domenica 12 agosto 2012

ERA (GIUNONE)



Moglie, sorella, amante di Zeus, Era (la Giunone romana) rappresentava agli occhi dei Greci l’altra faccia del potere divino, quella femminile. Un volto non di rado minaccioso nei confronti dei mortali, verso i quali, per gelosia, rabbia oppure vendetta, poteva mostrarsi spietata: ma anche un volto in cui ogni uomo, e soprattutto ogni donna, poteva trovare conforto, perché tra i poteri attribuiti a Era vi era quello di proteggere i matrimoni e le partorienti.
Venerata in tutta la Grecia, Era aveva il piglio della vera regina: caparbia, autoritaria, anche spietata se serviva. Pronta a scontrarsi con Zeus pur di difendere i propri diritti, e a tramare contro di lui se temeva di essere messa in disparte.. una figura di rilievo nel panorama dell’Olimpo greco, poiché introduceva in un universo maschilista il controcanto di una forte personalità femminile.

GENEALOGIA DI ERA

Figlia del titano Crono e della titanide Rea, Era, come tutti i suoi fratelli e le sue sorelle fuorché Zeus, finì inghiottita dal padre, che la rigettò alla vita solo grazie alla temerarietà dello stesso Zeus. In seguito, durante la lotta tra Olimpi e Titani, fu allevata alle estremità del mondo da Oceano e Priamo, i suoi genitori adottivi, ai quali rimase molto legata. Non si sa quando nacque il suo amore per Zeus: secondo alcuni, i due fratelli si erano uniti segretamente già all’epoca in cui Crono regnava ancora sui Titani. In ogni caso, Zeus ed Era si sposarono dopo il divorzio del re degli dèi da Temi, la sua seconda moglie, ed ebbero insieme quattro figli: Efesto, Ares, la dea del parto Ilizia (di qui il ruolo protettivo di Era sulle donne gravide) ed Ebe, personificazione della giovinezza. Fonti meno canoniche, tuttavia, sostengono che due di questi figli, Efesto ed Ares, furono generati dalla regina dell’Olimpo da sola, per vendicarsi di Zeus che, senza ricorrere all’elemento femminile, aveva dato alla luce Atena.

IROSA E SUSCETTIBILE

Pochi argomenti hanno stimolato la fantasia degli autori greci quanto la suscettibilità di Era. Si può dire, anzi, che l’intero corpus di leggende dedicate alla dea non sia altro che una variazione sul tema della sua irascibilità, spesso all’origine di terrificanti vendette.
A scatenare la furia di Era è, in particolare, l’infedeltà di Zeus, un marito tanto prepotente quanto inaffidabile, perennemente alla ricerca di ninfe o donne da sedurre e ingravidare. Un’infedeltà quasi patologica, quella del re degli dèi, alla quale Era reagisce in due modi: o scagliandosi contro il marito in furiose liti coniugali o, più spesso, rivalendosi sui figli nati dalle sue avventure. Così l’incolpevole Eracle è costretto a patire ogni genere di tormenti – tra cui le dodici fatiche – solo per il fatto di essere figlio di Alcmena, amata da Zeus; e Dioniso, nato dalla passione del re dell’Olimpo per Semele, sconta l’identità del padre sprofondando in una spirale di follia da cui stenterà a liberarsi.
Altre volte Era si vendica direttamente sulle amanti del marito: Latona, per esempio, incinta di Apollo e Artemide, è costretta a vagare per mesi alla ricerca di un luogo dove partorire perché Era ha proibito a tutte le città greche di darle asilo. E sorte ancora peggiore tocca alla povera Callisto, una delle ninfe devote ad Artemide, per conquistare la quale Zeus ha assunto sembianze femminili: non appena viene a sapere dell’ennesimo tradimento, Era, con una magia, la tramuta in orsa, e poi convince Artemide ad abbatterla con una freccia.
Fin qui si tratta di vendette “coniugali”, legate alla cronica incapacità di Zeus di restare fedele alla moglie. Ma ce ne sono altre del tutto gratuite, che scaturiscono solo dal pessimo carattere di Era. La più celebre è quella legata al “giudizio di Paride”, il concorso di bellezza nel quale il principe troiano fu chiamato a decidere chi, tra Afrodite, Era e Atena, fosse più desiderabile. La scelta cadde su Afrodite, e la decisione ebbe conseguenze fatali: Era, infatti, offesa, avversò Paride e i suoi concittadini per l'intera guerra di Troia, battendosi con ogni mezzo pur di provocarne la rovina.


