sabato 11 giugno 2011

POLIFEMO


Per Omero è un gigante cannibale che uccide e sbrana i compagni di viaggio di Ulisse; il poeta romano Ovidio lo presenta invece come un goffo corteggiatore che tenta invano di sedurre la ninfa Galatea. In entrambe queste rappresentazioni, il ciclope Polifemo appare come un essere primitivo e selvaggio, un mostro troppo ottuso e violento per non soccombere di fronte agli scaltri tranelli di Ulisse.
Polifemo è il più celebre tra i ciclopi, una stirpe di giganti dotati di un unico occhio posto al centro della fronte. Secondo Omero, questi esseri mostruosi amavano nutrirsi di carne umana e non rispettavano le leggi degli dèi e degli uomini. Per questo, nell'Odissea, li descrive come selvaggi incapaci di affrancarsi da uno stato semiferino.

GENEALOGIA DI POLIFEMO

Gli antichi mitografi distinguevano tre tipi di Ciclopi: i cosiddetti Ciclopi "urani", figli di Urano e Gaia e, secondo alcuni, antenati di tutti gli altri Ciclopi, in quanto appartenenti alla prima generazione di divinità (quella dei Giganti); i Ciclopi "costruttori", autori degli enormi monumenti in pietra sparsi tra la Grecia e l'Italia; e i Ciclopi "siciliani", così ribattezzati perchè abitavano sull'isola etnea. A quest'ultima stirpe apparteneva Polifemo, nato dalla relazione tra Poseidone, il dio del mare, e la nereide Toosa. Per parte di padre, dunque, Polifemo discendeva da Crono e, tramite lui, da Urano e Gaia, il Cielo e la Terra. La madre Toosa era invece figlia di Forco, una divinità marina come Poseidone, che aveva generato Toosa unendosi alla sorella Ceto. In genere a Polifemo non venivano attribuiti figli, anche se una tradizione minore gliene assegnava tre, Gala, Celto e Illirio, avuti dalla ninfa Galatea.

IL GIGANTE SCONFITTO

Omero ci presenta Polifemo nel nono libro dell'Odissea, allorchè Ulisse, approdato senza saperlo nella terra dei Ciclopi, si rifugia insieme a dodici compagni nella sua grotta. Lì lo sorprende il gigante che, adirato per la presenza di estranei nella propria caverna, li imprigiona sbarrandone l'ingresso con una pietra enorme. Poi afferra un paio di compagni di Ulisse e li divora, incurante delle proteste dell'eroe che lo invita al rispetto delle sacre leggi dell'ospitalità. Il mattino seguente Polifemo sbrana altri due marinai, poi porta a pascolare il suo gregge bloccando l'ingresso della grotta con il solito masso. Rinchiuso nella caverna, Ulisse studia un piano per recuperare la libertà: per prima cosa si procura un tronco di ulivo, che appuntisce a un'estremità e nasconde sotto un mucchio di sterco. Poi recupera un otre di vino che i suoi compagni avevano portato con sè dalla nave e si mette in attesa del rientro di Polifemo. Non appena questi arriva, Ulisse, fingendo di essergli amico, offre al Ciclope una tazza di vino. Poi gliene porge una seconda, che il gigante beve di gusto. Inebriato, Polifemo chiede a Ulisse come si chiami. "Nessuno" gli risponde l'eroe, che poi si allontana e attende il sonno del gigante.


L'ACCECAMENTO

Non appena Polifemo si assopisce, i Greci prendono il tronco appuntito e glielo piantano nell'occhio, accecandolo. Poi si nascondono dietro al gregge, mentre le urla di Polifemo attirano alla grotta altri Ciclopi. "Che ti succede?" chiede uno di essi a Polifemo dall'esterno dell'antro. Ma quando Polifemo risponde "Nessuno mi ha accecato", i Ciclopi, convinti che sia ubriaco, se ne vanno.

LO SBERLEFFO FINALE

Il mattino dopo, quando il gregge esce dala grotta, Polifemo accarezza a uno a uno il dorso dei suoi armenti, per verificare che i Greci non vi siano montati sopra. Ma Ulisse ha legato i suoi compagni sotto il ventre degli arieti, e così elude la sorveglianza del mostro. Poi fugge a sua volta, aggrappandosi al folto pelo che riveste l'addome del montone più grande. Una volta fuori dall'antro, i Greci corrono verso la spiaggia dove è attraccata la loro nave e prendono il largo. Prima di lasciare la terra dei Ciclopi, però, Ulisse non resiste alla tentazione di deridere Polifemo, svelandogli il suo vero nome. Inviperito, Polifemo lancia allora contro la nave  due enormi massi, che quasi la affondano. Poi implora il padre Poseidone di vendicarlo, supplica che il dio esaudirà ostacolando con ogni mezzo il ritorno di Ulisse a Itaca.

IL PASTORE TRISTE

Dopo l'episodio omerico, il personaggio di Polifemo torna protagonista con Teocrito, il poeta greco che, negli Idilli, fa del Ciclope un pastore troppo brutto e sgraziato per suscitare l'interesse di Galatea, una delle cinquanta Nereidi del mare. Lo spunto di Teocrito viene sviluppato due secoli dopo dal romano Ovidio che nelle sue Metamorfosi fonde il tema di Polifemo innamorato con un altro celebre mito erotico, incentrato sugli amori tra Galatea e Aci. Secondo il racconto di Ovidio, dunque, Polifemo, vedendo un giorno la ninfa Galatea nuotare nelle acque della Sicilia, se ne invaghì perdutamente e per lei smise di gettare massi alle navi che passavano lungo la costa. Ma poichè Galatea, disgustata dal suo aspetto e dai suoi modi rozzi, continuava ad ignorarlo, Polifemo cercò di sedurla modulando con la sua zampogna teneri canti d'amore. Invano. Finchè un mattino, passando nei pressi di una spiaggia, Polifemo non vide la ninfa avvinghiata ad Aci, figlio del dio Pan, un bellissimo giovinetto che la Nereide amava di nascosto. La gelosia allora accecò il Ciclope che, sollevata una roccia, la scagliò contro Aci, uccidendolo. Impietrita dal dolore, Galatea maledisse allora Polifemo, poi fece sì che dal sangue di Aci scaturisse un grande fiume, che da allora scorre ai piedi dell'Etna.


POLIFEMO EVERGREEN

Il mito di Polifemo è stato oggetto, nel corso dei secoli, di infinite riletture. Numerosi in particolare i dipinti che raffigurano la tormentata passione del Ciclope per Galatea, dagli affreschi rinascimentali di Sebastiano del Piombo e Giulio Romano alle tele seicentesche di Nicolas Poussin e Claude Lorrain. In campo letterario, gli amori infelici del Ciclope hanno ispirato allo spagnolo Luis de Gòngora un oscuro poemetto barocco (Favola di Polifemo e Galatea, 1612), laddove lo stesso tema ha trovato espressione musicale in una celebre serenata (1708) di Georg Friedrich Handel. Tra le opere più recenti, da notare la traduzione in siciliano di un dramma di Euripide su Polifemo firmata da Luigi Pirandello ('U Ciclopu) e una poesia di Giovanni Pascoli (L'ultimo viaggio, dalla raccolta Poemi Conviviali) che, pur incentrata su Ulisse, evoca anche la figura del gigante.