sabato 11 giugno 2011

POLIFEMO


Per Omero è un gigante cannibale che uccide e sbrana i compagni di viaggio di Ulisse; il poeta romano Ovidio lo presenta invece come un goffo corteggiatore che tenta invano di sedurre la ninfa Galatea. In entrambe queste rappresentazioni, il ciclope Polifemo appare come un essere primitivo e selvaggio, un mostro troppo ottuso e violento per non soccombere di fronte agli scaltri tranelli di Ulisse.
Polifemo è il più celebre tra i ciclopi, una stirpe di giganti dotati di un unico occhio posto al centro della fronte. Secondo Omero, questi esseri mostruosi amavano nutrirsi di carne umana e non rispettavano le leggi degli dèi e degli uomini. Per questo, nell'Odissea, li descrive come selvaggi incapaci di affrancarsi da uno stato semiferino.

GENEALOGIA DI POLIFEMO

Gli antichi mitografi distinguevano tre tipi di Ciclopi: i cosiddetti Ciclopi "urani", figli di Urano e Gaia e, secondo alcuni, antenati di tutti gli altri Ciclopi, in quanto appartenenti alla prima generazione di divinità (quella dei Giganti); i Ciclopi "costruttori", autori degli enormi monumenti in pietra sparsi tra la Grecia e l'Italia; e i Ciclopi "siciliani", così ribattezzati perchè abitavano sull'isola etnea. A quest'ultima stirpe apparteneva Polifemo, nato dalla relazione tra Poseidone, il dio del mare, e la nereide Toosa. Per parte di padre, dunque, Polifemo discendeva da Crono e, tramite lui, da Urano e Gaia, il Cielo e la Terra. La madre Toosa era invece figlia di Forco, una divinità marina come Poseidone, che aveva generato Toosa unendosi alla sorella Ceto. In genere a Polifemo non venivano attribuiti figli, anche se una tradizione minore gliene assegnava tre, Gala, Celto e Illirio, avuti dalla ninfa Galatea.

IL GIGANTE SCONFITTO

Omero ci presenta Polifemo nel nono libro dell'Odissea, allorchè Ulisse, approdato senza saperlo nella terra dei Ciclopi, si rifugia insieme a dodici compagni nella sua grotta. Lì lo sorprende il gigante che, adirato per la presenza di estranei nella propria caverna, li imprigiona sbarrandone l'ingresso con una pietra enorme. Poi afferra un paio di compagni di Ulisse e li divora, incurante delle proteste dell'eroe che lo invita al rispetto delle sacre leggi dell'ospitalità. Il mattino seguente Polifemo sbrana altri due marinai, poi porta a pascolare il suo gregge bloccando l'ingresso della grotta con il solito masso. Rinchiuso nella caverna, Ulisse studia un piano per recuperare la libertà: per prima cosa si procura un tronco di ulivo, che appuntisce a un'estremità e nasconde sotto un mucchio di sterco. Poi recupera un otre di vino che i suoi compagni avevano portato con sè dalla nave e si mette in attesa del rientro di Polifemo. Non appena questi arriva, Ulisse, fingendo di essergli amico, offre al Ciclope una tazza di vino. Poi gliene porge una seconda, che il gigante beve di gusto. Inebriato, Polifemo chiede a Ulisse come si chiami. "Nessuno" gli risponde l'eroe, che poi si allontana e attende il sonno del gigante.


L'ACCECAMENTO

Non appena Polifemo si assopisce, i Greci prendono il tronco appuntito e glielo piantano nell'occhio, accecandolo. Poi si nascondono dietro al gregge, mentre le urla di Polifemo attirano alla grotta altri Ciclopi. "Che ti succede?" chiede uno di essi a Polifemo dall'esterno dell'antro. Ma quando Polifemo risponde "Nessuno mi ha accecato", i Ciclopi, convinti che sia ubriaco, se ne vanno.