LA SECONDA NASCITA

Solo dopo la sua morte, Eracle si riconciliò con Era. La pace fu sancita da una cerimonia nella quale l’eroe inscenò una seconda nascita, stavolta dal grembo di Era. La dea divenne così la madre immortale di Eracle e questi, ormai assurto al rango di divinità , si riappacificò con lei sposandone la figlia Ebe.

UN CULTO DIFFUSO

Il più celebre tempio di Era sorgeva ad Argo, nel Peloponneso, ma edifici analoghi si trovavano in tutta la Grecia e nelle colonie italiche. A Samo, ogni anno venivano celebrate feste in onore di Era con la commemorazione delle sue mitiche nozze con Zeus.

IL TORMENTO DELLA RUOTA

La bellezza di Era poteva rendere folli gli uomini. Così, Issione, il re dei Lapiti, tentò un giorno di violentare la dea, che si salvò solo perché Zeus, intuito il pericolo, sostituì alla moglie una nube con le sue stesse forme. In seguito il re degli dèi punì duramente Issione, legandolo mani e piedi a una ruota destinata a rotolare in eterno nel cielo.

IL PIACERE DEI SESSI

Tra le tante vittime di Era vi fu anche Tiresia, il celebre veggente. Si racconta infatti che un giorno la dea si fosse messa a discutere con Zeus su chi, tra l’uomo e la donna, provasse maggior piacere in amore. Era sosteneva che fosse l’uomo, Zeus la donna. Ormai ai ferri corti, i due decisero di consultarsi con Tiresia, l’unico che, nella sua esistenza, avesse fatto esperienza di entrambe le condizioni. E poiché l’indovino aveva dato ragione a Zeus – dicendo che, se il piacere dell’uomo è pari a uno, quello della donna arriva a nove – Era, in uno dei suoi soliti e incontrollabili scatti d’ira, lo accecò.

NOZZE DIVINE

Il matrimonio tra Zeus ed Era è quasi un unicum nell’ambito del pantheon greco. In effetti, se si escludono i due sovrani dell’Olimpo e divinità arcaiche come Urano e Gaia o Crono e Rea, sono ben pochi gli dèi maggiori che vantano tra le loro esperienze il matrimonio. Le dee, in particolare, appaiono decisamente restie alle nozze: probabilmente timorose di perdere la loro indipendenza, tutte scelgono la castità (come Atena, Artemide ed Estia) o relazioni fugaci ancorché feconde come Demetra.
Fa eccezione, forse per il suo ruolo di dea dell’amore, Afrodite, il cui matrimonio con Efesto è però frutto degli intrighi di Zeus e si conclude con un doloroso divorzio.
Quanto agli dèi, a parte Zeus e, appunto, Efesto, gli unici a scegliere di sposarsi sono Poseidone e Ade: il primo con la nereide Anfitrite, che diventa così regina dei mari; l’altro con Persefone, figlia di Demetra, strappata adolescente alla madre e costretta a condividere con il dio, per sei mesi all’anno, l’ingrato compito di signora dei morti.
Meno recalcitranti nei confronti delle unioni stabili appaiono invece gli dèi “minori”: Dioniso, per esempio, quando si innamora di Arianna, non esita a portarla con sé sull’Olimpo e a sposarla davanti a Zeus, donandole pure, come regalo di nozze, uno splendido diadema d’oro. E analoga sollecitudine mostra Armonia (figlia di Ares e Afrodite) nei confronti di Cadmo, al quale si unisce in una cerimonia come la più splendida mai organizzata da una divinità.
Infine ci sono i matrimoni delle ninfe, abituali compagne di vita di eroi e re leggendari: il mito greco ne celebra parecchi, ma nessuno supera per fasto e fama quello tra Peleo e Teti, spesso citato dai poeti antichi anche perché, indirettamente, fu la causa della guerra di Troia.


COMPRIMARIA MA NON TROPPO

Meno popolare rispetto a dee come Afrodite e Atena, Era ha dovuto accontentarsi, nell’arte postclassica, di ruoli da comprimaria. La sue apparizioni più rilevanti avvengono, in campo letterario, nei poemi mitologici Lo scherno degli dèi di Francesco Bracciolini e la Feroniade di Vincenzo Monti. In campo figurativo, Era si trova spesso rappresentata nell’ambito del giudizio di Paride o al fianco di Zeus (affreschi di Correggio e Annibale Caracci). In quanto protettrice dei matrimoni, compare in alcuni dipinti del ciclo rubensiano sulle nozze di Maria de Medici, mentre Veronese e Tintoretto la dipingono sui soffitti di Palazzo Ducale mentre colma di doni una donna che personifica Venezia. Poco significativa la presenza di Era nell’arte contemporanea, dove quasi solo il drammaturgo Sean O’Casey allude a lei nel suo lavoro più celebre, Giunone e il pavone.

