionata dall'odio di Era, che lo detestava in quanto frutto degli amori adulterini del marito Zeus con Alcmena. La dea fece perciò di tutto per ritardare la nascita dell'eroe, in modo che il cugino EURISTEO, venuto alla luce prima di lui, gli sottrasse il diritto di regnare su Micene e Tirinto. Poi la regina dell'Olimpo inviò due serpenti velenosissimi nella culla di Eracle, affinchè lo uccidessero ancora in fasce. Il suo piano però fallì, in quanto l'eroe, già allora straordinariamente forte, afferrò i due serpenti per la gola  e li strangolò.

LE DODICI FATICHE

Una volta adulto, Eracle prese in sposa Megara, figlia del re di Tebe, dalla quale ebbe otto figli. Poco dopo però, a causa di un eccesso di follia provocatogli dalla sua nemica Era, uccise tutti i suoi figli, e due di quelli del fratello Ificle. Straziato da dolore, l'eroe allora chiese consiglio all'oracolo di Delfi, che gli ordinò di porsi per dodici anni al servizio del cugino Euristeo, divenuto nel frattempo re di Tirinto: solo così si sarebbe affrancato dal suo crimine ottenendo l'immortalità. Obbediente al volere divino, Eracle raggiunse Tirinto e si assoggettò al cugino che, per concedergli la purificazione, gli impose però una serie di prove terribili: le cosiddette "dodici fatiche". L'eroe iniziò dunque il suo percorso di rinascita affrontando il Leone di Nemea, la belva che insanguinava la regione tra Micene e Nemea. Dovette quindi eliminare l'Idra di Lerna, un mostro a nove teste che ricrescevano non appena recise, e poi catturare la Cerva di Cerinea, nota per la sua inafferrabilità. Nella quarta fatica Eracle affrontò il Cinghiale di Erimanto, che devastava il Peloponneso, dopodichè fu incaricato di liberare il lago Stinfalo dagli uccelli assassini che lo infestavano e di ripulire le immense stalle del re Augia, impresa che compì deviando due fiumi. Per la settima fatica Eracle si recò a Creta, dove catturò il toro infuriato che sgomentava l'isola. Quindi soggiogò le quattro giumente di Diomede, abituate a nutrirsi di carne umana, e sottrasse a Ippolita, regina delle Amazzoni, la cintura che Ares le aveva donato. La decima fatica portò l'eroe fino sull'isola di Erizia, ai confini del mondo conosciuto: lì viveva un gigante a tre teste, Gerione, che custodiva una splendida mandria. Eracle gliela sottrasse e, dopo averla portata a Euristeo, partì per il Giardino delle Esperidi, da cui trafugò i tre pomi d'oro offerti da Gaia a Era come dono di nozze. Infine l'ultima impresa: Eracle scese negli Inferi e vi catturò Cerbero, il cane a tre teste che sorvegliava il regno dei morti. A quel punto Euristeo, incapace di trovare altre prove da sottoporre al cugino, lo sciolse dal suo voto. Eracle riebbe così la libertà e, purificato dal suo delitto, potè infine tornare a Tebe.


LE ALTRE IMPRESE

Oltre alle dodici fatiche, Eracle compì un numero imprecisato di altre imprese, capitoli di un ciclo mitologico senza paragoni per ampiezza nella cultura classica. Molte di queste imprese furono realizzate quasi per capriccio, a margine dei viaggi che l'eroe effettuò per portare a termine le dodici fatiche; altre vengono ascritte al periodo immediatamente precedente o, più spesso, successivo alla servitù presso Euristeo. Dall'insieme di queste avventure emerge il ritratto di un eroe inquieto, perennemente in viaggio da una sponda all'altra del Mediterraneo, pronto a spingersi fino ai confini estremi del mondo conosciuto - identificati appunto con le colonne d'Ercole - pur di soddisfare la sua fame di avventure. Un destino di esploratore che già connotava la figura dell'eroe guerriero - in lotta permanente contro le forze del Caos - protagonista di tante leggende arcaiche riferibili alla figura di Eracle. Ma furono gli autori di epoca classica ad esasperare la vocazione itinerante di Eracle, facendone l'incarnazione del nuovo spirito cosmopolita del mondo greco, ormai proiettato ben oltre il Peloponneso. Un eroe che, attraverso i suoi viaggi da un continente all'altro, conquistava alla conoscenza nuovi territori e allargava, sia verso Occidente sia verso Oriente, la sfera di influenza della civiltà  da cui il suo mito era stato originato.

PASSAGGIO IN AFRICA

Mentre di aggirava per la Libia alla ricerca del Giardino delle Esperidi, Eracle si imbatte in Anteo, un gigante che uccideva tutti i viandanti che incontrava. Figlio di Poseidone e Gaia, Anteo era invulnerabile finchè restava in contatto con sua madre, la Terra. Per ucciderlo, dunque, Eracle dovette afferrarlo per il tronco e tenerlo sollevato dal suolo fino a che non lo ebbe soffocato.

LE COLONNE D'ERCOLE

In viaggio verso l'isola di Erizia, Eracle giunse allo stretto di Gibilterra, nel nord della Spagna. Era l'estremo limite del mondo conosciuto, il confine oltre il quale nessuno aveva osato mai spingersi. Eracle, temerariamente, lo varcò, ma prima spaccò in due il monte che divideva il Mediterraneo dall'Oceano Atlantico e creò le colonne d'Ercole, identificabili con i monti Abila e Calpe, le alture che cingono lo stretto. Poi, sul monte Calpe, incise la scritta Nec Plus Ultra che significa "non oltrepassare".

