Varcate le soglie
dell’Aldilà, secondo la mitologia greca i defunti incontravano il terribile
Caronte, un vecchio laido che, sulla sua zattera, traghettava le anime al di là
dell’Acheronte, il fiume infernale. Un intermediario tra il mondo terreno e l’Oltretomba
dai modi tirannici e dall’aspetto spaventoso, un demone infernale in cui si
rispecchiava tutto l’orrore del mondo greco nei confronti della morte.
Figura minore
della mitologia greca, Caronte è stato reso immortale da Virgilio e Dante, che
nei loro poemi più celebri, l’Eneide
e la Divina Commedia, ne hanno
tracciato un ritratto indimenticabile: un immondo traghettatore di anime che
vessa e atterrisce i defunti con le sue ingiurie, preparandoli alla triste vita
nell’oltretomba.
GENEALOGIA DI CARONTE
L’albero
genealogico di Caronte è scarno quanto sporadiche sono le notizie che lo
riguardano. Di lui i mitografi antichi si limitano a dirci che era figlio di
Erebo, il dio delle tenebre, generato all’origine dei tempi da Caos, vuoto
abisso dal quale ogni cosa discende. Caos era anche il padre di Notte, sorella
di Erebo, che secondo alcuni autori (soprattutto di epoca latina) sarebbe stata
la madre di Caronte. Se questa ricostruzione fosse vera, allora Caronte avrebbe
avuto anche diversi fratelli, tutti nati dalla relazione tra Notte ed Erebo:
tra di essi Emera, incarnazione del Giorno, ed Etere, personificazione del
Cielo superiore (dove la luce è più pura rispetto al Cielo vicino alla Terra).
Nessun testo antico prospetta invece la possibilità che Caronte possa essersi sposato o avere
avuto figli, cosa del resto assai improbabile visto il suo triste mestiere di
nocchiero infernale.
LA ZATTERA DEI MORTI
Nel loro viaggio
verso l’Aldilà, i defunti erano accompagnati dal dio Ermes fino sulle rive dell’Acheronte,
dove, a bordo della sua zattera formata da pezzi di corteccia d’albero cuciti
insieme, li attendeva il feroce Caronte. Il nocchiero infernale era descritto
dai Greci come un vecchio sudicio e dalla barba incolta, vestito con un
mantello a brandelli e, talvolta, con un cappello rotondo. Egli accoglieva le
anime dei defunti con modi bruschi, deridendole, insultandole e spesso
malmenandole. Poi le caricava sulla sua zattera e le conduceva sull’altra
sponda del fiume, dove si trovava l’ingresso dell’Oltretomba. Per il suo
compito di nocchiero, Caronte pretendeva un tributo, una piccola moneta
d’argento che, nell’antica Grecia, era consuetudine porre sotto la lingua dei
cadaveri prima di seppellirli. Solo chi aveva ricevuto onori funebri, e quindi
portava con sé l’obolo di Caronte, poteva imbarcarsi sulla sua barca: gli altri
erano condannati a vagare in eterno e senza pace lungo le nebbiose rive
dell’Acheronte. Oltre che come traghettatore d’anime, Caronte era conosciuto
anche come sentinella degli Inferi, incaricato da Ade di impedire ad ogni costo
ai viventi l’accesso al mondo ultraterreno. Non sempre, tuttavia, la sua
vigilanza era così ferrea come ci si sarebbe potuti aspettare: per esempio,
quando Eracle scese agli Inferi per catturare Cerbero, Caronte non riuscì a
bloccarlo, e per questo fu punito da Ade con un anno di carcere. Anche il
troiano Enea riuscì a eludere la guardia di Caronte, grazie all’aiuto della
Sibilla Cumana (sacerdotessa di Apollo) che, mostrando al vecchio un ramoscello
d’oro, riuscì a placarne la rabbia come per magia. Infine Caronte fu beffato
anche da Orfeo, il musico tracio, che con la sua cetra lo incantò al punto da convincerlo a fargli posto sulla
sua zattera.