sabato 4 agosto 2012

ETTORE



È il più nobile tra i protagonisti dell’Iliade, l’unico in cui l’eroismo non scaturisce da una natura semidivina, ma da un’umanità che sfida i limiti in cui si trova imprigionata. Temerario e sensibile, Ettore può fuggire spaventato al cospetto di Achille, ma anche ricacciare la paura e sfidare il rivale in un duello dall’esito prevedibile. Perché in lui il coraggio non è mai disgiunto dalla consapevolezza, dalla coscienza che, di fronte al volere avverso degli dèi, all’uomo non resta altra scelta che morire gloriosamente.
Ettore è il più grande eroe troiano, l’unico che incuta timore anche ad Achille. Adorato dal suo popolo, sa di essere un modello per tutti i suoi sudditi, e per questo si batte al loro fianco pur biasimando le ragioni della guerra. La sua nobiltà d’animo traspare anche nei rapporti privati: nessun altro eroe omerico, infatti, ama quanto lui la moglie, Andromaca, alla quale è legato da un tenerissimo affetto.

GENEALOGIA DI ETTORE

Ettore è uno dei diciannove figli che il re di Troia, Priamo, figlio di Laomedonte e della bella Strimo, ebbe dalla moglie Ecuba. Di quella abbondantissima prole facevano parte altre figure destinate a un posto di primo piano nella mitologia greca: dalla profetessa di sventure Cassandra al traditore Eleno; dal vile Paride all’affascinante Polissena, per la quale, secondo alcune leggende, perse la testa lo stesso Achille. Nessuna di queste figure mitologiche, però, è riuscita a uguagliare in popolarità la figura di Ettore, che grazie all’Iliade divenne presto il prototipo e l’incarnazione del perfetto eroe greco: una combinazione così straordinaria di forza, coraggio, virtù, onestà e pietas che alcuni autori, dissociandosi da Omero, vollero individuare in Apollo il vero padre di Ettore, ritenendo che nessun essere soltanto umano potesse sommare in sé tante qualità quante l’Iliade ne attribuiva al principe troiano.

L’ULTIMO DUELLO

Il mito di Ettore è totalmente frutto della fantasia di Omero. L’eroe troiano, infatti,  non compare (o quasi) negli altri cicli epici e nelle tragedie greche. Tutto ciò che sappiamo di lui, perciò, proviene dall’Iliade, che racconta le sue gesta nell’ultimo anno della guerra di Troia.
Nel poema omerico, l’atteggiamento di Ettore appare inizialmente prudente e quasi pavido: per i primi nove anni del conflitto, infatti, egli ha evitato accuratamente lo scontro in campo aperto con i Greci, e l’unica volta in cui si è trovato al cospetto di Achille, ha ripiegato e si è rifugiato dentro le mura di Troia. Tutto cambia quando lo stesso Achille, in lite con il re acheo Agamennone, decide di ritirarsi dai combattimenti. Allora Ettore, pur tentando di raggiungere un accordo con il nemico, prende il comando delle operazioni, e nel volgere di poco tempo prima fa grande strage di soldati greci, poi sfida Aiace in un duello che si risolve senza vincitori. Ettore anima quindi l’assalto troiano contro le navi achee, e solo l’intervento degli dèi gli impedisce di uccidere celebri eroi come Nestore o Diomede. I Greci, comunque, sono in difficoltà e quando Patroclo, con l’assenso di Achille, decide di accorrere in loro aiuto alla guida dei Mirmidoni, Ettore lo uccide e poi lo spoglia delle armi, malgrado il tentativo greco di impedirlo.
È questo l’ultimo atto eroico di Ettore: poco dopo, infatti, Achille, furente per l’uccisione dell’amico Patroclo, riprende le armi per vendicarlo, e il suo ritorno trascina i Greci alla riscossa. I due rivali, infine, si ritrovano faccia a faccia in un duello da cui dipendono le sorti della guerra: assalito dalla paura, dapprima Ettore fugge, tallonato da Achille che per tre volte lo rincorre attorno alla città. Poi, però, l’eroe troiano, tradito da Atena (che assume le sembianze del fratello Deifobo promettendogli aiuto) accetta lo scontro. Il duello è feroce, ma alla fine Achille ha la meglio. Invano Ettore, agonizzante, supplica il rivale di restituire il suo corpo al padre Priamo. Achille rifiuta, e allora Ettore, con la preveggenza tipica dei morenti, gli profetizza prima di spirare la fine imminente.


