sabato 17 dicembre 2011

NARCISO


Col suo mito si sono confrontati artisti, teologi, scrittori, studiosi di ogni epoca. Difficile sottrarsi al fascino del giovane semidio così innamorato della propria immagine riflessa da lasciarsi morire per l’impossibilità di possederla. Eppure, alle origini del mondo greco, la storia di Narciso era considerata niente più che una fiaba pedagogica: un apologo destinato ai giovani sull’inutilità della bellezza senza amore.
Nel mito greco la bellezza è spesso considerata una maledizione. Causa di gelosie, odi, vendette feroci, può costare la vita a chi la possiede, come Adone, oppure produrre guerre rovinose come nel caso di Elena di Troia. Anche Narciso è una vittima della propria avvenenza: amato e desiderato da chiunque lo incontri, egli sfugge l’amore come una disgrazia, attirandosi così l’ira degli dèi che, per castigo, lo faranno innamorare di se stesso.

GENEALOGIA DI NARCISO

Per le sue origini familiari Narciso può essere definito un figlio dell’acqua. Suo padre, infatti, è un dio fluviale, Cefiso, che come tutti i fiumi discende dall’unione tra Oceano, antica personificazione dell’elemento liquido che circonda la Terra, e la moglie Teti. La madre di Narciso, invece, è una Naiade, Liriope, una delle centinaie di ninfe che popolano le sorgenti, i laghi, i ruscelli del mito greco. Un giorno, mentre stava facendo il bagno nelle acque del fiume Cefiso, Liriope fu violentata da dio, che la imprigionò con le sue onde e la possedette contro la sua volontà. Da questo stupro nacque Narciso, che dalla madre ereditò la bellezza fuori dal comun, mentre dal padre prese il carattere asociale. Genealogie differenti, peraltro abbastanza controverse, attribuiscono invece la paternità di Narciso al pastore Amirinto, devoto compagno di Artemide, la dea della caccia, oppure al re dell’Elide Endimione, che avrebbe generato il giovane con Selene, dea della luna.

IL MITO SECONDO OVIDIO

Del mito di Narciso esistono varie versioni, spesso contrastanti tra loro. La più celebre è quella del poeta latino Ovidio che per scriverla rielaborò presumibilmente materiali greci preesistenti. In questa versione del mito, Narciso è un giovane bellissimo che sin dalla nascita suscita attrazione in chiunque lo incontri. Ancora in fasce, la madre Liriope lo porta dal veggente Tiresia per avere lumi circa il suo futuro. La risposta dell’indovino è oscura: Narciso vivrà a lungo purché non conosca se stesso. Una volta cresciuto, Narciso diventa l’oggetto del desiderio di un gran numero di ninfe, verso le quali però ostenta un’indifferenza prossima al disprezzo. Infine si invaghisce di lui la ninfa Eco, a cui Era, per punizione, aveva tolto l’uso della parola: Eco infatti l’aveva ingannata distraendola con le sue chiacchere durante le scappatelle extraconiugali del marito Zeus. A seguito di questa punizione, Eco non può più parlare autonomamente, ma solo ripetere le ultime parole pronunciate da qualcun altro. Ecco perché, quando si innamora di Narciso, anziché tentare di sedurlo apertamente lo segue per settimane di soppiatto nei boschi, riecheggiando tutto ciò che dice nella speranza di suscitare così la sua attenzione. Infine, stremata dal pedinamento, esce allo scoperto e tenta di baciarlo, ma Narciso la respinge con sgarbo e fugge nei boschi. Senza più ragioni per vivere, la ninfa di ritira in un luogo solitario e muore: di lei resterà solo l’eco della bellissima voce. La triste sorte della ninfa ha però commosso Nemesi, feroce dea della vendetta, che decide di punire Narciso per la sua spietatezza: un giorno in cui egli si è avvicinato per bere ad una limpida fonte, la dea fa in modo che si innamori del bellissimo volto che lo fissa nell’acqua. Incantato, Narciso lo contempla per ore, senza rendersi conto che si tratta della propria immagine riflessa. Quando infine scopre l’abbaglio, per la disperazione si lascia morire, e sul luogo dove è spirato spunta un fiore che porterà il suo nome, Narciso. Quanto alla sua anima, anche nell’Oltretomba non smetterà di inseguire il volto amato, di cui cercherà invano di individuare il riflesso nelle acque scure dello Stige.


LE ALTRE VERSIONI

Dal racconto di Ovidio si dissociano altre versioni del mito, in genere più antiche, che tendono a ridimensionare o cancellare del tutto il ruolo della ninfa Eco. In una di queste versioni, elaborata in area tebana, Narciso è un giovane della città di Tespi vanamente amato da un altro giovane, di nome Amenia, che lo corteggia insistentemente. Incapace di liberarsi dallo scocciatore, e d’altra parte indifferente alle gioie d’amore, Narciso finisce per inviare al suo pretendente la propria spada, affinché si suicidi. Amenia, affranto, soddisfa il desiderio dell’amato, ma prima di morire invoca su di lui la maledizione degli dèi, che lo esaudiscono. Così Narciso s’invaghisce del proprio riflesso e, sconsolato per l’irrealizzabilità del suo amore, si toglie la vita – come Amenia – trafiggendosi con la spada. Una variante dello stesso mito racconta invece che Narciso morì annegato, nel vano tentativo di afferrare la propria immagine che vedeva riflessa nell’acqua. Del tutto divergente rispetto a questa tradizione mitologica è invece il racconto di Pausania, scrittore e geografo greco del II secolo d.C. Secondo il “razionalista” Pausania, l’ipotesi che Narciso possa aver scambiato il proprio riflesso per una persona reale, innamorandosene, è palesemente inverosimile. Egli perciò ipotizza che il giovane avesse una sorella di nome Narcisa, che gli somigliava in modo straordinario. Quando la fanciulla morì, il fratello sprofondò nella più cupa depressione. Finché un giorno, specchiandosi in una fonte limpidissima, scambiò il proprio volto riflesso nell’acqua per quello della sorella, e ciò per un attimo alleviò il suo dolore. Da allora Narciso, pur sapendo benissimo di stare ingannando se stesso, prese l’abitudine di recarsi alla fonte, desideroso di rivivere per qualche istante il miracolo di veder tornare Narcisa dall’Aldilà.


NARCISO MODERNO

Il mito di Narciso attraversa l’arte e la cultura occidentale dal Medioevo fino a oggi. Tra le più antiche  rielaborazioni del testo ovidiano vi è quella offerta dal Novellino, raccolta di novelle in prosa del XII secolo dove Narciso è un cavaliere cortese collocato sullo sfondo di una natura incantata. Più vicine a noi la rilettura barocca del mito offerta da Giambattista Marino, ne L’Adone, e quelle novecentesche di Andrè Gide (Il Trattato di Narciso), Umberto Saba (la poesia Narciso al fonte) ed Herman Hesse (Narciso e Boccadoro). Se nella psicanalisi il termine narcisismo è usato da Otto Rank e Sigmund Freud per designare un disturbo nevrotico della personalità, in pittura la dimensione omoerotica del mito è percepibile nei dipinti di Salvator Dalì (Metamorfosi di Narciso, 1936) e Benczùr Gyula (Narcissus, 1881), laddove il preraffaelita John Waterhouse preferisce immergere l’episodio di Eco e Narciso in un’atmosfera arcana e medievaleggiante.