Il suo nome, in greco antico, significava “alloro”, e proprio
in una pianta di alloro fu trasformata dalla madre Gaia quando Apollo,
invaghitosi di lei, tentò di violentarla. Una metamorfosi che, pur
imprigionando la ninfa Dafne entro una corteccia, per paradosso le restituiva
la libertà di non soggiacere alla passione d’amore. Una servitù ben peggiore
per chi, come lei, nella logica del mito impersonava la freschezza, la grazia e
l’inafferrabilità delle forze primigenie della natura.
Stazio, Bernini, Monteverdi, D’Annunzio…appartengono a tutte
le epoche, e a ogni tipo d’arte, gli autori che hanno amato il mito di Dafne,
un racconto ellenistico reso celebre da Ovidio con le sue Metamorfosi, ma poi penetrato così profondamente nella cultura
occidentale da aver fatto di Dafne una sorta di archetipo femminile: la figura
dell’eroina capace, pur nella disgrazia, di difendere la propria indipendenza e
libertà di scelta.
GENEALOGIA
DI DAFNE
Come tutte le Ninfe, Dafne è una divinità femminile che nasce
dall’unione tra due forze strettamente legate al mondo vegetale: la Madre Terra
Gaia, che scaturì direttamente dal Caos e creò, da sola o con l’aiuto del
marito Urano, tutti gli elementi primordiali del cosmo, e una divinità fluviale
di incerta identità. Alcuni la individuano in Ladone, dio dell’omonimo fiume in
Arcadia e padre anche di una seconda ninfa, Metope, generata con Stinfalide.
Per altri, invece, il padre di Dafne avrebbe il volto di Peneo, divinità
tessala che origino il corso d’acqua conosciuto con il suo stesso nome.
Chiunque sia il padre di Dafne, è certo comunque che il mito gli assegna, nella
storia della figlia, un ruolo di secondo piano. Ben più rilevante la parte
interpretata da Artemide, la dea dei boschi, che per Dafne fu una sorta di
seconda madre: la accolse infatti nel suo corteo regale, legandola a sé con il
voto di castità richiesto a tutte le sue ancelle. Fu per tenere fede alla
promessa fatta ad Artemide che Dafne respinse il corteggiamento di Apollo, reso
cieco di passione da una freccia dispettosa di Eros. E sempre per fedeltà alla
dea, di cui secondo alcuni autori era la ninfa preferita, Dafne preferì
trasformarsi in una forma vegetale piuttosto che permettere ad Apollo di
violarla.
STORIE DI
NINFE
La versione ovidiana del mito di Dafne, sentimentale e
drammatica al tempo stesso, sembra combinare due aspetti ricorrenti nei
racconti di ninfe: da una parte l’ammiccamento erotico, legato alla natura
stessa di queste divinità minori, giovani fanciulle che personificano la
fecondità e la grazia del mondo vegetale, dall’altra la componente tragica, che
invece sembra sottolineare la fragilità quasi umana delle ninfe, non a caso
ritenute (salvo rarissime eccezioni) creature mortali. Questi due aspetti
costituiscono l’ossatura della maggior parte delle leggende greche dedicate
alle ninfe, e in particolare di due tra le più celebri: il mito della bella
Eco, che per amore di Narciso si consumò al punto da ridursi alla sua sola
voce, e quello della ninfa Callisto, posseduta con l’inganno da Zeus e, per
questo, punita dalla spietata Artemide con un incantesimo che la trasformò in
orsa.
Ci sono però anche miti in cui alle ninfe vengono attribuiti
connotati materni, come tutti quelli dove fanno da nutrici a eroi o dèi (per
esempio Dioniso). E altri ancora in cui, invece, assumono tratti quasi
minacciosi, alla stregua di certe streghe del folclore nordico: è celebre, per
esempio, l’episodio del giovane Ila, fanciullo bellissimo che un gruppo di
ninfe acquatiche, innamorate, trascinarono con sé in una sorgente annegandolo.
Al di là di queste varianti più o meno horror dell’immaginario
mitologico, le ninfe erano comunque generalmente percepite dai Greci come
entità benevole, emanazioni della natura che popolavano l’ambiente vegetale
sacralizzandolo. Forse per questo, ogni ambito del mondo naturale aveva le sue:
così esistevano le ninfe del mare, quelle delle acque e delle grotte, delle
montagne e dei boschi. C’erano persino le ninfe del cielo, che si chiamavano
Pleiadi come la costellazione nota già ai tempi di Omero.
DRIADI E
OREADI
Tra le ninfe terrestri, le più note erano le Driadi, che
morivano quando seccava l’albero in cui abitavano, e le Oreadi, creature delle
montagne e delle grotte.
SIGNORE
DELLE ACQUE
Le ninfe del mare comprendevano le Oceanine, che vivevano sui
fondali dell’Oceano, e le Nereidi, legate al Mar Mediterraneo. Le Naiadi,
invece, erano le ninfe d’acqua dolce, creature dai poteri meravigliosi (tra cui
quello di ispirare i poeti) che popolavano fonti, laghi, fiumi, ruscelli,
cascate.
