Nella mitologia
greca e latina, la Vittoria era personificata da una dea alata che si diceva
discendesse dalla stirpe violenta dei Titani, ma che, durante la guerra tra
questi ultimi e gli Olimpi, si schierò a fianco di Zeus, propiziandone la
vittoria. Una figura, quella di Nike, al tempo stesso simbolica e concreta,
spesso assimilata a quella di Atena e venerata, sia pure in forme diverse, in
tutto il mondo antico.
Di Nike esistono,
nel mondo classico, decine di statue. Pochi, invece, i miti che la vedono
protagonista, forse perché, incarnando un concetto astratto, poco si prestava a
essere raccontata. Fa eccezione la “Titanomachia”, dove Nike viene condotta
dalla madre alla corte di Zeus, che la pone alla guida del suo carro divino e
la vuole accanto a sé nella lotta contro i Titani.
GENEALOGIA DI NIKE
Nell’albero
genealogico di Nike si possono individuare legami con tutti i più grandi dèi
della generazione precedente agli Olimpi. Suo padre, infatti, è Pallante,
titano violento e dal tragico destino, che, attraverso i genitori Crio ed
Euribia, si ricollegava a potenti dèi primordiali come Gaia, Urano e Ponto. La
madre di Nike, Stige, personificazione del fiume infernale, era invece, secondo
la Teogonia di Esiodo, una delle otto
figlie di Oceano e Teti, oltre che una delle tantissime amanti dell’impetuoso
Zeus, con il quale aveva generato la regina degli inferi Persefone (di qui il
legame tra la Vittoria e la Morte). A Nike, infine, erano attribuiti tre
fratelli, nati anch’essi dalla relazione tra Pallante e Stige. Si chiamavano
Crato, Bia e Zelo e, nell’antico pantheon greco, impersonavano rispettivamente
la Forza, la Violenza e l’Impegno congiunto all’Emulazione.
COMPAGNA DI ATENA
Venerata sia nel
mondo greco che a Roma, Nike, nell’antichità, veniva associata ad Atena, della
quale, secondo alcuni miti minori, da bambina era stata compagna di giochi.
Frequente era la statua della dea della saggezza che, sul palmo della mano,
reggeva la piccola Nike (a testimoniare il legame inscindibile tra vittoria e
sapienza strategica). E altrettanto consueta, soprattutto ad Atene, era
l’identificazione tra le due dee, ritenute entrambe protettrici della città e
talora associate persino nel culto (sull’Acropoli esisteva un tempietto
dedicato ad Atena Nike). In quanto divinità autonoma, la dea della vittoria
venne invece valorizzata soprattutto in epoca imperiale, quando la sua figura
alata, simbolo dei fasti militari di Roma, fu in qualche modo personalizzata e
associata alla figura dei singoli condottieri. Si determinò così un netto
stacco tra il mondo romano e quello greco, dove Nike era sempre stata ritenuta
una divinità minore, legata agli eventi sportivi e, in particolare, alle
Olimpiadi. Solo nella tarda classicità , Nike cominciò a essere associata alle
vittorie militari, seppure in simbiosi con altre divinità (Atena, come si è
detto, oppure Zeus). E bisognò attendere addirittura l’età alessandrina perché,
in alcune località dell’Asia Minore, sotto l’influenza greca (per esempio
Afrodisia), si assistesse all’emancipazione della figura di Nike, ora adorata
come una divinità a sé stante protettrice dei combattenti. Resta il fatto che,
a dispetto del suo ruolo minore, Nike fu una divinità enormemente popolare,
come documentano il gran numero di opere d’arte greche che le rendono omaggio e
il ricorrere della sua immagine sulle antiche monete elleniche.
L’ALTARE DELLA VITTORIA
A Roma,
nell’antica sede del Senato (la cosiddetta Curia Iulia), era conservata una
grande statua della Vittoria Alata, posta a sorveglianza dell’ara dinanzi alla
quale, in età repubblicana, giuravano i nuovi senatori. La statua, ricoperta d’oro
e con la testa cinta d’alloro, era stata trafugata dall’esercito romano durante
la campagna militare contro Taranto e divenne presto l’emblema della crescente
potenza dell’Urbe. L’effigie della dea restò nella Curia Iulia fino all’epoca dell’imperatore Teodosio I quando, a
seguito delle feroci polemiche tra sostenitori
della religione pagana e cristiani (che vedevano nella dea alata un
simbolo empio), la statua fu rimossa dal Senato e l’altare su cui vigilava
venne distrutto.
CREATURE ALATE
Nike è la più
raffigurata, ma non certo l’unica, tra le creature alate del mito greco. Oltre a
lei, il dono del volo era attribuito anche a Ermes ed Eros, nonché a divinità
come Ipnos e Thanatos, il Sonno e la Morte, fratelli di sangue che, come la
Vittoria, rappresentavano
personificazioni di concetti astratti. Figli di Erebo e della Notte,
quindi legati al regno delle tenebre, Ipnos e Thanatos ricordavano Nike per la
giovane età e per la costante presenza sullo scenario umano. A differenza di
quest’ultima, però, non erano oggetto di culto da parte dei Greci, che solo a
Trezene officiavano riti in onore del Sonno. Di tutt’altro spessore la figura delle
Erinni, o Furie, le dee greche della vendetta. Raffigurate come un incrocio tra
Nike e la Medusa, con corpo femminile, grandi ali e capelli serpentiformi, si
diceva fossero nate dall’impasto tra la terra e le gocce di sangue versate da
Urano a seguito della sua evirazione. Il loro ruolo di vendicatrici implacabili
le rendeva figure assai temute nel pantheon greco, tanto che si diceva che
potessero perseguitare gli autori dei crimini non solo in vita ma anche dopo la
morte. Al fianco di queste divinità dall’aspetto ancora parzialmente umano, la
mitologia greca proponeva poi una serie di mostri alati dai poteri talora
benefici, più spesso minacciosi. Appartenevano a questa categoria le Arpie,
spaventose rapitrici di bambini che, nell’iconografia classica, erano raffigurate
come uccelli con busto femminile e possenti artigli da rapace. Oppure le
Gorgoni (tra cui la crudele Medusa), anch’esse dotate di ali d’oro che le
rendevano ancora più temibili e implacabili negli assalti. Per non parlare
della Sfinge o di un mostro benefico come Pegaso, il cavallo alato la cui
capacità di volare permise a Perseo e Bellerofonte di portare a termine le loro
incredibili imprese.
PROTETTRICE DEGLI EVENTI SPORTIVI
Emblema tra i più
significativi della civiltà classica e della religione pagana, la figura alata
di Nike fu avversata con forza dai primi cristiani, che tuttavia, come per
altri simboli antichi, si sforzarono di riassorbirne l’iconografia nella
propria tradizione artistica. Anche il potere politico non rinunciò all’ “appeal”
di Nike, come testimonia il perdurare, fino alle soglie della modernità, di
raffigurazioni della dea alata poste a suggello di trionfi pittorici dedicati
ai vari imperatori. In epoche più recenti, Nike è parsa recuperare il suo ruolo
originario di divinità protettrice degli eventi sportivi: così negli anni
venti, l’orefice Abel Lafleur, dovendo la prima Coppa del Mondo di calcio
(detta Coppa Jules Rimet), scelse di dare al piede di sostegno del trofeo l’aspetto
della dea della vittoria. E, fin dai Giochi Olimpici del 1928, è invalsa l’abitudine
di scolpire, sul diritto delle medaglie destinate ai vincitori, l’immagine di
Nike sullo sfondo di un anfiteatro greco.