LO SBERLEFFO FINALE

Il mattino dopo, quando il gregge esce dala grotta, Polifemo accarezza a uno a uno il dorso dei suoi armenti, per verificare che i Greci non vi siano montati sopra. Ma Ulisse ha legato i suoi compagni sotto il ventre degli arieti, e così elude la sorveglianza del mostro. Poi fugge a sua volta, aggrappandosi al folto pelo che riveste l'addome del montone più grande. Una volta fuori dall'antro, i Greci corrono verso la spiaggia dove è attraccata la loro nave e prendono il largo. Prima di lasciare la terra dei Ciclopi, però, Ulisse non resiste alla tentazione di deridere Polifemo, svelandogli il suo vero nome. Inviperito, Polifemo lancia allora contro la nave  due enormi massi, che quasi la affondano. Poi implora il padre Poseidone di vendicarlo, supplica che il dio esaudirà ostacolando con ogni mezzo il ritorno di Ulisse a Itaca.

IL PASTORE TRISTE

Dopo l'episodio omerico, il personaggio di Polifemo torna protagonista con Teocrito, il poeta greco che, negli Idilli, fa del Ciclope un pastore troppo brutto e sgraziato per suscitare l'interesse di Galatea, una delle cinquanta Nereidi del mare. Lo spunto di Teocrito viene sviluppato due secoli dopo dal romano Ovidio che nelle sue Metamorfosi fonde il tema di Polifemo innamorato con un altro celebre mito erotico, incentrato sugli amori tra Galatea e Aci. Secondo il racconto di Ovidio, dunque, Polifemo, vedendo un giorno la ninfa Galatea nuotare nelle acque della Sicilia, se ne invaghì perdutamente e per lei smise di gettare massi alle navi che passavano lungo la costa. Ma poichè Galatea, disgustata dal suo aspetto e dai suoi modi rozzi, continuava ad ignorarlo, Polifemo cercò di sedurla modulando con la sua zampogna teneri canti d'amore. Invano. Finchè un mattino, passando nei pressi di una spiaggia, Polifemo non vide la ninfa avvinghiata ad Aci, figlio del dio Pan, un bellissimo giovinetto che la Nereide amava di nascosto. La gelosia allora accecò il Ciclope che, sollevata una roccia, la scagliò contro Aci, uccidendolo. Impietrita dal dolore, Galatea maledisse allora Polifemo, poi fece sì che dal sangue di Aci scaturisse un grande fiume, che da allora scorre ai piedi dell'Etna.


POLIFEMO EVERGREEN

Il mito di Polifemo è stato oggetto, nel corso dei secoli, di infinite riletture. Numerosi in particolare i dipinti che raffigurano la tormentata passione del Ciclope per Galatea, dagli affreschi rinascimentali di Sebastiano del Piombo e Giulio Romano alle tele seicentesche di Nicolas Poussin e Claude Lorrain. In campo letterario, gli amori infelici del Ciclope hanno ispirato allo spagnolo Luis de Gòngora un oscuro poemetto barocco (Favola di Polifemo e Galatea, 1612), laddove lo stesso tema ha trovato espressione musicale in una celebre serenata (1708) di Georg Friedrich Handel. Tra le opere più recenti, da notare la traduzione in siciliano di un dramma di Euripide su Polifemo firmata da Luigi Pirandello ('U Ciclopu) e una poesia di Giovanni Pascoli (L'ultimo viaggio, dalla raccolta Poemi Conviviali) che, pur incentrata su Ulisse, evoca anche la figura del gigante.




martedì 7 giugno 2011

ZEUS (GIOVE)


Zeus (Giove per i Romani) è il signore dell'Olimpo, il sovrano degli uomini e degli dèi, in grado di dispensare il bene e il male e di presiedere al mantenimento dell'ordine delle cose. Giusto, severo e responsabile, non si lascia quasi mai andare a bizze o capricci, tranne quando si tratta di questioni di cuore.

