domenica 13 maggio 2012

CARONTE



Varcate le soglie dell’Aldilà, secondo la mitologia greca i defunti incontravano il terribile Caronte, un vecchio laido che, sulla sua zattera, traghettava le anime al di là dell’Acheronte, il fiume infernale. Un intermediario tra il mondo terreno e l’Oltretomba dai modi tirannici e dall’aspetto spaventoso, un demone infernale in cui si rispecchiava tutto l’orrore del mondo greco nei confronti della morte.
Figura minore della mitologia greca, Caronte è stato reso immortale da Virgilio e Dante, che nei loro poemi più celebri, l’Eneide e la Divina Commedia, ne hanno tracciato un ritratto indimenticabile: un immondo traghettatore di anime che vessa e atterrisce i defunti con le sue ingiurie, preparandoli alla triste vita nell’oltretomba.

GENEALOGIA DI CARONTE

L’albero genealogico di Caronte è scarno quanto sporadiche sono le notizie che lo riguardano. Di lui i mitografi antichi si limitano a dirci che era figlio di Erebo, il dio delle tenebre, generato all’origine dei tempi da Caos, vuoto abisso dal quale ogni cosa discende. Caos era anche il padre di Notte, sorella di Erebo, che secondo alcuni autori (soprattutto di epoca latina) sarebbe stata la madre di Caronte. Se questa ricostruzione fosse vera, allora Caronte avrebbe avuto anche diversi fratelli, tutti nati dalla relazione tra Notte ed Erebo: tra di essi Emera, incarnazione del Giorno, ed Etere, personificazione del Cielo superiore (dove la luce è più pura rispetto al Cielo vicino alla Terra). Nessun testo antico prospetta invece la possibilità  che Caronte possa essersi sposato o avere avuto figli, cosa del resto assai improbabile visto il suo triste mestiere di nocchiero infernale.

LA ZATTERA DEI MORTI

Nel loro viaggio verso l’Aldilà, i defunti erano accompagnati dal dio Ermes fino sulle rive dell’Acheronte, dove, a bordo della sua zattera formata da pezzi di corteccia d’albero cuciti insieme, li attendeva il feroce Caronte. Il nocchiero infernale era descritto dai Greci come un vecchio sudicio e dalla barba incolta, vestito con un mantello a brandelli e, talvolta, con un cappello rotondo. Egli accoglieva le anime dei defunti con modi bruschi, deridendole, insultandole e spesso malmenandole. Poi le caricava sulla sua zattera e le conduceva sull’altra sponda del fiume, dove si trovava l’ingresso dell’Oltretomba. Per il suo compito di nocchiero, Caronte pretendeva un tributo, una piccola moneta d’argento che, nell’antica Grecia, era consuetudine porre sotto la lingua dei cadaveri prima di seppellirli. Solo chi aveva ricevuto onori funebri, e quindi portava con sé l’obolo di Caronte, poteva imbarcarsi sulla sua barca: gli altri erano condannati a vagare in eterno e senza pace lungo le nebbiose rive dell’Acheronte. Oltre che come traghettatore d’anime, Caronte era conosciuto anche come sentinella degli Inferi, incaricato da Ade di impedire ad ogni costo ai viventi l’accesso al mondo ultraterreno. Non sempre, tuttavia, la sua vigilanza era così ferrea come ci si sarebbe potuti aspettare: per esempio, quando Eracle scese agli Inferi per catturare Cerbero, Caronte non riuscì a bloccarlo, e per questo fu punito da Ade con un anno di carcere. Anche il troiano Enea riuscì a eludere la guardia di Caronte, grazie all’aiuto della Sibilla Cumana (sacerdotessa di Apollo) che, mostrando al vecchio un ramoscello d’oro, riuscì a placarne la rabbia come per magia. Infine Caronte fu beffato anche da Orfeo, il musico tracio, che con la sua cetra lo incantò  al punto da convincerlo a fargli posto sulla sua zattera.


