Personificazione
ellenica della Luna, Selene, la “splendente”, era una dea sfuggente e
misteriosa. Raffigurata come una giovane donna che percorre il cielo su una
carro d’argento trainato da cavalli, compariva raramente nei miti, e quasi
sempre come oggetto del desiderio di divinità maschili più note. In un solo
caso gli antichi le attribuirono un ruolo da protagonista: nel mito di
Endimione, il fascinoso re dell’Elide per il quale Selene aveva completamente
perso la testa…
Nel mondo
greco il culto di Selene non era molto sentito. Tuttavia la sua figura distante
ed erotica al tempo stesso non poteva suggestionare i poeti, che difatti ne
cantarono a più riprese il fascino. Con il passaggio al mondo romano, poi, la
dea della luna venne identificata con quella della caccia Diana, in una
sovrapposizione di attributi che contribuì a renderne popolare la figura.
GENEALOGIA DI SELENE
Assimilabile
ad analoghe ma più antiche divinità lunari, come la mesopotamica Ishtar e
l’egizia Iside, Selene era figlia di Titani. I suoi genitori, difatti, erano
Iperione e Teia, dèi della prima generazione, nati entrambi dagli amori tra
Urano, il Cielo, e Gaia, la Terra. Iperione e Teia, benché fratelli, avevano
presto scoperto di amarsi, e dalla loro relazione erano nati tre figli: oltre a
Selene, anche Eos, l’Alba, ed Elio, il Sole. I tre erano legati da grande
affetto reciproco, ma Selene prediligeva il fratello Elio, al punto che si
diceva che fosse la sua amante e che con lui avesse generato le Ore. Ma queste
erano versioni minori del mito, che in genere attribuiva a Selene un’unica
figlia, Pandia, nata dalla sua relazione con Zeus. Altri autori, invece,
sostenevano che, oltre a Pandia, Selene con il re dell’Olimpo avesse generato
anche Erse, la Rugiada, più spesso però ritenuta figlia di Eos. C’erano infine
molti mitologi secondo i quali anche l’unione di Selene con Endimione era stata
feconda, anche se esistevano parecchie incertezze circa l’identità e il numero
dei figli generati dalla coppia.
GLI AMORI DELLA DEA
Divinità
multiforme e inafferrabile, Selene era ricordata soprattutto per i suoi
numerosi amori, quasi sempre circondati da un’aura di mistero. A partire dal
primo e più importante (almeno in termini gerarchici), quello con Zeus, sul
quale non a caso non esistevano o quasi leggende. Certamente più ricca di
risvolti la storia d’amore tra Selene e Pan, il dio-capro, anche se alla fine
l’intero mito si riduceva all’inganno escogitato da quest’ultimo per sedurre la
Luna. Consapevole di ripugnare alla dea, che trovava disgustoso il suo pelo
nero e irsuto, Pan di avvolse infatti completamente in un candido manto di
pecora, rendendosi irriconoscibile. In tal modo riuscì a possedere la Luna,
anche se poi dovette farsi perdonare l’inganno regalandole una mandria di sua proprietà.
Tra gli
amori vissuti da Selene, il più popolare era comunque certamente quello per
Endimione, il re pastore, al quale la dea era legata da una passione
irrefrenabile. Pur di incontrarlo nella sua grotta, Selene spariva ogni notte
dietro la cresta del monte Latmio, in Asia Minore, lasciando il cielo
nell’oscurità. E poiché temeva che un giorno quel giovane così affascinante
potesse lasciarla, Selene finì per imprigionarlo in un sonno eterno, così da
potersi recare indisturbata ogni notte nel suo antro ad ammirarlo.
Altre
leggende sostenevano invece che il sonno da cui era stato sopraffatto Endimione
fosse una punizione di Zeus, piccato perché aveva scoperto il giovane mentre
corteggiava sua moglie Era. E altre ancora, al contrario, interpretavano il
letargo di Endimione come un dono di Zeus, che in tal modo aveva soddisfatto la
richiesta del giovane di sfuggire alla vecchiaia e alla morte. Qualunque versione
scegliessero di abbracciare, su un punto la maggior parte dei poeti che aveva
raccontato il mito sembrava concorde: quella tra Selene ed Endimione era stata
un’unione feconda. Addirittura qualcuno, come lo scrittore greco Pausania, si
spingeva a quantificare il numero delle figlie nati dagli amori tra il pastore
e Selene, contandone almeno cinquanta.
