Il nome Sibilla, nell’antica Grecia, indicava qualunque sacerdotessa di Apollo avesse ricevuto dal dio il dono della profezia. Dunque non una figura precisa, bensì una schiera di veggenti distinguibili soprattutto per la regione in cui erano nate. Così c’era la Sibilla Libica, la Sibilla Eritrea e, più celebre di tutte, la Sibilla Cumana. Esisteva anche una Sibilla di Marpessa, in Troade, che come Cassandra, la famosa profetessa di sventure, era nota perché annunciava quasi solo disgrazie.
Secondo alcuni autori erano quattro, secondo altri dieci.
Platone ne ricorda una sola, mentre poeti di epoca più tarda giunsero a
contarne trenta. Insomma, il numero delle sibille era, per i greci antichi,
misterioso quanto le loro profezie che svelavano sì agli uomini il futuro, ma
nel linguaggio iniziatico degli enigmi e dei culti misterici.
GENEALOGIA
DELLE SIBILLE
Delle tante Sibille di cui parla la mitologia, poche hanno una
genealogia ricostruibile o degna di nota. La Sibilla di Marpessa, Erofile, per
esempio, era ritenuta figlia di un’ignota ninfa dei boschi e di un pastore
della Troade chiamato Teodoro, due personaggi troppo anonimi perché gli autori
greci si preoccupassero di ricostruirne le ascendenze. Del tutto sconosciute
anche le genealogie della Sibilla Cumana e di quella Tiburtina, le due più
celebri profetesse italiane, mentre l’identità dei genitori della Sibilla
d’Eritre, in Lidia, coincide curiosamente con quella del padre e della madre
della Sibilla di Marpessa. Ben più chiare le origini della prima di tutte le
Sibille, di origine troiana, e della Sibilla Libica: l’una era una giovane
fanciulla, di nome appunto Sibilla, nata dall’unione tra l’eroico Dardano,
discendente da Zeus, e la Nereide Neso, figlia del re della Troade Teucro.
Quanto alla Sibilla Libica, aveva addirittura due divinità tra i suoi antenati:
il padre Zeus, che l’aveva generata con la bellissima regina di Libia Lamia, e
il nonno materno Poseidone.
LA
“DIVINA FOLLIA”
Un grande filosofo come Platone faceva discendere l’arte della
profezia, la cosiddetta “mantica”, dalla parola greca mania, follia: essa, dunque, era l’espressione di un sapere
irrazionale che oltrepassava le possibilità della conoscenza umana.
A questo tipo di illuminazione, secondo i Greci, si poteva
accedere per vie diverse: ad esempio praticando l’oniromanzia,
l’interpretazione dei sogni, oppure la necromanzia, che consisteva nell’entrare
in contatto, tramite speciali riti, con i defunti. C’era poi l’empiromanzia,
ossia l’arte di trarre presagi dall’osservazione del fuoco dei sacrifici, o,
ancora, la iatromanzia, una variante dell’oniromanzia legata alla decifrazione
dei sogni dei malati. Una forma particolare di divinazione era infine quella
che veniva praticata nei templi come Delfi, dove il dio parlava direttamente agli
uomini per bocca del suo oracolo.
In tutte queste forme di divinazione, un ruolo cruciale aveva
comunque sempre il prophetes che, in
stato di trance, si lasciava possedere dal dio esprimendone la volontà. Gli
indovini greci erano personaggi leggendari o che si ricollegavano a un mitico
capostipite. Non erano sacerdoti in senso stretto, né la pratica della loro
arte era legata a un tempio particolare. Spesso, anzi, erano figure itineranti,
come la Sibilla di Marpessa, che profetizzava l’imminente distruzione di Troia
vagando di città in città con un grosso masso su cui saliva per lanciare i suoi
spaventosi vaticini.
La facoltà di farsi portavoce della volontà di Apollo poteva
essere posseduta in ugual misura da uomini e donne. Tra i primi, molto noti
erano l’omerico Calcante, infallibile nell’interpretazione del volo degli
uccelli, e il tebano Tiresia, che predisse la morte di Narciso e svelò colpe di
cui, a sua insaputa, si era macchiato Edipo. In ambito femminile, invece, le
veggenti di maggior fama furono la troiana Cassandra, profetessa di sventura, e
le varie Sibille, una delle quali, nata a Eritre, in Lidia, aveva predetto che
sarebbe stata uccisa da una freccia del suo dio, Apollo. Cosa che in effetti
avvenne, ma solo dopo che la donna aveva vissuto per quasi mille anni.
IL
RISARCIMENTO
Esistevano varie leggende sul modo in cui il tebano Tiresia
aveva acquisito l’arte della profezia. Una delle più celebri sosteneva che a
donargliela fosse stata Atena, come risarcimento per averlo accecato dopo che
l’indovino, casualmente, l’aveva vista nuda mentre si lavava in una sorgente.