IL SOGGIORNO ASIATICO

Eracle passò dall'Asia due volte: quando si recò in Anatolia per recuperare la cintura d'Ippolita e quando, in segno di penitenza per avere offeso il dio Apollo, si sottomise alla regina di Lidia, Onfale, che servì come schiavo per tre anni. In questo periodo l'eroe condusse una vita dissipata, cedendo alle seduzioni della regina e accettando per lei ogni sorta di umiliazione. La bellissima regina convinse addirittura Eracle a vestirsi da donna, abbandonando il suo "mestiere" di eroe per dedicarsi a mansioni femminili come la filatura della lana.


L'ULTIMA META

Lasciata la corte di Lidia, Eracle si sposò con Deianira, figlia del re di Calidone, conducendola con sè in Tracia. Durante il viaggio, però, i neosposi incontrarono il centauro Nesso che, con il pretesto di trasportare la donna al di là del fiume, tentò di violentarla. Eracle lo uccise con una freccia, ma il centauro, prima di spirare, convinse Deianira a raccogliere il suo sangue in un vaso, dicendole che si trattava di un filtro d'amore. Anni dopo Deianira, rosa dalla gelosia per gli amori tra il marito e la bella Iole, si ricordò del filtro del centauro, e vi intinse una veste che poi donò a Eracle. Il sangue di Nesso però era avvelenato e, non appena l'eroe ebbe indossato l'abito, sentì il corpo accendersi di un bruciore mortale. Intuendo che la fine era vicina, Eracle fece allestire una pira dal figlio Illo e vi si adagiò sopra. Poi diede fuoco alla legna, ma prima che le fiamme lo lambissero, Zeus scese di persona sulla Terra e, caricato Eracle sul suo carro, lo condusse con sè sull'Olimpo.

L'ANTENATO DI TUTTI I SUPEREROI

Con la fine della classicità, la cultura cristiana iniziò a vedere in Eracle il pendant pagano di Cristo, a cui lo accomunavano la discesa vittoriosa agli inferi e il supplizio finale. In seguito, gli autori medievali fecero di Eracle il modello del cavaliere perfetto, personificazione delle virtù eroiche celebrate da Francesco Petrarca nel De Viris Illustribus. La spettacolarità delle imprese di Eracle, eroe d'azione per eccellenza, ha affascinato molti pittori e scultori, tra cui Andrea Mantegna, Michelangelo Buonarroti e, più tardi, Jean-Honorè Fragonard. Nel XX secolo lo svizzero Friedrich Durrenmatt, nel radiodramma Eracle e le stalle di Augia, ha fatto dell'eroe un riformatore incapace di ripuilire il mondo dalle scorie del Male. Anche la cultura pop si è impadronita del mito di Eracle, talvolta direttamente, come nel film d'animazione Hercules (1997) della Walt Disney, più spesso indirettamente, dando ai supereroi di cinema e fumetti poteri simili a quelli del semidio.

martedì 5 luglio 2011

CHIRONE


Per metà uomini e per metà cavalli, i centauri erano esseri primitivi dediti alla violenza, allo stupro e al saccheggio. Uno solo di loro amava la pace e lo studio delle scienze umane: il sapiente Chirone, che fu precettore di grandi eroi come Achille ed Eracle e visse e morì come un antico filosofo.
Di natura semidivina, Chirone è un centauro un po' speciale. Colto e solitario, ama gli uomini anzichè combatterli, come fanno tutti i suoi simili. Per questo motivo è ritenuto il precettore ideale degli eroi, che nel mito hanno il compito di difendere la civiltà dal caos generato dai mostri.

GENEALOGIA DI CHIRONE

Il centauro CHIRONE è il frutto degli amori tra CRONO, sovrano della generazione divina precedente agli Olimpici, e la ninfa FILIRA (in greco "tiglio"), figlia del dio delle acque OCEANO e di TETI. Secondo la maggior parte degli autori, Crono si era unito a Filira sotto forma di puledro per non insospettire la moglie Rea, gelosissima delle sue amanti. Ciò spiegava l'immortalità di Chirone e la sua duplice natura, per metà umana e per metà equina. Un'altra versione del mito sostiene invece che fosse stata la stessa Filira a trasformarsi in giumenta, nel tentativo di sfuggire al dio che intendeva violentarla. Crono, però, si era tramutato a sua volta in cavallo, e così era riuscito a renderla madre. Una volta adulto, Chirone, a dispetto dell'aspetto mostruoso, trovò l'amore della ninfa CARICLO, figlia del dio APOLLO, con la quale generò OCIRROE, così chiamata dal nome del ruscello presso cui era nata. Ocirroe aveva ricevuto alla nascita il dono della divinazione, ma poichè se ne serviva sconsideratamente svelando segreti riservati solo agli dèi, questi ultimi la punirono trasformandola in cavalla: da quel momento prese il nome di IPPO.