GENEALOGIA DI ZEUS

In principio era il Caos, da cui emerse Gaia, la Terra. Gaia generò da sola Urano, il Cielo, con cui poi si unì dando alla luce 18 figli, di stirpe divina: gli Ecatonchiri (o Centimani), i Ciclopi, i Titani e le Titanidi.
Rea, una Titanide, sposò il fratello Crono, che con un falcetto evirò Urano e lo detronizzò. Ebbe così inizio una seconda generazione di dèi, quella a cui appartenne Zeus, l'ultimogenito di Crono. Rea partorì Zeus in segreto a Creta o, secondo alcune versioni del mito, in Arcadia. Riuscì così a salvarlo dalla sorte toccata ai suoi fratelli, che vennero inghiottiti alla nascita dal padre Crono, timoroso di essere spodestato da uno dei figli, così come predetto da Gaia. Al posto del bambino, Rea diede in pasto al marito una pietra avvolta in fasce, che Crono ingoiò senza sopettare nulla...

TITANI E GIGANTI

Dopo aver trascorso l'infanzia a Creta, una volta adulto Zeus iniziò ad avvertire sempre più forte il desiderio di impadronirsi del potere detenuto dal padre. Si rivolse perciò a Meti, la Prudenza, che gli fornì un farmaco da sciogliere nelle bevande di Crono. Quando Crono bevve la pozione, prima vomitò la pietra che aveva scambiato per Zeus, poi i cinque figli divorati alla nascita. Subito Zeus, con il sostegno di Ade e Poseidone, attaccò Crono e i Titani che, dopo dieci anni, furono sconfitti e cacciati dall'Olimpo. A far pendere la bilancia dalla parte di Zeus e dei suoi fratelli fu Gaia, che profetizzò loro la vittoria se avessero liberato i Ciclopi e gli Ecatonchiri, rinchiusi nel Tartaro da Crono. Zeus le obbedì e i Ciclopi, tornati liberi, lo ricompensarono aiutandolo a sgominare i suoi avversari. Ma per Zeus non era ancora giunto il tempo di trionfare. Lo attendeva un'altra sfida, e aveva il volto dei Giganti, furiosi per la sorte toccata ai Titani, loro fratelli maggiori. Generati da Gaia e dal sangue di Urano caduto sulla terra dopo la mutilazione da parte di Crono, i Giganti diedero l'assalto all'Olimpo. Mentre infuriava la battaglia, in soccorso degli dèi giunse però Eracle che, con le frecce e con la clava, fece strage dei Giganti, come aveva profetizzato Era. Il potere di Zeus era salvo, la sua era poteva dirsi cominciata.

I DONI DEI CICLOPI

Le armi con cui Zeus e i suoi fratelli riuscirono a prevalere sul padre Crono furono fornite loro dai Ciclopi: Ade ebbe un elmo in grado di rendere invisibile chiunque lo portasse, e grazie ad esso riuscì a sottrarre le armi di Crono; Poseidone il tridente con cui minacciò il padre; Zeus il fulmine con cui lo annientò definitivamente. Dopo la vittoria, le tre divinità si divisero a sorte l'universo: Zeus ebbe il Cielo, Poseidone il Mare, Ade gli Inferi. La Terra, invece, rimase assoggettata in ugual misura a tutti e tre.


IL DIO EROTICO

Zeus ebbe tre mogli (Meti, Temi ed Era) e innumerevoli amanti. La sua promiscuità fu tale che gli stessi Greci, non ritenendola consona a una divinità, si sentirono in dovere di giustificarla, interpretandola come un espediente utilizzato dal signore dei fulmini per dare vita a nuove stirpi di dèi o eroi.
In effetti Zeus può essere considerato il padre di gran parte delle divinità dell'Olimpo: da Apollo ad Artemide, generati con Latona, ad Atena, frutto della sua relazione con Meti, fino ad Ares, Ebe e Ilizia, nati dal matrimonio con la moglie-sorella Era. Proprio quest'ultima era la meno propensa ad accettare i tradimenti del compagno e si vendicava delle infedeltà perseguitando le amanti di Zeus e i figli nati dalle sue relazioni extraconiugali.
Accanto agli amori divini, ci sono poi quelli "terreni", con ninfe o donne bellissime: una girandola di avventure nelle quali Zeus non esitò ad assumere forme animalesche pur di raggiungere il suo scopo, spesso presentato dai mitografi come necessario, quando non provvidenziale. Eracle, ad esempio, nato dall'unione con Alcmena, fu concepito in quanto antagonista dei mostri malefici che in quell'epoca devastavano il mondo, mentre Elena (generata da Leda) per soddisfare l'esigenza di un conflitto (la guerra di Troia) che sfoltisse la popolazione troppo numerosa della Grecia e dell'Asia.