LE GUIDE INFERNALI
La figura dello
psicopompo, ovvero di colui che, come Caronte, accompagna le anime dei defunti
verso l’Aldilà, non è una prerogativa della cultura greca. La si ritrova
praticamente in tutte le religioni antiche, anche se quasi in quella ellenica
il ruolo è sdoppiato tra due diversi personaggi: da un lato, appunto, Caronte,
che agisce in una sorta di terra di mezzo, già immersa nelle tenebre infernali
ma ancora periferica rispetto all’Oltretomba vero e proprio; dall’altro il dio
Ermes, che fa la spola tra la Terra e gli Inferi per recuperare le anime dei
morti e condurle, attraverso uno dei numerosi accessi all’Averno, fino
all’imbarco di Caronte. Presso gli Aztechi, il lavoro di psicopompo si
concentrava invece nelle mani del solo Xolotr, dio dall’aspetto di scheletro
che, oltre a dominare la potenza dei lampi, guidava anche i morti nel loro
ultimo viaggio. Gli Egiziani avevano Anubi, dio dal corpo umano e con la testa
di sciacallo, e i Persiani Mitra, divinità dalle molteplici prerogative tra
cui, appunto, quella di psicopompo. Se presso gli Etruschi l’accompagnatore dei
defunti aveva il volto di Charun, un demone con naso d’avvoltoio e orecchie
appuntite, nel mondo celtico la medesima funzione era svolta da Ankou,
scheletrico cocchiere con una falce in mano. Nella cultura orientale, infine,
la figura dello psicopompo variava a seconda dei luoghi: in Giappone, per
esempio, a condurre i morti nell’Aldilà erano gli shinigami, “mietitori di anime” cui toccava anche il compito di
impedire la fuga degli spiriti più recalcitranti; in India, invece, lo psicopompo
era Pusham, temuta divinità solare che, in quanto protettrice dei viandanti,
vigilava anche sull’ultimo tragitto dell’uomo.
IL ROTOLO DEL DESTINO
L’orribile Charun,
equivalente etrusco della figura di Caronte, conduceva i defunti
nell’Oltretomba a piedi, a cavallo o su carro. Con lui viaggiava spesso Vanth,
dea alata degli Inferi, che nella mano teneva stretto il rotolo del destino.
L’ARMATA DEI MORTI
Nella mitologia
nordica, il ruolo di psicopompo è affidato a Odino, dio guerriero che raduna presso
di sé gli eroi caduti in battaglia e poi sceglie i migliori per arruolarli nel
suo grande esercito.
LA LUNA SULLA MANO
Protettore degli
imbalsamatori e delle necropoli, il dio Anubi aveva il compito di accompagnare
l’anima dei defunti di fronte al tribunale supremo degli dèi, illuminando il
loro cammino nell’Oltretomba con la luna che teneva sempre nel palmo della
mano.
L’ARCANGELO MICHELE
L’idea dello
psicopompo, di origine antichissima, è stata in qualche misura rielaborata
dalla cultura cristiana attraverso la figura dell’arcangelo Michele, il
comandante delle truppe celesti che sconfissero Lucifero. Venerato già in epoca
longobarda come protettore dei defunti, l’arcangelo Michele cominciò poi a
essere considerato il tutore del passaggio delle anime nell’Aldilà, oltre che
il garante del rispetto del giudizio divino. Non a caso, nelle miniature e nei
rilievi medievali, è spesso raffigurato con una bilancia in mano o mentre lotta
contro il diavolo per il possesso delle anime: una chiara testimonianza del
ruolo-chiave attribuito all’arcangelo nel compiersi della giustizia divina.
MEDIATORE TRA MONDI LONTANI
Se è stato
Virgilio, nell’Eneide, a definire per
primo i tratti somatici e psicologici di Caronte, non c’è dubbio che l’immagine
postclassica del nocchiero infernale dipenda in larga misura dalla descrizione
dantesca nel terzo canto dell’Inferno.
Dopo Dante, si sono misurati con il mito di Caronte Erasmo da Rotterdam e
Giovanni Pontano, autori di dialoghi che, sulla scia del greco Luciano di
Samosata, mettono a confronto l’orrendo nocchiero con personaggi antichi e
moderni. In tempi più recenti, hanno evocato la figura di Caronte poeti come
Wolfgang Goethe, Salvatore Quasimodo e Silvia Plath, nonché lo psicanalista
Karl Jung, che nel demone greco ha individuato una sorta di mediatore tra
conscio e inconscio. In campo pittorico, Caronte, pur poco raffigurato, compare
in dipinti tra gli altri di Luca Signorelli, Luca Giordano e Joachim Patener,
mentre la musica ha omaggiato il feroce nocchiero con arie di George Friedrich
Handel e Franz Schubert.