Nella religione
pagana le divinità potevano essere spaventose e crudeli come mostri. È il caso
di Megera, una delle tre Erinni (le Furie romane), ripugnanti geni alati con
serpenti intrecciati ai capelli e occhi stillanti gocce di sangue. Una divinità
incaricata, insieme alle sorelle, di punire i colpevoli di crimini violenti, ma
così spietata nell’adempiere alla propria missione di vendicatrice da essere
temuta dagli onesti non meno che dai malvagi.
Spesso venivano
paragonate a cagne, perché inseguivano e perseguitavano gli assassini fino a
che questi, esausti o folli, non si arrendevano alla loro vendetta. Ma forse,
più che alle cagne, le Erinni assomigliavano a demoni infernali, anch’essi
chiamati a punire i crimini più gravi impedendo che la vita collettiva
degenerasse nel caos.
GENEALOGIA DELLE ERINNI
Conosciute anche
con l’ironico soprannome di Eumenidi (le “Benevole”), le tre Erinni
appartenevano alla più antica generazione di divinità greche, quella
preesistente all’ascesa di Zeus e degli altri dèi Olimpi. La loro nascita
veniva pertanto collocata all’origine stessa del Cosmo, quando gli elementi
primordiali dell’Universo, GAIA, la Madre Terra, URANO, il Cielo, PONTO, il
Mare, si accoppiarono tra loro per dare vita al mondo conosciuto. A generare le
Erinni, tuttavia, non fu un atto di amore bensì di violenza: Megera, Aletto e
Tisifone, così si chiamavano le tre sorelle, erano infatti il frutto
dell’evirazione di Urano da parte del figlio Crono, stanco della prepotenza
paterna e istigato dalla madre Gaia a ribellarsi. Dallo squarcio prodotto nel
ventre di Urano dalla falce di Crono sgorgò un fiume di sangue, che cadde sulla
superficie terrestre e la fecondò. Nacquero così le Erinni, sulle quali neppure
Zeus aveva autorità e che vennero presto venerate come dee della vendetta.
LE TRE SORELLE
Sin dai tempi di
Omero, le Erinni sono rappresentate come implacabili vendicatrici delle
ingiustizie e dei torti umani. Annidate nelle oscurità del Tartaro, sono
creature primitive e colleriche, che si accaniscono contro le loro vittime
accecandone la mente con il rimorso e la follia. Il loro habitat naturale è la
Notte, da cui, secondo alcuni, discendono. Ma possono agire anche di giorno, se
ciò serve per portare a compimento la loro vendetta. Il ruolo punitivo delle
Erinni si esercita soprattutto nei confronti degli assassini e dei violenti; ma
le tre dee non mancano di castigare anche colpe meno gravi, come la
disobbedienza verso i genitori, la sopraffazione dei deboli e degli anziani, lo
spergiuro, la violazione delle sacre leggi dell’ospitalità, la mancanza di
pietà verso i supplici. Sono inoltre implacabili verso quanti si macchiano di hybris, un peccato di superbia che fa
scordare all’uomo la sua condizione mortale spingendolo a misurarsi con gli
dèi. Coprotagoniste di decine di miti greci e latini, le Erinni hanno un ruolo
centrale soprattutto nel ciclo di Agamennone, il re acheo colpevole di avere
sacrificato la figlia Ifigenia pur di placare la dea Artemide e consentire la
partenza della flotta greca verso Troia. A seguito di questo delitto (sventato
dalla stessa Artemide), le Erinni indussero Clitennestra a uccidere il marito,
poi la punirono per mano del figlio Oreste e infine perseguitarono quest’ultimo
in quanto assassino della madre. Un’analoga catena di disgrazie colpisce Edipo,
vittima di una maledizione provocata da un crimine commesso dal padre Laio ben
prima della sua nascita.