L'AMORE NEGATO

Benchè innamorato di Tetide, una Nereide allevata da Era, Zeus rinunciò a unirsi a lei: un oracolo aveva infatti predetto che il figlio nato dalla sua relazione con la ninfa sarebbe divenuto più potente del padre.

LA MADRE DI PERSEO

Poichè il padre l'aveva rinchiusa  in una torre di bronzo, Zeus andò da Danae in forma di pioggia d'oro e la possedette. Nove mesi dopo nacque Perseo.

LEDA E IL CIGNO

Zeus si accoppiò con Leda in forma di cigno. Dalla loro unione nacquero due uova: uno generò i Dioscuri, l'altro Elena e Clitennestra.

EUROPA E IL TORO

Per ingannare Europa, Zeus si trasformò in un toro, che la prese in groppa e la trascinò via mare fino all'isola di Creta, dove si unì a lei.

IL RATTO DI GANIMEDE

Ganimede era un bellissimo giovinetto che apparteneva alla stirpe reale di Troia. Un giorno, mentre custodiva in montagna le mandrie del padre, Zeus lo vide e se ne innamorò. Assunse perciò le forme dell'aquila e lo rapì. Ganimede fu condotto sull'Olimpo, dove Zeus, volendolo sempre al suo fianco, lo nominò proprio coppiere personale. Al padre del ragazzo, inconsolabile per il figlio rapito, il dio donò una mandria di cavalli divini o, secondo altre versioni del mito, una piantina di vite d'oro.


UN DIO DAI MILLE VOLTI

Di secolo in secolo, la figura del re degli dèi ha subito una singolare evoluzione nel campo delle arti figurative. Nel Rinascimento e nel periodo barocco, Zeus era protagonista soprattutto dei grandi affreschi che avevano per soggetto le divinità dell'Olimpo: distanti, altere, inavvicinabili. Nel Settecento, con l'avvento delle grandi monarchie, si è poi diffuso tra i sovrani il costume di farsi ritrarre nei panni del signore dell'Olimpo, per sottolineare la propria potenza. Più recentemente, gli artisti si sono concentrati sugli innumerevoli amori di Zeus, presentandolo dunque come una divinità con passioni alquanto "terrene". Sul grande schermo, invece, Zeus è stato uno dei protagonisti di Hercules (1997), un lungometraggio di animazione della Disney incentrato sulla lotta del re degli dèi (e di suo figlio Eracle) contro i Giganti, che tentano di contendergli il dominio sull'Olimpo e sul mondo intero.

domenica 5 giugno 2011

ODISSEO (ULISSE)


È l'eroe forse più celebre della classicità, un guerriero valoroso e sagace, un viaggiatore protagonista di mille avventure. Osteggiato da Poseidone ma protetto da Atena, dopo aver trionfato nella guerra di Troia non si rassegnò a un destino da esule e affrontò tutte le sfide che gli dèi gli riservarono pur di rivedere la sua patria, Itaca. Ma, anche qui, il suo coraggio fu messo alla prova...

GENEALOGIA DI ULISSE

Nell'Odissea, Omero presenta il suo protagonista Ulisse (in greco, appunto Odisseo) come figlio del sovrano di Itaca, Laerte, e di Anticlea. Succeduto al padre sul trono, Ulisse sposò Penelope, una donna di origine spartana, con la quale ebbe tre figli: Arcesilao, Poliporte e Telemaco. Secondo una tradizione postomerica quest'ultimo, divenuto adulto, si legò a Circe (la maga amata anche dallo stesso Ulisse), che diede alla luce Rome, eponima della città di Roma. Numerosi figli nacquero anche dalle donne che Ulisse amò durante le sue interminabili peregrinazioni: con la già citata Circe, ad esempio, generò Latino, antenato dei Latini, e Telegono che, dopo un lungo viaggio sulle tracce del padre, approdò a Itaca ma, sorpreso da Ulisse nell'atto di razziare il bestiame del re, non lo riconobbe e lo trafisse con una lancia, uccidendolo.