AMICO E MAESTRO

Chirone fu abbandonato dalla madre alla nascita: Filira infatti, nauseata dall'aspetto mostruoso del figlio, chiese e ottenne dagli dèi di essere tramutata in tiglio. Chirone crebbe così in solitudine, sul monte Pelio (in Tessaglia), istruito da Apollo e Artemide che suscitarono in lui l'amore per l'arte e la caccia. Presto la fama della sua sapienza si diffuse e cominciarono a recarsi da lui dèi e sovrani. Il re di Ftia, Peleo, si rivolse a Chirone quando decise di sposare la ninfa Tetide, che lo respingeva. Il Centauro istruì il sovrano sulle doti metamorfiche della ninfa, e così quando Tetide, sorpresa nel sonno, si ribellò al suo tentativo di possederla, Peleo non fu colto impreparato. Mentre la divinità si trasformava successivamente in fuoco, acqua, leone, serpe e persino seppia, egli la tenne ben stretta, senza mai mollarla. Alla fine la ninfa, spossata, si piegò al volere del re e acconsentì alle nozze. Riconoscente, Peleo affidò a Chirone l'ultimo figlio avuto dalla ninfa, Achille, che il centauro educò alla sincerità e al disprezzo delle cose materiali. Il metodo didattico di Chirone, che tra i suoi allievi ebbe anche Giasone e Asclepio, si basava sull'insegnamento della musica, della filosofia, della medicina, della caccia e dell'arte del combattimento. Era anche celebre per le sue doti divinatorie,e a lui si rivolsero molti dèi per conoscere il loro futuro.

UNA DIETA SPECIALE

Per forgiare Achille nel fisico e nel carattere, Chirone gli imponeva una dieta speciale, a base di cuore di leone, midollo d'orso (per acquisire la forza di questi animali) e miele (per rendere più dolce la sua eloquenza). Fu lui a ribattezzare il figlio di Peleo, Achille: in precedenza era chiamato Ligirone.


L'ARTE DI GUARIRE

Senza l'aiuto di Chirone, Asclepio non sarebbe mai diventato dio della medicina. Tutto ciò che il figlio di Apollo sapeva a proposito di unguenti ed erbe curative gli era infatti stato insegnato da Chirone, che gli svelò anche i segreti della chirurgia, arte in cui il centauro eccelleva.

LA RINUNCIA ALL'IMMORTALITA'

In quanto semidio, Chirone era destinato all'immortalità. Tuttavia decise di sua volontà di rinunciare a questo privilegio quando, ferito accidentalmente da una freccia scagliata da Eracle durante una rissa con altri centauri, si accorse che nessun unguento avrebbe potuto guarire la piaga al ginocchio generata dal dardo. Si ritirò allora nella sua grotta e supplicò Zeus di lasciarlo morire. Ma poichè, a causa della sua origine semidivina, non poteva farlo, cedette la propria immortalità a Prometeo, il Titano condannato ad atroci tormenti per il furto del fuoco agli dèi, ottenendone in cambio la mortalità. Chirone trovò così la pace e il suo corpo fu tramutato da Zeus in una costellazione, detta poi del Sagittario.

GLI ALTRI CENTAURI

A parte Chirone, il solo centauro a cui gli antichi attribuivano saggezza e cultura era Folo, figlio del satiro Sileno. Per il resto la popolazione dei centauri era composta da individui rozzi e malvagi, irresistibilmente attratti dalla violenza e resi ancora più brutali dal vino, che non erano abituati a bere. La loro stessa stirpe, del resto, era fatta risalire a un atto sacrilego: si sosteneva, infatti, che il progenitore di tutti i centauri fosse nato dall'unione tra il re tessalo Issione e una nube, a cui Zeus aveva dato le sembianze della moglie Era per vedere fino a che punto il sovrano gli fosse devoto. Il risultato di questo accoppiamento era stano un ibrido di nome Centauro, che aveva poi riprodotto la specie congiungendosi alle giumente del monte Pelio. Vera o falsa che fosse questa leggenda, di sicuro tutti i miti relativi ai centauri confermavano la loro natura più bestiale che umana. Celebre, per esempio, era l'episodio delle nozze tra Piritoo, re dei Lapiti, e Ippodamia, in cui i centauri, invitati al banchetto nuziale, prima si erano ubriacati e poi avevano cercato di stuprare la sposa. Ne era scaturita una rissa al termine della quale Piritoo, fiancheggiato dall'amico Teseo, era riuscito a sconfiggere i centauri, cacciandoli per sempre dalla Tessaglia. Anche Eracle ebbe a più riprese a che fare con i centauri. La prima volta proprio in Tessaglia, dove si scontrò con loro in una zuffa che, a causa di una freccia vagante, costò la vita a Chirone. Poi presso il fiume Eveno, in Etolia, dove Nesso, uno dei centauri più crudeli, tentò di rapire Deianira, sposa dell'eroe. Eracle lo uccise, ma Nesso, prima di morire, convinse Deianira ad accettare un filtro d'amore fatto con il suo sangue. In realtà si trattava di un veleno potentissimo, come ebbe modo di scoprire la stessa Deianira allorchè, volendo risvegliare l'interesse amoroso di Eracle, gli inzuppò la veste del filtro malefico. E in tal modo condannò a morte il marito.