ONORI RECIPROCI

Nel sesto libro dell’Iliade, Aiace viene sorteggiato per sfidare Ettore in duello. Lo scontro di protrae fino al tramonto, quando i due rivali si scambiano le armi in segno di reciproco rispetto. In seguito Ettore e Aiace si affronteranno di nuovo nella mischia attorno al corpo di Patroclo.

IL VERO UCCISORE

Anche se a finirlo è Ettore, Patroclo muore in realtà per mano del dio Apollo, che lo tramortisce con un colpo alle spalle durante un assalto e poi lo disarma, lasciandolo in balia dei nemici.

LO SCEMPIO DEL CADAVERE

Dopo avere ucciso Ettore, Achille si accanisce sul suo cadavere, trascinandolo attorno alle mura di Troia legato al suo carro da guerra. Poi lo abbandona nel campo greco, finché, su ordine di Zeus, non accetta di restituirlo a Priamo che lo seppellirà  con grandi onori.

LA LOGICA DELL’AMORE

Nell’Iliade, poema maschile per definizione, sorprende la figura di Andromaca, moglie tebana di Ettore e madre del suo unico figlio, Astianatte. Un personaggio dai tratti patetici, orfana di tutti i suoi familiari – morti in una guerra precedente – e ora prigioniera di un conflitto che mette a rischio la sua stessa libertà. L’ultimo incontro della donna con Ettore, percorso dal presagio della fine dell’eroe, è uno dei momenti più toccanti del poema: un confronto tra la logica dell’amore, impersonata da Andromaca, e quella del dovere, a cui Ettore sceglie a malincuore di obbedire.

L’IDEALE EROICO

Nel mito greco, l’eroe è descritto come un semidio che possiede tutte le possibili qualità umane: il valore, l’astuzia, il vigore, la carità, la saggezza.  In pratica, egli incarna al massimo grado l’ideale etico ed estetico degli antichi Greci, per  i quali un uomo poteva dirsi perfetto solo se era al tempo stesso kalòs kai agathòs, bello e buono, dotato di prestanza fisica e virtù morale.
Un connubio di qualità che si ritrova in tutti i più grandi guerrieri dell’Iliade, siano essi di origine semidivina, come Achille o Memnone, oppure di natura umana, come Menelao e lo stesso Ettore. Ma la medesima compresenza di doti appartiene anche agli eroi preomerici, primo fra tutti Eracle, nel quale la forza fisica non è (quasi) mai disgiunta da un indefettibile senso di giustizia.
Bellezza e virtù, dunque, ma anche valore. Affinché un guerriero diventi un vero eroe è necessario infatti che disponga anche dell’aretè, la capacità di assolvere fino in fondo il proprio compito. Una speciale forza d’animo che gli consente, anche quando sa, come Ettore, di essere destinato alla morte, di scendere comunque sul campo di battaglia, con la volontà e il desiderio di ottenere onore e fama. Perché di questo, in fondo, vivono gli eroi greci: del desiderio di conquistare la gloria, garantendosi, attraverso l’eccezionalità delle proprie gesta, il ricordo dei posteri e il culto, dopo la morte, dei propri seguaci. Questo culto, in genere, non valica i confini della regione d’origine dell’eroe, poiché solo in quell’ambito si ritiene che egli possa esercitare la propria azione protettiva. Talvolta, però, trascende l’ambito locale, diventando un fattore di aggregazione tra le varie città elleniche. È questo il caso di Eracle, i cui templi sorgevano ovunque in Grecia, oppure dell’ateniese Teseo, del quale è attestato il culto, oltre che in Attica, anche i Tessaglia e in Beozia.

IL CAVALIERE PERFETTO

Il primo autore postomerico che si ricordò di Ettore fu Virgilio, che nell’Eneide lo fa comparire in sogno a Enea. Poi fu la volta di Seneca, che inserì la figura dell’eroe nelle Troiane. Nel medioevo, Ettore divenne il modello del cavaliere perfetto e venne inserito nella lista dei “Nove Prodi”, ai quali ogni gentiluomo era chiamato a ispirarsi. Anche Dante fu colpito dalla sua figura, che collocò nel Limbo, destinato agli “spiriti  magni”. In seguito, l’eroe troiano ricompare nel finale dei Sepolcri di Ugo Foscolo e, soprattutto, nel dramma La guerra di Troia non si farà, di Jean Giraudoux, dove Ettore è presentato come un convinto “pacifista”. Quanto alle arti figurative, il mito di Ettore ha fatto da motivo ispiratore a dipinti di Rubens e Giorgio De Chirico e a sculture di Canova e Thorvaldsen, mentre la musica ha omaggiato l’eroe con lavori di Franz Schubert ed Hector Berlioz.