Il suo nome significava “cielo”, e degli spazi
celesti Urania conosceva anche i minimi dettagli. Affascinante Musa
dell’astronomia, era spesso raffigurata come una giovane maga, con una veste di
seta azzurra, la testa coronata di stelle e, al fianco, un grande globo
raffigurante la volta celeste. Ma tra le mani Urania teneva quasi sempre un
compasso, a riprova degli stretti legami che, per i Greci, intercorrevano tra
l’astronomia, la geometria e la matematica.
Divinità priva di un ciclo mitologico proprio,
Urania era una delle nove Muse, le dee ispiratrici del canto e di tutte le
attività intellettuali. Dette anche Eliconie perché avevano sede sul monte
Elicona, in Beozia, le Muse in origine erano appena tre. Solo in età classica
si cominciò a considerarle nove, anche se alcuni autori ne ridimensionavano il
numero a quattro, sette oppure otto.
GENEALOGIA
DI URANIA
Al pari delle altre Muse, Urania era figlia della
dea della Memoria Mnemosine e del signore dell’Olimpo Zeus, che avevano
generato le nove sorelle nel corso di altrettante notti d’amore.
La patrona dell’astronomia aveva dunque origini
assai nobili, poiché tra i suoi antenati poteva vantare i tre sovrani che si
erano succeduti sul trono del cosmo dall’inizio dei tempi: il primordiale
Urano, che della giovane musa era nonno materno; il terribile Crono, a cui
Urania era legata tramite il padre Zeus; e, appunto, Zeus, grazie al quale
Urania e le sue sorelle – caso quasi unico al di fuori della cerchia degli dèi
più potenti – avevano il privilegio di poter risiedere sull’Olimpo. Altre
tradizioni mitologiche attribuivano invece a Urania – e alle Muse in genere –
un’origine differente, facendole discendere da Urano e Gaia oppure da Armonia,
la bellissima dea della concordia, e da un padre di identità misteriosa.
LE
DEE DEL CANTO
Le Muse, in epoca arcaica, erano considerate
semplicemente le dee ispiratrici della musica, la più nobile fra tutte le arti.
In seguito, tuttavia, le loro funzioni si ampliarono, e nel mondo ellenico si
cominciò a pensare alle nove figlie di Zeus e Mnemosine come alle divinità che
presiedevano al pensiero nelle sue varie manifestazioni: dall’eloquenza alla
storia, dalla poesia all’astronomia fino al teatro.
Spesso raffigurate nell’atto di rallegrare Zeus con
i loro canti e le loro danze, le Muse, secondo il poeta greco Esiodo (VII-VI
secolo a.C.), avevano un’influenza benefica anche sulle vite umane: esse,
infatti, non solo instillavano nei sovrani l’eloquenza necessaria per placare
le dispute e salvaguardare la pace, ma, quando ispiravano i poeti, regalavano
loro parole così dolci da placare all’istante le preoccupazioni e le ansie di
chi li ascoltava.
Secondo i mitografi greci, le Muse, in quanto dee
del canto, avevano un rapporto strettissimo con Apollo, il dio della musica,
che era al tempo stesso il loro protettore e il loro signore. Detto non a caso
Musagete, cioè “guida delle Muse”, Apollo trascorreva con le sue protette gran
parte del proprio tempo, dirigendo i loro cori sul monte Parnaso, presso la
città di Delfi, o assistendo alle loro danze attorno alla fonte di Ippocrene,
alle pendici del monte Elicona.
L’identità delle singole Muse è stata a lungo
oggetto di discussione da parte degli antichi. Tuttavia, man mano che si
affermava l’idea che esse fossero nove, anche la loro personalità individuale
cominciò a prendere forma. Così, accanto a Urania, la musa dell’astronomia, vi
erano Clio, quella della storia, e Polimnia, dea degli inni sublimi. La danza
era sotto la protezione di Tersicore, spesso considerata la madre delle Sirene,
mentre alla commedia e alla tragedia presiedevano rispettivamente Talia, la
“festiva”, e Melpomene.