GUARDIANI DELL'INFERNO

I centauri godettero di buona reputazione solo agli albori del Cristianesimo, quando furono visti come una prefigurazione della duplice natura di Cristo, al tempo stesso umano e divino. Poi Dante Alighieri li collocò all'Inferno, nei panni di guardiani dei violenti verso il prossimo, e i teologi iniziarono a paragonarli agli eretici, come loro dotati di doppia identità (cristiana e pagana). In campo figurativo, l'ambiguità connaturata ai centauri ha suggestionato artisti come Michelangelo Buonarroti, Antonio Canova e Albrecht Durer. Cesare Pavese, nei Dialoghi con Leucò (1947), ha dedicato uno dei suoi racconti a Chirone, che compare anche nel romanzo Il Centauro (1963) dell'americano John Updike. Vasta la schiera di uomini-cavallo che popolano l'universo fantasy: dal centauro inventore di marchingegni tecnologici di Artemis Fowl, di Eoin Colfer, alle creature fiere e leali di Le Cronache di Narnia, saga cinematografica tratta dai romanzi di C.S. Lewis. 

domenica 3 luglio 2011

ARTEMIDE (DIANA)


Vestita in abiti leggeri, inseparabile dal suo arco, sempre accompagnata da uno stuolo di ninfe, Artemide era la dea dei boschi, della caccia, della libertà. Il suo carattere selvaggio la rendeva però estremamente crudele e vendicativa.
Artemide (Diana per i romani) è una delle grandi divinità del pantheon greco. Amante della solitudine e della caccia, trascorre le sue giornate nei boschi, alla ricerca di cervi e altre prede da catturare. Non ha compagni nè mariti. Insensibile all'amore, è la dea vergine per eccellenza, anche se viene invocata per accrescere la fertilità delle donne.

GENEALOGIA DI ARTEMIDE

Figli di ZEUS e della bella LATONA, ARTEMIDE discende per parte di padre da CRONO e REA e per parte di madre da CEO e FEBE, tutti nati dalle nozze tra URANO e GAIA, e quindi fratelli tra loro. Artemide ha anche un fratello gemello, APOLLO, di cui rappresenta il corrispettivo femminile. Come Apollo, infatti, è armata di arco e frecce, con i quali diffonde la morte tra gli uomini e gli animali. Ma i due hanno anche un volto benevolo, che traspare per esempio nella capacità di curare e alleviare le sofferenze dei mortali. Artemide e Apollo compaiono insieme anche in uno stesso mito, quello di Niobe, l'imprudente regina di Tebe che osò vantarsi di essere superiore a Latona, in quanto questa aveva solo due figli, mentre lei ne aveva partoriti ben quattordici. Per vendetta i due fratelli uccisero con le loro frecce dodici figli di Niobe (sei a testa), lasciandone vivi solo due: un maschio e una femmina, proprio quanti ne aveva Latona.

UN PARTO DIFFICILE

Secondo un' antichissima tradizione, Artemide nacque sull'isola di Delo, nelle Cicladi, dove la madre Latona si era rifugiata per sottrarsi all'ira di Era. La moglie di Zeus, infatti, gelosa per il tradimento del marito con la bella figlia di Ceo e Febe, aveva lanciato contro di lei una maledizione: Latona non avrebbe potuto dare alla luce i due gemelli generati con Zeus se non in un luogo mai sfiorato dai raggi solari. Un anatema che costrinse Latona a vagare senza meta da un punto all'altro della terra, in cerca di un luogo dove partorire. Infine Zeus, turbato dai patimenti dell'amante, si rivolse a Poseidone, che fece emergere dal mare un'isola (Delo appunto) e la ricoprì con una volta liquida formata dai flutti marini. Così, in un ambiente mai scaldato dal sole, Latona potè generare Artemide, che nacque dopo nove giorni e nove  notti di travaglio. Appena venuta alla luce, Artemide manifestò la propria potenza aiutando la madre a partorire Apollo (di qui il culto che le veniva tributato come dea dei parti). Poi, quando era poco più di una bimba, implorò il padre di poter restare per sempre vergine. Zeus acconsentì, e Artemide potè così inziare la sua vita selvaggia, interamente dedita alla caccia e allietata solo dalla compagnia di un corteo di ninfe avute in dote dal padre.

IL CARRO D'ORO

Protettrice delle fonti e dell'agricoltura, dei boschi, degli animali selvatici e delle ninfe, Artemide andava a caccia per i monti dell'Arcadia su un sontuoso carro d'oro trainato da quattro cerce bianche.

LE FRECCE ASSASSINE

L'arco e le frecce non servivano ad Artemide solo per abbattere le sue prede. Si riteneva che le usasse anche contro gli uomini, per diffondere mali ed epidemie, causare decessi improvvisi e accelerare la morte delle donne nei parti complicati.


IL SACRIFICIO RIFIUTATO

Artemide sapeva anche essere benevola: come quando impedì il sacrificio di Ifigenia, figlia del re acheo Agamennone, che il sovrano aveva deciso di immolare per placare la dea, offesa da un suo atto sacrilego. Artemide rifiutò il sacrificio e, all'ultimo istante, sostituì con una cerbiatta la fanciulla, che scelse come sua sacerdotessa.

IL BACIO DELLA STREGA

Come Apollo era ritenuto il dio del Sole, così Artemide veniva talora identificata con la Luna. In tale veste era raffigurata come una giovane con una falce di luna tra i capelli, e le veniva attribuito anche un casto innamoramento per il bel Endimione, baciato fugacemente nel sonno. In quanto legata ai cicli lunari, nel medioevo Artemide fu oggetto di culto da parte degli adepti alla stregoneria, che la veneravano come dea degli oppressi.