SETTE
STELLE
Figlie di Atlante e di Pleione, le Pleiadi erano sette sorelle
che facevano parte del corteo regale di Artemide. Un giorno che si trovavano in
compagnia della madre, un terribile cacciatore, Orione, le vide e se ne
innamorò. Per cinque anni le Pleiadi fuggirono il loro persecutore, finché,
stremate, non implorarono gli dèi di salvarle. Zeus, allora, le trasformò in
colombe, che volarono in cielo e divennero le sette stelle che formano
l’omonima costellazione.
LA DEA
DEL CASO
C’era una ninfa che non viveva sugli alberi né sulle montagne,
e tantomeno nei fondali dei fiumi o dei mari. Era Tyche, la dea del Caso, una
creatura inafferrabile da cui dipendevano le sorti dei singoli individui e
degli Stati. Identificata dal poeta Esiodo con una delle Oceanine (ma Pindaro
la considerava la più potente delle Parche), apparteneva a quel gruppo di forze
primigenie generatesi prima della comparsa degli Olimpi, e poi sopravvissute in
forma diversa all’ascesa di Zeus. Il suo ruolo, ancora marginale ai tempi di
Omero (che nei suoi poemi non vi fa mai cenno), crebbe a partire dal IV secolo
a.C., tanto che ai capricci di Tyche cominciarono ad essere attribuite le
fortune e le rovine delle varie poleis.
Non a caso, nelle opere d’epoca ellenistica, la dea viene raffigurata come una
giovane donna che reca sul capo il polos,
una corona turrita simboleggiante le mura cittadine.
CAMBI DI
STATO
La trasformazione in alloro del corpo di Dafne è la
metamorfosi per antonomasia del mito greco. Non è però l’unica né la più
sorprendente. Assai comuni, nella poesia antica, sono per esempio le
“mutazioni” degli dèi, che modificano temporaneamente il proprio aspetto per
comunicare con gli uomini. Maestro di questi camaleontismi è Zeus, che nei suoi
amori “umani” pare divertirsi ad assumere sembianze ogni volta diverse: di un
toro per amare Europa, di un cigno per sedurre Leda, di un’aquila per rapire
Ganimede. Ma non meno abili nell’arte della trasformazione si rivelano
Poseidone, che si accoppia a Melanto in forma di delfino, e Afrodite, che
inganna Psiche presentandosi a lei nei panni di una vecchia.
Accanto a queste metamorfosi temporanee, ci sono poi quelle
definitive, che colpiscono generalmente gli esseri umani. A volerle sono di
solito gli dèì, che le decidono per i motivi più svariati: per donare a giovani
sfortunati un’immortalità postuma (come nel caso di Giacinto, trasformato post mortem nel fiore corrispondente);
per punire gli uomini delle loro colpe (come nel mito di Licaone, mutato in
lupo per aver offerto a Zeus un piatto di carne umana); per sottrarre gli
esseri umani a un destino crudele. A quest’ultimo filone appartengono, per
esempio, la metamorfosi di Dafne e quella delle Eliadi, figlie del dio del sole
Elio: inconsolabili per la morte del fratello Fetonte, le due sorelle piansero
così a lungo la sua scomparsa che il dio fluviale Eridano, commosso, trasformò
le fanciulle in pioppi e le loro lacrime in ambra. Tutte queste metamorfosi,
nei miti greci, trasmettono l’idea di un universo fluido, dove ogni cosa può
mutarsi nelle altre e non esiste linea di demarcazione netta tra piante e
animali, uomini e cose. Un mondo percorso da segreti legami, sottili fili rossi
che collegano tra loro ambiti naturali diversi favorendo continui trapassi tra
regno umano, animale e vegetale.
UN
SOGGETTO PER TUTTE LE ARTI
Un episodio visivamente suggestivo come la metamorfosi di
Dafne non poteva sfuggire all’attenzione degli artisti postclassici. Così, a
partire dal ‘500, furono molti i pittori e gli scultori che provarono a
raffigurare questo soggetto: tra i più famosi, Jacopo Tintoretto, Gian Lorenzo
Bernini, Nicolas Poussin, Giambattista Tiepolo e William Turner. La
letteratura, dal canto suo, iniziò a occuparsi del mito ovidiano già nel
Medioevo, con Francesco Petrarca: il poeta, nel Canzoniere, paragona se stesso ad Apollo, respinto dalla propria
amata e rimasto con il solo alloro (della poesia). In seguito, la leggenda di
Dafne comparve tra l’altro nelle Egloghe
boscarecce di Giovan Battista Marino e nel poemetto L’Oleandro di Gabriele D’Annunzio. Infine la musica: Dafne dà il
titolo all’omonimo “dramma in musica” musicato da Jacopo Peri e Giulio Caccini
su testi di Ottavio Rinuccini, ed è la protagonista di un’opera in un solo atto
composta da Richard Strauss.