Può
un delitto essere giusto? Da questa domanda nasce la figura di Oreste, il più
“teatrale” tra gli eroi greci, amato dai grandi tragici come Eschilo, Sofocle
ed Euripide, adombrato da Shakespeare nella figura di Amleto, spesso ripreso
anche da autori novecenteschi. Un giustiziere tormentato e infelice, matricida
per vendicare l’assassinio del padre e perseguitato dalle Erinni per questo suo
delitto. Un vero eroe di frontiera, perennemente in bilico tra colpa, follia e
innocenza.
La
figura di Oreste ha origini molto arcaiche: già Omero, nell’Iliade, parlava di
lui come del vendicatore del padre, pur senza accennare all’uccisione di
Clitennestra. Fu però con Eschilo ed Euripide che Oreste divenne un eroe
popolare, protagonista di un ciclo di tragedie nelle quali, attraverso le sue
disavventure, ci si interrogava sui temi etici di giustizia, punizione e
vendetta.
GENEALOGIA
DI ORESTE
Nell’albero
genealogico di Oreste, il tragico e il divino si mescolano in ugual misura. Se
infatti la madre dell’eroe, Clitennestra, era figlia nientemeno che di Zeus, il
dio supremo, il padre Agamennone, re di Micene, discendeva invece da
quell’Atreo che, per vendetta, era giunto a uccidere i tre figli del fratello
Tieste e a darglieli in pasto a sua insaputa. Di qui la maledizione che gravava
su tutta la famiglia di Tieste, a partire proprio da Agamennone. Questi
infatti, dopo aver accettato di sacrificare la figlia Ifigenia – poi
miracolosamente salvata da Artemide – pur di consentire la partenza verso Troia
delle navi achee (bloccate da una bonaccia), aveva rischiato di essere la causa
della sconfitta greca litigando furiosamente con Achille. Al ritorno in patria,
poi, era stato ucciso dalla moglie Clitennestra con la complicità dell’amante
Egisto, figlio di Tieste, che così aveva vendicato l’offesa patita dal padre.
In questo vortice di passioni, tradimenti e delitti, il piccolo Oreste, in
quanto erede designato di Agamennone, pareva destinato al ruolo di vittima
sacrificale. Ma lo salvò l’intervento di Elettra, sua sorella maggiore, che
fece condurre il fratello di nascosto in Focide e lo affidò a Strofio, sovrano
della regione, da cui fu cresciuto come un figlio.
DELITTO E
CASTIGO
Una
volta adulto, Oreste ricevette da Apollo l’ordine di vendicare il padre
uccidendo la madre Clitennestra e il suo amante Egisto. Egli si recò dunque ad
Argo insieme all’amico Pilade, figlio di Strofio, e si fece passare per un
messaggero a cui era stato affidato il compito di annunciare la morte di
Oreste.
Non
appena ebbe saputo la notizia, Clitennestra non nascose il suo sollievo: con la
morte di Oreste, infatti, scompariva l’unico testimone che avrebbe potuto
punirla per i suoi delitti. Convocò quindi a corte Egisto per festeggiare con
lui l’accaduto. Ma mentre di recava a palazzo, l’uomo fu sorpreso e ucciso da
Oreste, che poi affrontò la madre. Invano la donna tentò di placare il figlio
mostrandogli il petto da cui aveva succhiato il latte; il giovane, inizialmente
esitante, ritrovò di colpo la determinazione quando Pilade gli ricordò come il
delitto gli fosse stato ordinato da Apollo. Così sguainò la spada e trafisse a
morte Clitennestra.
Pochi
giorni dopo, al funerale della madre, l’eroe venne per la prima volta visitato
dalle Erinni, le dee della vendetta, che suscitarono in lui un rimorso
inestinguibile. Oreste cercò allora conforto a Delfi, nel santuario di Apollo,
dove venne purificato da dio in persona. Ma l’intervento di Apollo non bastò a
liberare dalla follia del rimorso Oreste, che dovette perciò recarsi ad Atene e
sottoporsi a un regolare processo, celebrato nel luogo dove, più tardi, sarebbe
sorto l’Areopago, il più sacro tra i tribunali ateniesi.