A lungo ritenute
divinità terrene, le Erinni, in epoca tarda, cominciarono a essere concepite
come creature infernali, che perseguitavano i colpevoli anche dopo la morte,
torturandoli nel Tartaro con le loro fruste e atterrendoli con i sibili dei
serpenti intrecciati ai loro capelli.
COMPLICI NEL DELITTO
Quando
Clitennestra, insieme all’amante Egisto, uccise il marito Agamennone, Oreste fu
salvato dalla sorella Elettra, che lo inviò in segreto presso Strofio, re della
Focide. Lì l’eroe rimase fino alla maggiore età, quando tornò ad Argo e, con
l’aiuto della sorella, vendicò la morte del padre.
LA “DEA TRIPLICE”
Sono tre, ma di
fatto agiscono come un’unica divinità, quasi costituissero un’entità indistinta
e indivisibile. L’archetipo della “dea triplice” (un termine divulgato dallo
scrittore inglese Robert Graves), ricorrente in tutte le culture indoeuropee,
torna spesso anche nella mitologia greco-romana. Oltre alle Erinni, ricadono
sotto questo modello anche le Moire o Parche, personificazioni del destino
umano assegnato a ciascun individuo. Un terzetto di sorelle che, pur avendo
nomi diversi (Atropo, Cloto e Lachesi), assolvono tutte insieme allo stesso
compito: fare in modo che ogni essere umano abbia in sorte la sua moira, cioè la parte di vita, felicità,
sfortuna concessagli dal Fato. Che poi, nell’ambito di questa funzione, ognuna
delle Parche svolga mansioni diverse (Cloto fila la tela della vita, Lachesi la
avvolge sul fuso corrispondente, Atropo la taglia quando è giunta al termine) è
meno rilevante del fatto che alle tre figlie di Zeus e Temi non sia consentito
agire separatamente, poiché solo la loro unione garantisce il pieno rispetto di
quella legge del destino che neppure gli dèi possono trasgredire.
Al pari delle
Moire, anche le Ore, nate come le loro sorelle dall’unione tra Zeus e Temi, non
sono concepibili come entità distinte. Per certi aspetti, anzi, sono persino
più simbiotiche delle Moire, in quanto, a differenza di queste ultime, non
rappresentano individualità definite bensì mere personificazioni di concetti
astratti: la Giustizia, il Diritto e la Pace secondo Esiodo; la Fioritura
primaverile, il Rigoglio estivo e il Raccolto autunnale secondo autori più
antichi. Quanto ai loro compiti, variano di epoca in epoca: inizialmente
venerate come dee delle Stagioni e del ciclo naturale della vegetazione, furono
in seguito associate alle leggi morali, di cui erano le guardiane. Solo ai
tempi dei Romani furono aumentate di numero e iniziarono a essere associate
allo scorrere del tempo: gli autori latini ne contavano dodici, quante le ore
del giorno, tutte danzanti attorno al carro del Sole.
SULLA SCIA DI ESCHILO
La più celebre
rappresentazione delle Erinni nel mondo greco è costituita dalle Eumenidi di Eschilo. In questa tragedia,
ultimo atto della trilogia Orestea,
viene narrata la persecuzione delle tre dee nei confronti di Oreste, colpevole
dell’omicidio di sua madre. Da questo modello, che riprende probabilmente
suggestioni di molti secoli precedenti, sono derivate tutte le rielaborazioni
postclassiche delle figure delle Erinni: da quella dantesca, che colloca le
Furie a guardia della città infernale di Dite, alla Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, dove l’orrenda Aletto
scatena la ribellione nel campo dei cristiani. Le Erinni compaiono anche nel Faust di Goethe, nell’Elettra di Giraudoux, nel romanzo Furia di Salman Rushdie. Sono inoltre
raffigurate in dipinti di Johann Heinrich e Arnold Bocklin, oltre che celebrate
nell’opera Ippolito e Aricia di
Jean-Philippe Rameau.