UN CULTO MINORE
Nel pantheon
greco, Selene era una divinità secondaria, quasi periferica. Non a caso, per
quanto ne sappiamo, in tutto il mondo ellenico le era dedicato un unico tempio,
in Laconia, dove peraltro le si attribuivano anche poteri oracolari.
Più sentita
la venerazione per Selene a Roma, se non altro per la frequente identificazione
con Diana, la dea della caccia. Anche nell’Urbe, peraltro, esisteva un solo
tempio specificatamente dedicato alla Luna: si trovava sull’Aventino e si
diceva l’avesse inaugurato Servio Tullio, il sesto re della città.
IL DIO DEL SOLE
Fratello di
Selene, Elio, il dio del Sole, era descritto come un giovane bellissimo,
prestante, con la testa circonfusa di raggi che davano ai suoi capelli
affascinanti sfumature d’oro. Considerato “l’occhio del mondo”, che tutto vede
e tutto sente, era spesso interpellato dalle altre divinità per sapere ciò che
era sfuggito al loro sguardo: così Demetra si rivolse a lui per sapere chi le
avesse rapito la figlia Persefone, mentre Efesto scoprì proprio dal dio del
Sole i tradimenti di sua moglie Afrodite con Ares.
In genere,
tuttavia, nei racconti e nelle raffigurazioni mitologiche, Elio era quasi
sempre rappresentato al “lavoro”, mentre percorreva il cielo sul suo carro di
fuoco trainato da cavalli velocissimi: Piroide, Eoo, Etone e Flegone, tutti
nomi che richiamano l’idea del fuoco, della fiamma o della luce.
Secondo il
mito, Elio partiva ogni mattina all’alba dal palazzo d’oro che aveva in
Oriente; percorreva quindi l’intera volta celeste lungo lo stretto sentiero che
taglia in due il cielo, e la sera si riposava nel suo palazzo d’Occidente,
mentre i cavalli, stremati, pascolavano sull’isola dei Beati.
Sposato con
Perseide, una ninfa figlia di Oceano e Teti, Elio aveva avuto da lei diversi
figli, tra cui la maga Circe. Ma il figlio che più gli somigliava era Fetonte,
nato dalla sua relazione con la bella Climene, un giovane ambizioso al quale,
in un’occasione, Elio aveva addirittura concesso di guidare il carro solare. Un
errore fatale, perché Fetonte, incapace di tenere a bada i focosi destrieri,
aveva perso totalmente il controllo del carro, giungendo a un passo dall’incenerire
la Terra. Fu così costretto ad intervenire Zeus che, per evitare una
conflagrazione universale, dovette fulminare con una folgore Fetonte, di cui
poi fece precipitare il corpo esanime nel fiume Eridano.
UNA PASSIONE IMMORTALE
Nel mondo
postclassico, l’unico mito su Selene che sopravvisse alla dimenticanza fu
quello relativo alla passione della dea per Endimione. Così John Lyly, autore
elisabettiano, dedicò a quell’amore impossibile un dramma mitologico (Endymion, the Man in the Moon), seguito
poi da Pietro Metastasio che nel 1721, a ventun anni, costruì sulla vicenda la
sua prima serenata musicale. Anche Oscar Wilde si interessò al mito, sul quale
scrisse una poesia in cui il sonno di Endimione è interpretato come l’estremo
custode di una bellezza senza macchia. In campo figurativo, la passione tra
Selene e il re pastore è stata tra l’altro immortalata da Antoon Van Dick,
Nicolas Poussin e Anton Raphael Mengs, mentre la musica ha utilizzato il mito
come soggetto idillico in numerose opere del XVII-XVIII secolo, tra cui una
cantata di Johann Sebastian Bach (1713).