Nel
contraddittorio, l’accusa contro Oreste fu sostenuta dalle Erinni (o, secondo
altre fonti, dal padre di Clitennestra), mentre l’eroe, come d’uso, si difese
da solo. Dopo il dibattimento, si giunse al momento del verdetto, che vide i
giurati dividersi esattamente a metà. Toccò quindi ad Atena esprimere il parere
finale, e la dea assolse l’eroe che, in segno di ringraziamento, le eresse un
altare nel luogo del processo.
SUL TRONO
DEL PADRE
Dopo
l’assoluzione nel processo, Oreste chiese ad Apollo, tramite l’oracolo di
Delfi, come dovesse agire. La Pizia gli rispose che, se voleva liberarsi
definitivamente dalla follia, doveva recarsi in Tauride (l’odierna Crimea) e
sottrarvi la statua di Artemide che il re di quella regione, Toante,
conservava.
Così
l’eroe, in compagnia dell’inseparabile Pilade, si mise in viaggio verso il Mar
Nero; ma, al suo arrivo, fu catturato dagli abitanti della regione che, come
loro consuetudine, destinarono lui e Pilade, in quanto stranieri, a essere
sacrificati alla dea Artemide.
La
sacerdotessa che doveva occuparsi del rito era però Ifigenia, sorella di
Oreste, la quale riconobbe il fratello e, svelata la propria identità, si offrì
di aiutarlo nel furto della statua. Si recò perciò da Toante e gli comunicò di
non poter sacrificare lo straniero (colpevole di un delitto orrendo come il
matricidio) senza prima aver purificato lui e la statua di Artemide nell’acqua.
Il
re assentì e Ifigenia, recatasi in riva al mare, riuscì con un pretesto ad
allontanare le guardie della scorta e a imbarcarsi con Oreste e Pilade su una
nave attraccata lì vicino, fuggendo con la statua.
Dopo
questa ennesima disavventura, Oreste, ormai libero dalla sua maledizione, decise
di far valere i propri diritti. Si recò perciò a Sparta e rapì sua cugina
Ermione, figlia del re Menelao, che gli era stata promessa in sposa quando era
poco più di un bambino. Quindi convolò a nozze con la fanciulla, non senza però
averne ucciso il marito Neottolemo, figlio di Achille, con il quale Ermione era
infelicemente sposata.
In
seguito Oreste divenne re di Argo e Sparta, città rimaste senza eredi al trono,
e regnò su entrambe per settant’anni, lasciandole quindi in dote al suo unico
figlio Tisameno, che però sarebbe stato ucciso dai discendenti di Eracle.
VARIAZIONI
SUL MITO
Se
nelle sue linee generali il mito di Oreste appare abbastanza definito, numerose
sono però le varianti legate ai vari autori che l’hanno trattato. Nella versione
omerica, per esempio, quale emerge soprattutto dall’Odissea, Oreste uccide
Egisto e Clitennestra senza alcuna esitazione, e dopo il delitto non viene
tormentato dalle Erinni, in quanto il suo omicidio è un atto di pura giustizia.
Eschilo, invece, fa scattare la persecuzione delle dee della vendetta
immediatamente dopo l’assassinio, mentre per Sofocle (che concentra la sua
attenzione soprattutto su Elettra) l’eroe esita a lungo prima di uccidere la
madre. Infine, in Euripide, il tema delle Erinni torna in primo piano, tanto
che Oreste, per liberarsi dalla loro presenza, non solo deve sottoporsi al
processo in Atene ma anche al lungo viaggio di espiazione in Tauride.
UN EROE CARO
AI DRAMMATURGHI
Affermatosi
come uno dei temi portanti della tragedia greca, il mito di Oreste ha
continuato, anche in epoca postclassica, ad avere una valenza soprattutto
teatrale. Così, a partire dal XV secolo, non si contano gli autori che hanno
accettato l’ardua sfida di misurarsi con la voce drammatica dei tragediografi
greci: da Giovanni Rucellai, con il suo Oreste
(tragedia ispirata all’Ifigenia in
Tauride di Euripide) a Vittorio Alfieri, da Wolfgang Goethe a Voltaire. Per
non parlare, in epoca già quasi contemporanea, di Jean-Paul Sartre (Le Mosche) e Jean Giraudoux (Elettra). Meno cospicua la presenza del
mito di Oreste negli altri ambiti artistici, anche se non si possono scordare l’opera
Elettra di Richard Strauss, su
libretto di Hugo von Hofmannsthal, e il celebre dipinto I rimorsi di Oreste del francese William-Adolphe Bouguereau.