L’OMBELICO
DEL MONDO
Il tempio di Delfi, sul monte Parnaso, era il più importante
dell’antichità, e per questo veniva chiamato “l’ombelico del mondo”. Il suo
oracolo, controllato da Apollo, attirava da tutta la Grecia numerosi fedeli,
ansiosi di conoscere i responsi che la Pizia, la sacerdotessa devota al dio,
pronunciava seduta su un tripode.
PUNITA DA
APOLLO
Amata da Apollo, la troiana Cassandra rifiutò il
corteggiamento del dio e, per questo, fu condannata a profetizzare senza essere
creduta. Dopo la presa di Troia, venne oltraggiata da Aiace Oileo nel tempio di
Atena e poi ceduta al re Agamennone che, innamorato, la portò con sé a Micene.
Morì per mano della moglie di Agamennone.
VISIONI
PROFETICHE
Dio profetico per antonomasia, Apollo aveva decine di oracoli
sparsi per tutto il Mediterraneo. Molto celebri, oltre a quello di Delfi, erano
gli oracoli di Didima, presso Mileto, e di Hieropolis, in Siria, dove il dio si
esprimeva senza mediazioni umane, attraverso movimenti e prodigi compiuti da un
suo simulacro. In territorio greco, un oracolo particolare era invece quello di
Trofonio, creato su richiesta di Apollo a Lebadea, in Beozia. Qui il fedele
veniva condotto in un antro sotterraneo nel quale, seduto sul bordo di una
voragine, piombava in uno stato di allucinazione accompagnato dalla sensazione
di sprofondare nel baratro. Toccava quindi ai sacerdoti interpretare quello che
il fedele aveva potuto sperimentare nel corso delle sue visioni.
LA
SIBILLA DI CUMA
La maggior parte delle leggende relative alle profetesse di
Apollo sono di origine latina e riguardano la Sibilla Cumana. Forse nata ad
Eritre, nell’odierna Turchia, questa sacerdotessa profetizzava da una grotta
situata presso l’antica città di Cuma, in Campania. Di lei si diceva che avesse
fatto innamorare Apollo al quale, in cambio della sua verginità, aveva chiesto
tanti anni di vita quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere in una
mano. Apollo acconsentì, ma a patto che ella non toccasse mai più il suolo di
Eritre. Cosa che la Sibilla Cumana fece. Ma un giorno, avendo ricevuto una
missiva, non si accorse che il sigillo era sporco di terra di Eritre e, nel tentare
di aprirla, morì.
Una variante dello stesso mito racconta invece che la Sibilla
Cumana, nel chiedere ad Apollo l’eternità, si fosse scordata di pretendere da
lui anche l’eterna giovinezza. Così, invecchiando, divenne sempre più minuscola
e rinsecchita, fino a che, ridotta alle dimensioni di un insetto, venne chiusa
in un vasetto da dove, a chi le chiedeva i suoi vaticini, rispondeva solo di
voler morire.
La Sibilla Cumana compare anche nell’Eneide, dove Virgilio le
affida il compito di guidare il troiano Enea negli inferi. È lei in particolare
a placare l’ira di Caronte mostrandogli un ramoscello d’oro, e quindi a
condurre l’eroe nel cuore dell’oltretomba, dove Enea incontrerà le ombre della
moglie suicida Didone e del padre Anchise.
Un’ultima leggenda racconta infine che un giorno la Sibilla
Cumana si presentò da Tarquinio il Superbo offrendogli i sei libri contenenti
gli oracoli sibillini. Tarquinio rifiutò, ritenendo il prezzo troppo alto, e
allora la Sibilla bruciò uno dei sei libri. La scena si ripeté altre due volte,
sempre con lo stesso esito, finché il re, incuriosito, chiese consiglio ai suoi
auguri. Questi, rimpiangendo i libri perduti, gli imposero di acquistare i tre
testi superstiti, che vennero quindi posti nel tempio di Giove Capitolino dove,
ogni qualvolta Roma era in difficoltà, venivano consultati dai sommi sacerdoti.
PERSISTENZE
SIBILLINE
La persistenza del ricordo delle Sibille nella cultura
occidentale è testimoniata, oltre che dalla diffusione dell’aggettivo “sibillino”
come sinonimo di oscuro, dalla presenza di vari dipinti dedicati alle
profetesse di Apollo. La Sibilla Tiburtina, che annuncia ad Augusto la nascita
di Cristo, è per esempio raffigurata su tele di Rogier van der Weyden e Jacopo
Tintoretto, mentre l’incontro mitologico tra Enea e la Sibilla fa da soggetto a
dipinti di Brueghel il Vecchio e William Turner. Senza dimenticare le cinque
Sibille michelangiolesche affrescate sui capitelli della volta della Cappella Sistina.
Se in ambito letterario la figura delle Sibille ha avuto – tranne che nell’opera
poetica del greco Angelos Sikelianos – scarsa fortuna, in campo musicale il
mito delle profetesse di Apollo ha invece ispirato molti grandi compositori,
tra cui Orlando di Lasso, Mozart e Carl Orff.