DI PORTO IN PORTO

Ulisse è una delle figure più sfaccettate della classicità, un eroe attorno al quale sono fiorite innumerevoli leggende (e perfino un poema di cui è protagonista indiscusso, l'Odissea) e che racchiude in sè tutte le virtù apprezzate nell'antica Grecia: dal coraggio, che gli ha premesso di annientare un gran numero di nemici nel corso della guerra di Troia, all'astuzia, grazie a cui è riuscito a scampare ai mille pericoli incontrati nel viaggio di ritorno e, prima ancora, a ideare lo stratagemma del cavallo di Troia. Secondo alcuni autori, fu infatti proprio Ulisse a proporre di costruire il celebre cavallo di legno, presunta offerta dei greci ad Atena prima di rientrare in patria: i Troiani aprirono le porte della città per accoglierlo e, così facendo, introdussero all'interno delle mura i nemici nascosti nel suo ventre, che misero Troia a ferro e fuoco. Ma nè i successi riportati in battaglia nè le sue straordinarie qualità garantirono ad Ulisse il favore degli dèi. Poseidone, in particolare, ostacolò con ogni mezzo il ritorno in patria dell'eroe, colpevole di aver accecato il Ciclope Polifemo, figlio del dio del mare. Fatto prigioniero da Polifemo nella sua caverna in Sicilia, Ulisse riuscì, con la consueta astuzia, a farlo ubriacare, quindi accecò il suo unico occhio con un'asta incandescente e fuggì aggrappato al ventre di un ariete del gregge del Ciclope. Tra tempeste e naufragi, il viaggio di Ulisse verso la terra natale durò in tutto dieci anni e fu costellato da pericoli di ogni genere: esseri feroci come Scilla e Cariddi, i due mostri che presidiavano lo Stretto di Messina; popolazioni di cannibali come i Lestrigoni, che offrirono ai compagni dell'eroe un frutto destinato a cancellare in loro il desiderio del ritorno; creature insidiose come le Sirene; donne ambigue e ammaliatrici come Circe e Calipso...

IL CANTO DELLE SIRENE

Per resistere alle Sirene, che incantavano (e poi divoravano) chiunque udisse il loro canto, Ulisse ordinò ai suoi compagni di tapparsi le orecchie con della cera e poi si fece legare a un albero della nave. In questo modo potè ascoltare quelle voci meravigliose senza esserne stregato.


CALIPSO E L'IMMORTALITA'

In una tappa del suo viaggio, Ulisse fece naufragio sull'isola di Ogigia, abitata dalla ninfa Calipso, che lo legò a  sè per sette anni, promettendogli l'immortalità e l'eterna giovinezza. Solo quando Ermes, inviato da Zeus, le intimò di liberare l'eroe, lo lasciò partire.

GLI INCANTESIMI DELLA MAGA CIRCE

Mandati in avanscoperta sull'isola di Eea, i compagni di Ulisse furono trasofrmati dalla maga Circe in porci. Grazie ai consigli del dio Ermes, l'eroe riuscì a scioglierli dall'incantesimo...ma non a sottrarsi alle malie della maga, al punto che si trattenne con lei un anno, prima di reimbarcarsi alla volta di Itaca.