ATTEONE SBRANATO

Come quasi tutte le dee dell'Olimpo, Artemide era permalosa e molto vendicativa, specie quando in gioco c'erano la sua verginità o quella di coloro che le erano più care. Ebbe modo di accorgersene il gigante Orione, che commise l'errore di tentare di stuprare una delle ninfe della dea (o, secondo altri, la dea stessa), e per questo fu ucciso dalla puntura di uno scorpione che Artemide gli aveva inviato contro. Anche Atteone, figlio del saggio Aristeo, dovette sperimentare l'ira della dea quando, durante una battuta di caccia, la scorse per caso nuda mentre di bagnava in un fiume. Oltraggiata nella sua purezza, Artemide reagì trasformando Atteone in un cervo, e poi aizzandogli contro la sua muta di cani, che lo sbranarono (ma un'altra versione del mito sostiene che la dea non si vendicò immediatamente dell'affronto, ma solo quando seppe che il giovane si era vantato con gli amici di averla vista nuda). Della severità di Artemide fece infine le spese anche Callisto, la più amata tra le sue ninfe, che ebbe il torto di tradire il voto di castità fatto alla dea restando incinta di Zeus. Per la verità Callisto non aveva alcuna colpa, dato che il signore dell'Olimpo, consapevole di quanto la ninfa sdegnasse gli uomini, per possederla aveva assunto le sembianze proprio di Artemide. L'inganno perpetuato da Zeus non stemperò tuttavia l'ira della dea che, trasformata Callisto in un'orsa, la abbattè con il suo arco (anche se, a detta di alcuni, Zeus tramutò Callisto in una costellazione - l'Orsa Maggiore - prima che la vendetta della dea si compisse). Ad Artemide, infine, veniva talora addebitata anche la morte di Adone, il bellissimo giovane scelto come amante dalla dea Afrodite. Secondo questa tradizione, Artemide fece travolgere Adone da un cinghiale per punirlo di essersi dichiarato più abile di lei nella caccia. In tal modo pareggiò i conti con Afrodite, dea dell'amore, che in passato aveva indirettamente causato la morte di Ippolito, lo sfortunato figlio di Teseo colpevole solo di essersi consacrato ad Artemide e non a lei.


UN MODELLO DI EMANCIPAZIONE

Nell'arte umanistica, Artemide continuò ad essere considerata, come presso gli antichi, un simbolo di purezza: Giovanni Boccaccio le dedicò uno dei suoi poemi giovanili, La caccia di Diana, mentre Pierre de Ronsard, nel XVI secolo, costruì attorno al mito di Diana e Atteone una densa simbologia poetica imperniata sui temi di desiderio e castità. In campo pittorico, la figura di Artemide ha attraversato i secoli grazie ai dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio, Jacopo Tintoretto, Jan Vermeer e, più tardi, Arnold Bocklin. Per gli artisti novecenteschi Artemide è stata soprattutto un emblema di libertà femminile, come traspare dai dipinti di Ivo Salinger e dai versi di George Meredith ed Ezra Pound. Il mondo dei fumetti invece ha omaggiato la dea creando due supereroine con il suo stesso nome, l'una a firma della Marvel Comics, l'altra della DC Comics.







IL MINOTAURO





Era un mostro famelico e feroce, un ibrido nato dalla passione della regina di Creta per un toro. In lui gli antichi vedevano l'emblema dell'istinto bestiale, che sfuggiva al controllo della ragione. Il suo regno era il labirinto di Cnosso.
Del Minotauro sappiamo solo che aveva testa di toro su corpo umano e che viveva in un labirinto. Eppure la sua fama è giunta fino a noi. Forse perchè in lui convivono due nature: quella feroce del mostro e quella tragica del "diverso", condannato ad una prigionia senza scampo.

GENEALOGIA DEL MINOTAURO

Creatura sciagurata e terribile, il Minotauro ha però origini divine. Attraverso la madre Pasifae discende dalla ninfa oceanina Perseide e dal dio del sole Elio, la cui capacità di vedere e sentire tutto ciò che accade nel cosmo si contrappone allo sguardo limitato dell'uomo-toro, circoscritto dalle mura del labirinto.
Da parte di padre, il Minotauro è invece legato a Poseidone, cui assomiglia per il carattere vendicativo e bizzoso: fu infatti il dio del mare a inviare a Creta, in risposta a una richiesta di Minosse, il toro bianco che, unendosi a Pasifae, generò il mostro. Tramite il padre putativo Minosse, infine, il Minotauro discende nientemeno che da Zeus, il signore degli dèi, che generò il futuro re di Creta con Europa, cui si congiunse - non a caso - sotto forma di toro.

