domenica 1 luglio 2012

MEGERA


Nella religione pagana le divinità potevano essere spaventose e crudeli come mostri. È il caso di Megera, una delle tre Erinni (le Furie romane), ripugnanti geni alati con serpenti intrecciati ai capelli e occhi stillanti gocce di sangue. Una divinità incaricata, insieme alle sorelle, di punire i colpevoli di crimini violenti, ma così spietata nell’adempiere alla propria missione di vendicatrice da essere temuta dagli onesti non meno che dai malvagi.
Spesso venivano paragonate a cagne, perché inseguivano e perseguitavano gli assassini fino a che questi, esausti o folli, non si arrendevano alla loro vendetta. Ma forse, più che alle cagne, le Erinni assomigliavano a demoni infernali, anch’essi chiamati a punire i crimini più gravi impedendo che la vita collettiva degenerasse nel caos.

GENEALOGIA DELLE ERINNI

Conosciute anche con l’ironico soprannome di Eumenidi (le “Benevole”), le tre Erinni appartenevano alla più antica generazione di divinità greche, quella preesistente all’ascesa di Zeus e degli altri dèi Olimpi. La loro nascita veniva pertanto collocata all’origine stessa del Cosmo, quando gli elementi primordiali dell’Universo, GAIA, la Madre Terra, URANO, il Cielo, PONTO, il Mare, si accoppiarono tra loro per dare vita al mondo conosciuto. A generare le Erinni, tuttavia, non fu un atto di amore bensì di violenza: Megera, Aletto e Tisifone, così si chiamavano le tre sorelle, erano infatti il frutto dell’evirazione di Urano da parte del figlio Crono, stanco della prepotenza paterna e istigato dalla madre Gaia a ribellarsi. Dallo squarcio prodotto nel ventre di Urano dalla falce di Crono sgorgò un fiume di sangue, che cadde sulla superficie terrestre e la fecondò. Nacquero così le Erinni, sulle quali neppure Zeus aveva autorità e che vennero presto venerate come dee della vendetta.

LE TRE SORELLE

Sin dai tempi di Omero, le Erinni sono rappresentate come implacabili vendicatrici delle ingiustizie e dei torti umani. Annidate nelle oscurità del Tartaro, sono creature primitive e colleriche, che si accaniscono contro le loro vittime accecandone la mente con il rimorso e la follia. Il loro habitat naturale è la Notte, da cui, secondo alcuni, discendono. Ma possono agire anche di giorno, se ciò serve per portare a compimento la loro vendetta. Il ruolo punitivo delle Erinni si esercita soprattutto nei confronti degli assassini e dei violenti; ma le tre dee non mancano di castigare anche colpe meno gravi, come la disobbedienza verso i genitori, la sopraffazione dei deboli e degli anziani, lo spergiuro, la violazione delle sacre leggi dell’ospitalità, la mancanza di pietà verso i supplici. Sono inoltre implacabili verso quanti si macchiano di hybris, un peccato di superbia che fa scordare all’uomo la sua condizione mortale spingendolo a misurarsi con gli dèi. Coprotagoniste di decine di miti greci e latini, le Erinni hanno un ruolo centrale soprattutto nel ciclo di Agamennone, il re acheo colpevole di avere sacrificato la figlia Ifigenia pur di placare la dea Artemide e consentire la partenza della flotta greca verso Troia. A seguito di questo delitto (sventato dalla stessa Artemide), le Erinni indussero Clitennestra a uccidere il marito, poi la punirono per mano del figlio Oreste e infine perseguitarono quest’ultimo in quanto assassino della madre. Un’analoga catena di disgrazie colpisce Edipo, vittima di una maledizione provocata da un crimine commesso dal padre Laio ben prima della sua nascita.
A lungo ritenute divinità terrene, le Erinni, in epoca tarda, cominciarono a essere concepite come creature infernali, che perseguitavano i colpevoli anche dopo la morte, torturandoli nel Tartaro con le loro fruste e atterrendoli con i sibili dei serpenti intrecciati ai loro capelli.


COMPLICI NEL DELITTO

Quando Clitennestra, insieme all’amante Egisto, uccise il marito Agamennone, Oreste fu salvato dalla sorella Elettra, che lo inviò in segreto presso Strofio, re della Focide. Lì l’eroe rimase fino alla maggiore età, quando tornò ad Argo e, con l’aiuto della sorella, vendicò la morte del padre.

LA “DEA TRIPLICE”

Sono tre, ma di fatto agiscono come un’unica divinità, quasi costituissero un’entità indistinta e indivisibile. L’archetipo della “dea triplice” (un termine divulgato dallo scrittore inglese Robert Graves), ricorrente in tutte le culture indoeuropee, torna spesso anche nella mitologia greco-romana. Oltre alle Erinni, ricadono sotto questo modello anche le Moire o Parche, personificazioni del destino umano assegnato a ciascun individuo. Un terzetto di sorelle che, pur avendo nomi diversi (Atropo, Cloto e Lachesi), assolvono tutte insieme allo stesso compito: fare in modo che ogni essere umano abbia in sorte la sua moira, cioè la parte di vita, felicità, sfortuna concessagli dal Fato. Che poi, nell’ambito di questa funzione, ognuna delle Parche svolga mansioni diverse (Cloto fila la tela della vita, Lachesi la avvolge sul fuso corrispondente, Atropo la taglia quando è giunta al termine) è meno rilevante del fatto che alle tre figlie di Zeus e Temi non sia consentito agire separatamente, poiché solo la loro unione garantisce il pieno rispetto di quella legge del destino che neppure gli dèi possono trasgredire.
Al pari delle Moire, anche le Ore, nate come le loro sorelle dall’unione tra Zeus e Temi, non sono concepibili come entità distinte. Per certi aspetti, anzi, sono persino più simbiotiche delle Moire, in quanto, a differenza di queste ultime, non rappresentano individualità definite bensì mere personificazioni di concetti astratti: la Giustizia, il Diritto e la Pace secondo Esiodo; la Fioritura primaverile, il Rigoglio estivo e il Raccolto autunnale secondo autori più antichi. Quanto ai loro compiti, variano di epoca in epoca: inizialmente venerate come dee delle Stagioni e del ciclo naturale della vegetazione, furono in seguito associate alle leggi morali, di cui erano le guardiane. Solo ai tempi dei Romani furono aumentate di numero e iniziarono a essere associate allo scorrere del tempo: gli autori latini ne contavano dodici, quante le ore del giorno, tutte danzanti attorno al carro del Sole.


SULLA SCIA DI ESCHILO

La più celebre rappresentazione delle Erinni nel mondo greco è costituita dalle Eumenidi di Eschilo. In questa tragedia, ultimo atto della trilogia Orestea, viene narrata la persecuzione delle tre dee nei confronti di Oreste, colpevole dell’omicidio di sua madre. Da questo modello, che riprende probabilmente suggestioni di molti secoli precedenti, sono derivate tutte le rielaborazioni postclassiche delle figure delle Erinni: da quella dantesca, che colloca le Furie a guardia della città infernale di Dite, alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, dove l’orrenda Aletto scatena la ribellione nel campo dei cristiani. Le Erinni compaiono anche nel Faust di Goethe, nell’Elettra di Giraudoux, nel romanzo Furia di Salman Rushdie. Sono inoltre raffigurate in dipinti di Johann Heinrich e Arnold Bocklin, oltre che celebrate nell’opera Ippolito e Aricia di Jean-Philippe Rameau.