VERSO ITACA

Dopo aver superato innumerevoli prove, compresa un'avventurosa discesa nell'Ade per consultare l'indovino Tiresia in merito al destino che lo attendeva a Itaca, Ulisse approdò sull'isola dei Feaci. L'eroe mancava da casa da vent'anni (dieci di guerra e dieci di peregrinazioni), aveva visto morire tutti i suoi compagni ed era ormai esausto. Commossi dalla storia di Ulisse, il re Alcinoo e la regina Areta gli offrirono in sposa la propria figlia Nausicaa ma, dopo avere constatato che il desiderio dell'eroe di rivedere Itaca era più forte di qualsiasi promessa di potere, misero a sua disposizione una nave che lo ricondusse in patria. Qui Ulisse trovò una situazione molto cambiata. Suo padre Laerte aveva perso le speranze di rivedere il figlio e si era ritirato a vivere in campagna; sua madre Anticlea era morta, distrutta dal dolore; il figlioletto Telemaco era diventato un uomo e si era recato a Sparta in cerca di notizie del padre; la moglie Penelope resisteva strenuamente alle offerte di matrimonio provenienti dai Proci, ossia i principi delle isole vicine, che miravano al trono di Itaca e si erano prepotentemente insiedati a Palazzo.


DA EROE A MENDICANTE

Al suo arrivo in patria, Ulisse fu trasformato in mendicante da Atena, che aveva vegliato sull'intero viaggio dell'eroe (entrando in conflitto con Poseidone). La dea evitò così che i pretendenti al regno di Itaca attentassero alla vita di Ulisse appena sbarcato.

LA STRAGE DEI PROCI

Estenuata dalle richieste dei Proci, Penelope decise infine di concedere la propria mano a colui che avesse vinto una gara di tiro da disputarsi con l'arco del marito. Anche Ulisse partecipò alla contesa e, appena impugnata l'arma, scoccò la prima di innumerevoli frecce che fecero strage dei nemici.

LA PAZIENZA DI PENELOPE

Se Ulisse era un uomo scaltro e intelligente, non da meno si rivelò sua moglie. Penelope dichiarò infatti che avrebbe deciso chi sposare tra i suoi pretendenti una volta finito di tessere il sudario per Laerte, l'anziano padre del marito. Ma mentre di giorno filava, di notte disfaceva il lavoro compiuto. La sua fedeltà fu ricompensata: Atena allungò la prima notte che Penelope trascorse con Ulisse dopo la separazione e i due sposi vissero insieme gli ultimi anni delle loro vite, serenamente.

ODISSEE DI IERI E DI OGGI

Nei secoli le imprese di Ulisse sono state oggetto di affascinanti interpretazioni, soprattutto in campo letterario. Nella Divina Commedia, Dante lo colloca tra i dannati dell'Inferno, non solo per gli inganni e i sotterfugi messi in atto, ma anche per il tentativo di superare le colonne d'Ercole, simbolo dei limiti della conoscenza umana. Ugo Foscolo, nel sonetto A Zacinto (1803), traccia un toccante parallelo tra la sua vita di esule e il destino di Ulisse, ritenuto più felice in quanto l'eroe, dopo molto viaggiare, riabbraccerà  la sua "petrosa Itaca". Ma la vera Odissea moderna è quella narrata da James Joyce nell'Ulisse, romanzo pubblicato nel 1922, in cui ogni capitolo ricalca un canto del poema omerico, pur discostandosene nelle tematiche.
Nel 2000 i fratelli Coen hanno portato sul grande schermo la loro interpretazione dell'Odissea nel film Fratello, dove sei? in cui tre galeotti evadono dal carcere per impedire le seconde nozze dell'ex moglie di uno di loro, Penelope. Sarà un viaggio costellato di incontri straordinari, compreso quello con un venditore di Bibbie privo di un occhio (evidente richiamo a Polifemo).

giovedì 2 giugno 2011

ARES (MARTE)


Il volto più noto di Ares è quello spietato del dio della guerra, il signore di tutte le battaglie che adora il rumore delle armi e gode per la morte dei combattenti. Ma c'è anche un Ares meno cupo, che ama ricambiato Afrodite e si batte contro gli altri dèi in difesa dei suoi figli. Quasi mai con successo. Perchè, nel destino di Ares, c'è spesso la sconfitta.....
Sanguinario e collerico, Ares è il più detestato tra gli dèi greci. Di lui sono noti il carattere bellicoso e la propensione alla violenza. La sua passione è la guerra, nella quale combatte con un unico scopo: alimentare l'odio tra i contendenti, rendendo più cruenti i conflitti e trasformando gli scontri in carneficine.