MINOSSE E IL TORO

La maledizione colpì Creta il giorno stesso in cui Minosse, sovrano dell'isola, tradì i patti stipulati con Poseidone. Il vecchio re Asterione, padre putativo di Minosse, era appena morto e nel palazzo reale di Cnosso infuriava la lotta tra gli eredi per la successione. Volendo legittimare le sue pretese sul trono, Minosse dichiarò allora ai fratelli che, qualunque cosa avesse chiesto agli dèi, questi gliel'avrebbero concessa. E per dimostrarlo pregò Poseidone di far spuntare dalle acque di Creta un toro bianco. Subito un toro di abbagliante candore nuotò fino a riva. Di fronte a un tale segno del favore divino, i fratelli concessero a Minosse di sedere sul trono cretese. Ma, una volta al potere, il neo-sovrano si rimangiò la promessa fatta al dio del mare e non gli sacrificò il toro che questi gli aveva inviato. Poseidone, furioso, decise allora di vendicarsi facendo inferocire la bestia, che devastò l'isola da cima a fondo. Poi, prima che Eracle catturasse il toro nella settima fatica, fece in modo che Pasifae, regina di Creta, concepisse un'attrazione morbosa per la belva: un amore "impossibile" dal quale ebbe inizio la rovina della casa di Minosse.

LA VACCA DI LEGNO

Per appagare il folle desiderio da cui era divorata, Pasifae si rivolse a Dedalo, l'architetto di corte, che fabbricò per lei una vacca di legno in tutto e per tutto simile al vero. Poi aiutò Pasifae a sistemarsi all'interno del simulacro e spinse la statua vicino al toro. Dall'unione tra i due nacque il Minotauro, un essere talmente mostruoso che, sin dalla nascita, Minosse impedì che fosse mostrato in pubblico.

IL PRIGIONIERO

Nel tentativo di tenere nascosta l'esistenza del Minotauro, Minosse ordinò a Dedalo di costruire un palazzo composto da migliaia di stanze, disposte in modo tale che solo colui che l'aveva progettato potesse orientarvisi. Poi vi fece  imprigionare il Minotauro, che in quel labirinto di stanze e corridoi trascorse l'intera esistenza, dalla nascita fino al fatale incontro con Teseo.  

UN TRIBUTO SANGUINOSO

Minosse aveva un figlio, Androgeo, che aveva perso la vita tentando di catturare il toro di Maratona. Di quella morte Minosse incolpò il re ateniese Egeo e, per vendicarla, mosse guerra alla città greca. L'esito del conflitto, favorevole a Minosse, costò agli sconfitti un pesante tributo: ogni anno da Atene dovevano giungere a Creta sette fanciulli e sette fanciulle di nobile stirpe, destinati a essere dati in pasto al Minotauro. Un sacrificio che durò fino a che Teseo, figlio di Egeo, non uccise il Minotauro.



TESEO VINCITORE

Quando per la terza volta Atene si trovò a pagare il proprio pegno di sangue a Minosse, Teseo chiese al padre Egeo il permesso di recarsi a Creta per uccidere il Minotauro. Salpato con i fanciulli ateniesi destinati al sacrificio, l'eroe navigò fino all'isola di Minosse, dove Arianna, la figlia del re, si innamorò di lui e gli regalò un gomitolo di filo. Utiliazzandolo secondo le indicazioni fornite da Dedalo ad Arianna, Teseo non avrebbe avuto difficoltà a orientarsi nel labirinto: sarebbe bastato infatti che l'eroe srotolasse il gomitolo alle sue spalle mentre si inoltrava nell'edificio, e al ritorno, seguendo il filo, avrebbe ritrovato la via d'uscita. Rinfrancato da questi suggerimenti, Teseo entrò nel labirinto e affrontò il Minotauro. Il mito non racconta come si svolse la sfida, ma soltanto che Teseo ebbe la meglio, infilzando l'uomo-toro con una spada donatagli di nascosto da Arianna. L'eroe ripercorse quindi in senso inverso la strada fatta all'andata e, trovata l'uscita dal labirinto, fuggì via mare da Creta insieme ad Arianna, vanamente inseguito dalla flotta di Minosse. I due si rifugiarono sull'isola di Nasso, dove Teseo, tradendo la fiducia della fanciulla, la abbandonò al suo destino. Fece quindi rotta verso le coste native dell'Attica, ansioso di comunicare al padre il proprio trionfo. 

LE VELE NERE

Teseo si era accordato col padre che, nel caso fosse riuscito a uccidere il Minotauro, al ritorno da Creta avrebbe issato vele bianche anzichè nere sulla sua nave. Ma, una volta giunto in vista di Atene, si scordò di farlo. Così Egeo, pensando che il figlio fosse morto, si gettò in mare dalla scogliera. Toccò quindi a Teseo divenire re di Atene, salendo sul trono che gli dèi sin dalla nascita gli avevano destinato.

DESTINI INCROCIATI

Che cosa accadde ai protagonisti del mito dopo la morte del Minotauro?
A questa domanda è possibile dare una risposta parziale. Della sorte di Pasifae, per esempio, sappiamo poco o nulla. Arianna invece sposò il dio Dioniso, che però secondo alcuni la fece uccidere da Afrodite per gelosia. Teseo, dopo l'uccisione del Minotauro, compì molte altre imprese, tra cui un'avventurosa discesa agli inferi. Quanto a Minosse, morì per mano di Dedalo. Infuriato con quest'ultimo per l'aiuto offerto a Teseo al momento di uscire dal labirinto, il sovrano lo inseguì ovunque, ma finì ucciso da Dedalo con un getto di pece bollente, rovesciato attraverso un buco nel soffitto della sua stanza da bagno. 