LE GUIDE INFERNALI

La figura dello psicopompo, ovvero di colui che, come Caronte, accompagna le anime dei defunti verso l’Aldilà, non è una prerogativa della cultura greca. La si ritrova praticamente in tutte le religioni antiche, anche se quasi in quella ellenica il ruolo è sdoppiato tra due diversi personaggi: da un lato, appunto, Caronte, che agisce in una sorta di terra di mezzo, già immersa nelle tenebre infernali ma ancora periferica rispetto all’Oltretomba vero e proprio; dall’altro il dio Ermes, che fa la spola tra la Terra e gli Inferi per recuperare le anime dei morti e condurle, attraverso uno dei numerosi accessi all’Averno, fino all’imbarco di Caronte. Presso gli Aztechi, il lavoro di psicopompo si concentrava invece nelle mani del solo Xolotr, dio dall’aspetto di scheletro che, oltre a dominare la potenza dei lampi, guidava anche i morti nel loro ultimo viaggio. Gli Egiziani avevano Anubi, dio dal corpo umano e con la testa di sciacallo, e i Persiani Mitra, divinità dalle molteplici prerogative tra cui, appunto, quella di psicopompo. Se presso gli Etruschi l’accompagnatore dei defunti aveva il volto di Charun, un demone con naso d’avvoltoio e orecchie appuntite, nel mondo celtico la medesima funzione era svolta da Ankou, scheletrico cocchiere con una falce in mano. Nella cultura orientale, infine, la figura dello psicopompo variava a seconda dei luoghi: in Giappone, per esempio, a condurre i morti nell’Aldilà erano gli shinigami, “mietitori di anime” cui toccava anche il compito di impedire la fuga degli spiriti più recalcitranti; in India, invece, lo psicopompo era Pusham, temuta divinità solare che, in quanto protettrice dei viandanti, vigilava anche sull’ultimo tragitto dell’uomo.

IL ROTOLO DEL DESTINO

L’orribile Charun, equivalente etrusco della figura di Caronte, conduceva i defunti nell’Oltretomba a piedi, a cavallo o su carro. Con lui viaggiava spesso Vanth, dea alata degli Inferi, che nella mano teneva stretto il rotolo del destino.

L’ARMATA DEI MORTI

Nella mitologia nordica, il ruolo di psicopompo è affidato a Odino, dio guerriero che raduna presso di sé gli eroi caduti in battaglia e poi sceglie i migliori per arruolarli nel suo grande esercito.

LA LUNA SULLA MANO

Protettore degli imbalsamatori e delle necropoli, il dio Anubi aveva il compito di accompagnare l’anima dei defunti di fronte al tribunale supremo degli dèi, illuminando il loro cammino nell’Oltretomba con la luna che teneva sempre nel palmo della mano.


L’ARCANGELO MICHELE

L’idea dello psicopompo, di origine antichissima, è stata in qualche misura rielaborata dalla cultura cristiana attraverso la figura dell’arcangelo Michele, il comandante delle truppe celesti che sconfissero Lucifero. Venerato già in epoca longobarda come protettore dei defunti, l’arcangelo Michele cominciò poi a essere considerato il tutore del passaggio delle anime nell’Aldilà, oltre che il garante del rispetto del giudizio divino. Non a caso, nelle miniature e nei rilievi medievali, è spesso raffigurato con una bilancia in mano o mentre lotta contro il diavolo per il possesso delle anime: una chiara testimonianza del ruolo-chiave attribuito all’arcangelo nel compiersi della giustizia divina.

MEDIATORE TRA MONDI LONTANI

Se è stato Virgilio, nell’Eneide, a definire per primo i tratti somatici e psicologici di Caronte, non c’è dubbio che l’immagine postclassica del nocchiero infernale dipenda in larga misura dalla descrizione dantesca nel terzo canto dell’Inferno. Dopo Dante, si sono misurati con il mito di Caronte Erasmo da Rotterdam e Giovanni Pontano, autori di dialoghi che, sulla scia del greco Luciano di Samosata, mettono a confronto l’orrendo nocchiero con personaggi antichi e moderni. In tempi più recenti, hanno evocato la figura di Caronte poeti come Wolfgang Goethe, Salvatore Quasimodo e Silvia Plath, nonché lo psicanalista Karl Jung, che nel demone greco ha individuato una sorta di mediatore tra conscio e inconscio. In campo pittorico, Caronte, pur poco raffigurato, compare in dipinti tra gli altri di Luca Signorelli, Luca Giordano e Joachim Patener, mentre la musica ha omaggiato il feroce nocchiero con arie di George Friedrich Handel e Franz Schubert.