GENEALOGIA DI ARES

L'Ares greco,corrispondente al Marte dei Romani, appartiene alla seconda generazione degli dèi Olimpici. Nato dal matrimonio tra Zeus ed Era, ha due sorelle, Ebe e Ilizia, che rappresentano rispettivamente la dea della giovinezza e la protettrice delle donne durante il parto. I suoi figli sono numerosi quanto le sue amanti: da Antea, moglie del re di Calidone Eneo, Ares ebbe Meleagro, l'eroe greco che partecipò alla spedizione degli Argonauti; con Afrodite, il suo grande amore, generò invece Fobo, Deimo e Armonia. I primi due sono le divinità che gli fanno da scudieri in battaglia, mentre Armonia è la sposa di Cadmo, il fondatore di Tebe, con il quale darà vita a una prole numerosa e sfortunata.

VOLUBILE E CRUDELE

Nella mitologia classica, Ares è quasi sempre contrapposto ad Atena (per i Romani Minerva). Mentre la dea viene descritta come saggia e fedele, ad Ares si attribuisce un carattere rabbioso e volubile. Entrambi gli dèi sovraintendono alle vicende belliche, ma in ambiti diversi: Atena è affascinata dai piani strategici e dall'astuzia in battaglia, mentre Ares è attratto dagli scoppi brutali di violenza, meglio se conditi da eccidi e saccheggi. Nel mondo greco, Ares era considerato un dio da cui diffidare: le sue offerte di amicizia erano sempre provvisorie e interessate, mai finalizzate al bene comune. Così nella guerra di Troia, pur parteggiando per i Troiani, non mancò di tradirli quando ritenne che ciò potesse giovare alla sua causa. In battaglia si presentava scortato da un manipolo di divinità spaventose: oltre ai figli Deimo e Fobo, che rappresentavano la Paura e il Terrore, lo affiancavano due figure femminili, Enio ed Eris, rispettivamente dee della violenza e della discordia. La figura di Ares si evolvette nel passaggio dal mondo greco a quello romano. Così il latino Marte, oltre che come dio della guerra, era venerato anche come protettore della giovinezza e dell'agricoltura. In suo onore i sacerdoti Salii danzavano rivestiti delle loro armature e la piazza di Roma dove si svolgevano le esercitazioni militari era denominata Campo Marzio.


IL TEMPIO SUL MAR NERO

Ares era il dio tutelare delle Amazzoni, il popolo di donne guerriere che abitava nel nord della Grecia. Esse si ritenevano discendenti dal dio e gli avevano dedicato un grande tempio su un'isola del Mar Nero. Per difenderlo, Ares aveva inviato un enorme stormo di uccelli che, usando le proprie piume come dardi, trafiggevano chiunque tentasse di avvicinarsi all'edificio sacro.