I MINOTAURI MODERNI

Il Minotauro è ancora vivo e parla al nostro immaginario. Lo dimostrano le decine di opere contemporanee, sia figurative che letterarie, ispirate alla figura del mostro cretese. Celebre per esempio la rilettura del mito fatta da Jorge Luis Borges nel racconto La casa di Asterione (1949), in cui il Minotauro prende la parola e racconta con toni straniati la propria diversità. Sulla stessa linea Il Minotauro (1985) dello svizzero Friedrich Durrenmatt, che fa del mostro una creatura primitiva vittima degli inganni umani. In campo pittorico, la figura del Minotauro ha ispirato artisti come Klimt, Picasso e Dalì, mentre al cinema ha fatto epoca Shining, di Stanley Kubrick, un film solo apparentemente distante dal racconto greco ma in realtà intriso delle sue suggestioni.

PARASSITA ALIENO

Nel film Alien (1979), dell'americano Ridley Scott, il sanguinario parassita che si aggira per i condotti di raffreddamento della navicella Nostromo evoca l'immagine del Minotauro annidato nei corridoi del labirinto.



LA SOLITUDINE DEL MOSTRO

Per il racconto La casa di Asterione, Borges ha dichiarato di essersi ispirato anche ad una tela del 1885, opera del pittore inglese George Watts, che ha raffigurato un Minotauro riflessivo e malinconico, assorto nella contemplazione dell'orizzonte.

I LABIRINTI IN SHINING

Ispirato all'omonimo romanzo di Stephen King, Shining di Stanley Kubrick (1980) gravita attorno a due labirinti: quello di siepi nel quale è girato l'inseguimento finale e quello costruito dai corridoi dell'Overlook Hotel, che convergono verso il salone centrale, presidiato da un Jack Nicholson assimilabile, nella sua ferocia, a un Minotauro moderno. 

sabato 2 luglio 2011

PERSEO


Insieme a Teseo ed Eracle, è il prototipo dell'eroe mitologico greco. Originario di Argo, nel Peloponneso, compì la sua impresa più grande decapitando Medusa, l'orrenda Gorgone con la capigliatura di serpenti. Di lui si ricorda però anche la storia d'amore con Andromeda, la principessa che salvò dalla morte e alla quale restò fedele per tutta la vita.
Perseo è il meno esuberante tra gli eroi greci. A lui gli antichi non attribuivano centinaia di imprese come a Eracle, nè amori in serie come a Teseo. Si può dire che, dopo l'incontro con Andromeda, Perseo ebbe una vita quasi di routine. Come se in lui l'eroe cedesse il passo all'uomo, pago del suo duplice ruolo di re e marito.

GENEALOGIA DI PERSEO

Come tutti gli ero greci, anche Perseo ha una duplice natura: suo padre, infatti, è un dio, anzi, il sovrano di tutti gli dèi, ZEUS, che detronizzò il padre CRONO sconfiggendolo nella guerra detta "Titanomachia". La madre di Perseo, DANAE, è invece di natura umana: discende dal re di Argo ACRISIO, che la generò con la moglie EURIDICE, figlia dell'eroe spartano LACEDEMONE e nipote di Zeus. Da ANDROMEDA Perseo ebbe ben sette figli: i più conosciuti sono ELETTRIONE e ALCEO, nonni di ERACLE e, di conseguenza, anelli di congiunzione tra i due più grandi eroi (insieme a Teseo) della mitologia classica. L'unica figlia di Perseo, GORGOFONE, è invece ricordata come la prima donna greca a essersi risposata una volta rimasta vedova.

IL FIGLIO DELLA PIOGGIA

Come ogni eroe che si rispetti, anche Perseo ebbe un'infanzia tribolata. Era infatti poco più di un neonato quando il nonno Acrisio, re di Argo, lo fece rinchiudere in una cassa di legno insieme alla madre Danae e lo affidò alle onde. Tutto questo perchè un oracolo gli aveva predetto che il nipote partorito dalla figlia Danae lo avrebbe ucciso. In preda al terrore, Acrisio ordinò che la figlia fosse rinchiusa in una torre senza porte nè finestre, e che le fosse impedito di vedere chiunque. Ma questa precauzione si rivelò insufficiente, in quanto Zeus, invaghitosi della fanciulla, si trasformò in pioggia d'oro e la possedette filtrando attraverso il soffitto della torre. Il frutto di tale unione fu Perseo, la cui nascita Danae tenne per quanto possibile nascosta al padre Acrisio. Un giorno questi, passeggiando per il palazzo, udì però uno strillo di fanciullo provenire dalla torre, e capì di essere stato beffato. La sua prima reazione fu di mettere a morte la nutrice di Danae, convinto che avesse aiutato la figlia a introdurre un amante nella torre. Poi convocò Danae e, incurante delle sue suppliche e spiegazioni, dispose che fosse chiusa in una cassa di legno insieme al neonato, e gettata in mare. In tal modo sarebbero stati gli dèi, e non lui, a decidere la sorte dei due naufraghi.

OSPITI A SERIFO

Trasportati dalle correnti, Danae e Perseo approdarono a Serifo, nelle Cicladi, dove furono accolti dal re dell'isola Polidette. Questi trattò i due naufraghi con generosità, tenendoli presso di sè come ospiti. Quando però Perseo divenne adulto, il sovrano cominciò a odiarlo, poichè ostacolava la sua irresistibile passione per Danae. E ordì un piano per eliminarlo.