Infine Calliope, “dalla bella voce”, era considerata
la musa della poesia epica, da non confondere con quella lirica, affidata a
Euterpe, e con la poesia erotica, a cui presiedeva la fascinosa Erato.
IL
CANTORE ARROGANTE
Alla divina Urania molti mitografi greci
attribuivano un figlio, Lino, che la musa avrebbe generato con il dio Apollo
oppure con il tebano Anfimaro.
Cantore di considerevole talento, Lino aveva
perfezionato il suono della lira sostituendone le corde in budello con quelle
in fibra vegetale. Tra i suoi meriti, inoltre, si annoverava l’invenzione del
ritmo e, forse della melodia, nonché la diffusione in Grecia dell’alfabeto
fenicio, che secondo alcuni gli era stato insegnato dall’eroe tebano Cadmo.
Fin troppo consapevole delle sue qualità, Lino finì
tuttavia per montarsi la testa, commettendo un errore fatale: sfidò nell’arte
del canto Apollo, il quale, indispettito da tanta arroganza, lo uccise.
Un’altra versione del mito sosteneva invece che a
uccidere Lino fosse stato Eracle, esasperato dalle continue punizioni di quel
maestro troppo severo nei confronti della sua scarsa attitudine musicale.
DUELLI
CANORI
La presenza delle Muse nella mitologia greca è al
tempo stesso capillare e periferica. Da un lato non si contano i racconti in
cui le nove figlie di Mnemosine compaiono nelle vesti di cantatrici e
danzatrici divine, con il compito di allietare matrimoni leggendari come quello
di Cadmo e Armonia o di celebrare trionfi epocali come la vittoria di Zeus e
degli Olimpi sui Titani.
D’altro canto sono rarissimi i miti in cui le Muse
assumono il ruolo di protagoniste. Tra questi, uno dei più famosi è quello che
celebra il loro duello con le Pieridi, figlie del re di Emazia Pierio, nove
sorelle che si ritenevano migliori delle Muse nell’arte del canto: così si
recarono sul monte Elicona e le sfidarono, ma furono battute e, per vendetta,
le Muse le trasformarono in gazze.
Peggio di loro andò alle Sirene che, avendo anch’esse
dubitato della supremazia musicale delle Muse, scoprirono troppo tardi che la
magia delle loro voci nulla valeva al confronto di quella delle figlie di
Mnemosine, e finirono spiumate – nella mitologia greca, infatti, le Sirene
erano donne con corpo da uccello – e private della loro bellezza.
Chi però subì la sorte peggiore fu Tamiri, un
cantore tracio che riteneva ineguagliabile la combinazione di note generata
dalla sua voce e dalla sua lira. Avendo osato sfidare le Muse in un duello
musicale dalla posta altissima – se avesse vinto, infatti Tamiri avrebbe potuto
giacere con tutte e nove le Muse – fu, com’era inevitabile, sconfitto. Dovette perciò
patire l’immancabile ritorsione da parte delle figlie di Mnemosine che, ancora
una volta, si dimostrarono tanto divine nel canto quanto terribili nella
vendetta, accecando Tamiri e privandolo proprio di quell’arte canora di cui
andava tanto orgoglioso.
LA
DECIMA MUSA
Nella letteratura medievale, le Muse sono spesso
evocate come rappresentanti delle arti, ma di rado con specifici caratteri
individuali. Così Dante, nella Divina
Commedia, le invoca genericamente come ispiratrici di poesia, e Shakespeare
dedica uno dei suoi sonetti alla decima musa, “dieci volte più degna di quelle
antiche”. Anche il poeta romantico Friedrich Schiller celebra indirettamente le
figlie di Mnemosine, attraverso la sua rivista Almanacco delle Muse, mentre nella letteratura contemporanea vaghi
riferimenti alle nove sorelle si trovano in Baudelaire, Pavese e Sylvia Plath. L’arte
figurativa rappresenta più volte le muse, sia attraverso dipinti di Poussin,
Goya e De Chirico sia tramite le statue di Canova e Brancusi. Celebri, infine,
in campo musicale, le opere-balletto composte sul tema delle muse da
Jean-Baptiste Lully e Jean-Jacques Rousseau.