IL DIVINO PERDENTE

Per quanto grottesco possa sembrare, il dio della guerra Ares era spesso sconfitto in battaglia. È celebre per esempio l'episodio dell'Iliade in cui Ares, avendo deciso di sostenere il troiano Ettore in uno scontro con gli Achei, tentò di uccidere con la sua lancia il greco Diomede. Atena però sviò il colpo e Ares, trovandosi sbilanciato, venne ferito a una gamba dall'avversario. Il suo grido di dolore fu così acuto che tutti i guerrieri impegnati a Troia lo udirono. Poi il dio fuggì piagnucolando verso l'Olimpo, dove Zeus lo fece medicare e ascoltò le sue lamentele contro Atena. In un'altra circostanza, Ares si azzuffò direttamente con la dea, durante una rissa a cui parteciparono molti altri abitanti dell'Olimpo. Anche in questo caso ebbe la peggio: Atena, infatti, riuscì a tramortirlo con un colpo di pietra alla testa. Tra le umiliazioni patite da Ares, nessuna però lo infastidì quanto quella subita ad opera di Efesto, il dio del fuoco. Ares infatti si era invaghito della moglie di quest'ultimo, l'incantevole Afrodite (nota ai romani come Venere), e si incontrava con lei di nascosto nella stanza del marito. I loro appuntamenti non sfuggirono tuttavia ad Elio, il dio del Sole, che li riferì ad Efesto. Questi, subito, escogitò la sua vendetta. Fabbricò delle catene invisibili, che solo lui era in grado di azionare, e poi le dispose sopra il letto della sua camera. Quando i due amanti vi si coricarono fece scattare la trappola, e Ares e Afrodite si ritrovarono imprigionati nelle catene, nudi e ansimanti. Efesto corse quindi a chiamare gli altri dèi che, vedendo la scena, sommersero di sberleffi i due amanti. Solo grazie all'insistenza di Poseidone, Efesto accettò di liberare Afrodite e Ares, che per la vergogna fuggirono dall'Olimpo. La dea si nascose sull'isola di Cipro, mentre Ares tornò a vivere in Tracia, la sua inospitale terra natale.

PRIGIONIERO IN UNA CASSA

L'episodio in cui Ares mise più in luce la sua vulnerabilità fu quando venne imprigionato dagli Aloadi, figli di Poseidone. Costoro erano due giganti che all'età di nove anni, quando superavano già i quindici metri di altezza, dichiarono guerra agli dèi. Accatastarono perciò due monti uno sopra l'altro e li sovrapposero all'Olimpo. In tal modo riuscirono ad arrampicarsi fino al Cielo, e imprigionarono Ares in una cassa di bronzo,dove restò rinchiuso tredici mesi. E vi sarebbe rimasto di più se gli Aloadi non si fossero trafitti reciprocamente con le proprie frecce mentre cercavano di colpire Artemide, trasformatasi in cerbiatta. Ermes liberò così Ares e la pace tornò a regnare sull'Olimpo.


IL FONDATORE DI TEBE

Il culto di Ares era relativamente poco diffuso in Grecia, salvo che in Tracia e nella città di Tebe, che si riteneva il dio avesse contribuito a fondare. Secondo un'antica tradizione, infatti, l'oracolo di Delfi aveva ordinato all'eroe Cadmo di seguire una vacca e di fondare una città dove questa si fosse fermata. L'animale di accasciò presso una fonte protetta da un drago caro al dio Ares. Cadmo uccise il mostro e, su consiglio di Atena, ne sparse i denti al suolo. Come per miracolo, dalla terra nacquero decine di guerrieri, gli Sparti, che aiutarono Cadmo a fondare Tebe. Poichè però, per rispettare l'oracolo, l'eroe aveva offeso Ares uccidendone il drago, dovette servire il dio per otto anni come schiavo. Al termine di questa pena, Zeus gli consentì di salire sul trono di Tebe, affiancandogli una delle figlie di Ares, Armonia, che nel frattempo Cadmo aveva preso in sposa.

IN GUERRA CON WONDER WOMAN

Attraverso la civiltà latina, la figura di Ares giunge fino al Rinascimento, dove le vicende del dio, e in particolare il suo amore per Afrodite, ispirano pittori come Veronese, Tintoretto e Rembrandt. Anche in letteratura, la passione tra il signore della guerra e la dea dell'amore è al centro dei poemi seicenteschi di Giovan Battista Marino (L'Adone) e Francesco Bracciolini (Lo scherno degli dèi). Se nel celebre ritratto di Marte eseguito dallo spagnolo Diego Velàzquez l'aspetto guerresco del dio è temperato da un velo di malinconia, più trionfante appare la statua di Antonio Canova che raffigura Napoleone nei panni di Marte Pacificatore. In tempi più recenti, Ares è stato il rivale di Wonder Woman nei fumetti DC Comics di William Moulton Marston e uno dei protagonisti di Xena: Principessa guerriera, fortunata serie televisiva americana.