IL RICATTO DI POLIDETTE

Durante una cena a corte, Polidette annunciò le sue nozze con una fanciulla dell'isola, ordinando agli ospiti di portargli in dono un cavallo. E poichè Perseo non poteva soddisfare la sua richiesta, Polidette gli intimò di consegnarli la testa di Medusa, la Gorgone dallo sguardo che pietrifica. Se avesse fallito, il re avrebbe fatto sua Danae, con o senza il suo consenso.

SOCCORSO DAGLI DEI

L'impresa imposta a Perseo era disperata, ma l'eroe fu soccorso da Ermes e Atena, che prima lo aiutarono a scovare il rifugio di Medusa, poi lo condussero dalle Ninfe Stigie, da cui ricevette i doni per sconfiggere la Gorgone: un paio di sandali alati, una bisaccia magica e un elmo che rendeva invisibili. Con queste "armi" Perseo si recò nella grotta di Medusa, la sorprese nel sonno e la decapitò. Poi infilò la testa nella bisaccia e fuggì, inseguito invano dalle sorelle alate di Medusa, le Gorgoni Euriale e Steno.

ATLANTE PUNITO

Mentre ritornava a Serifo dopo l'uccisione di Medusa, Perseo approdò nel regno di Atlante, uno dei Titani che si erano schierati al fianco di Crono nella guerra contro Zeus. Stanco e ferito, Perseo sperava di trovare ospitalità dal gigante, che invece lo cacciò in malo modo. Offeso, Perseo estrasse allora dalla bisaccia la testa recisa della Medusa e la mostrò ad Atlante. Neppure la morte aveva cancellato il potere pietrificante dello sguardo di Medusa, che trasformò Atlante in una montagna così alta da reggere con la sua cima l'intera volta celeste.

COLPO DI FULMINE

Di ritorno dalla terra delle Gorgoni, Perseo passò in volo sopra l'Etiopia. Lì vide una fanciulla bellissima, Andromeda, incatenata a uno scoglio. Era la figlia di Cefeo e Cassiopea, sovrani della regione, e l'attendeva una sorte orrenda: infatti il padre, in ossequio ai consigli dell'oracolo, aveva deciso di sacrificarla al mostro marino che Poseidone, per punire Cassiopea (colpevole si essersi dichiarata più bella delle Nereidi), aveva inviato contro l'Etiopia. La sorte della fanciulla sembrava dunque segnata, ma Perseo, stregato dalla sua bellezza, si recò da Cefeo e gli promise, in cambio della mano della figlia, di uccidere il mostro. Poi raggiunse Andromeda e, grazie ai sandali alati ricevuti in dono dalle ninfe, piombò sul mostro dall'alto e lo decapitò. Tornato a corte, Perseo trovò però una brutta sorpresa: mentre era lontano, un altro pretendente di Andromeda, Fineo, si era fatto avanti e, con il sostegno di Cassiopea, aveva avanzato pretese sulla fanciulla. La rivalità tra i due uomini sfociò presto in una rissa, durante la quale Perseo, per difendersi dall'assalto di Fineo spalleggiato da decine di sostenitori, dovette estrarre  la testa della Medusa e pietrificarli. Poi sposò Andromeda e con lei partì per Serifo, dove trovò la madre Danae asserragliata in un tempio: in assenza di Perseo, infatti, Polidette aveva tentato più volte di violentare la donna, che per salvarsi si era rifugiata in quel luogo sacro e inviolabile. Furibondo con Polidette, Perseo si recò alla sua reggia e lo pietrificò, mettendo sul trono, al suo posto, il fratello Ditti. Dopodichè lasciò la moglie a Serifo e partì per Argo, dove intendeva riconciliarsi con re Acrisio. Quando giunse in città, tuttavia, scoprì che il nonno era già fuggito a Larissa, per timore che si compisse l'oracolo secondo cui sarebbe morto per mano di un figlio di Danae. Cosa che in effetti avvenne, in quanto Perseo, giunto a Larissa in cerca del nonno, lo colpì accidentalmente con un disco metallico durante una gara di lancio, uccidendolo. Straziato dal dolore, l'eroe tributò solenni onori funebri al defunto e si rifiutò di sostituirlo sul trono. Lasciò quindi lo scettro di Argo al cugino Megapente, dal quale ricevette in cambio Tirinto, città su cui governò fino alla morte al fianco della moglie Andromeda.


IL VOLTO PERFETTO DELL'AMORE

Eroe nazionale e benevolo, Perseo fu assai popolare nel medioevo, quando la sua passione per Andromeda divenne simbolo dell'amore coniugale perfetto. Tra il XIV e XVI secolo molti artisti furono suggestionati dalla sua figura, e tra questi Benvenuto Cellini, autore di una statua in bronzo ritenuta un capolavoro del Rinascimento. Nel seicento il mito di Perseo fu celebrato da pittori come Pieter Paul Rubens e Rembrandt, drammaturghi come Calderòn de la Barca e Pierre Corneille, musicisti come Claudio Monteverdi e Jean-Baptiste Lully. Meno rilevante la produzione artistica nei secoli successivi, se si eccettua una statua in marmo firmata da Antonio Canova e raffigurante il trionfo dell'eroe su Medusa. Nel XX secolo Perseo ha trovato spazio, oltre che al cinema, nel mondo dei fumetti, dove la Marvel Comics ha creato un supereroe con il suo stesso nome.