Bello come un dio,
imperfetto come un uomo: così, nell’Iliade,
Omero presenta Paride, il principe troiano che, rapendo Elena, scatenò la
rabbia dei Greci e la guerra fatale alla sua città. Un personaggio anomalo e,
per tanti versi, contraddittorio: amante della vita pastorale ma pronto, pur di
avere Elena, a voltarle le spalle; non privo di coraggio ma così restio a
battersi da essere accusato di viltà. Un personaggio, comunque, mai all’altezza
del fratello Ettore e degli altri guerrieri omerici, loro sì interpreti di
quella visione eroica della vita che l’Iliade
intendeva celebrare.
Figlio di Priamo,
fratello di Ettore, amante di Elena, giustiziere di Achille, Paride si colloca
al centro, o almeno nelle vicinanze, di tutti gli snodi cruciali dell’Iliade. Eppure la sua figura rimane
sempre defilata rispetto a quella degli altri eroi del poema, quasi che, agli
occhi di Omero, egli dovesse rivestire un unico, scomodissimo ruolo: quello di
responsabile primo, ancorché, almeno in parte, inconsapevole, della distruzione
di Troia.
GENEALOGIA DI PARIDE
Nato dall’unione
tra il re di Troia, Priamo, e la sua seconda moglie Ecuba, Paride discendeva
attraverso il padre da quel Laomedonte che, avendo mancato alla parola data nei
confronti di Eracle, aveva causato la rovina della sua stessa stirpe. Forse per
questo la vita del fratello minore di Ettore fu accompagnata sin dalla nascita
da funesti presagi. Poco prima di partorire Paride, infatti, Ecuba ebbe un
incubo nel quale lo vide trasformarsi in una torcia che avrebbe dato fuoco a
Troia e all’intera regione. Ciò spinse i sovrani a esporre il neonato sulle
pendici del monte Ida, dove fu allattato da un’orsa e poi preso in cura da un
pastore di nome Agelao. Divenuto adulto, Paride rivelò doti non comuni nel tiro
con l’arco e nella difesa degli armenti, tanto da suscitare la simpatia di
tutti i pastori locali. Le donne, invece, lo ammiravano per la sua bellezza,
così eccezionale che persino la ninfa dei boschi Enone si innamorò di lui,
sposandolo e dandogli un figlio, Corito. Dopo essere stato riammesso a corte,
Paride lasciò Enone per Elena, l’incantevole figlia di Zeus e Leda, con la
quale generò quattro figli: tre maschi, Agano, Bugono e Ideo, e una femmina,
Elena. Nessuno di essi, però sopravvisse al padre: ancora in fasce, infatti,
restarono uccisi nel crollo di un soffitto durante l’assedio di Troia.
IL GIUDIZIO FATALE
Alla figura di
Paride si lega uno degli episodi più celebri della mitologia greca, quello
relativo alla gara di bellezza tra Era, Afrodite e Atena. Secondo la leggenda,
mentre erano in corso le nozze tra il re di Ftia, Peleo, e la Nereide Teti, la
dea della discordia Eris, offesa per non essere stata invitata, lanciò tra i
partecipanti alla festa un pomo d’oro che recava incisa la scritta “alla più
bella”. Subito, tra Era, Afrodite e Atena scoppiò un violento diverbio su chi
tra loro meritasse il pomo. Alla fine Zeus, stufo di quel litigio e timoroso
che esso potesse minare l’unità dell’Olimpo, decise di affidare a un umano il
compito di risolvere la questione. La scelta cadde su Paride, un bellissimo
pastore del monte Ida noto per la sua bellezza nelle faccende amorose.
Avvicinato da Ermes, il giovane dapprima rifiutò il ruolo di giudice, ma poi si
lasciò convincere e ascoltò le tre dee, che peroravano ciascuna la propria
causa condendola con promesse e adulazioni. Parlò per prima Era, che lusingò
Paride offrendogli in cambio del suo “voto” grandi ricchezze e il dominio
sull’intero mondo. Poi fu la volta di Atena, che tentò di trarre dalla sua
parte il giovane assicurandogli l’invincibilità in battaglia. Infine prese la
parola Afrodite, che si limitò a garantire a Paride l’amore di Elena di Sparta,
la più bella tra le donne. A Paride parve che quest’ultima fosse la promessa
più allettante, e decretò la vittoria di Afrodite. In tal modo, senza saperlo,
aveva sancito la rovina di Troia. Già presente in forma embrionale nelle pagine
dell’Iliade, il mito del concorso di
bellezza tra le dee fu sviluppato soprattutto da scrittori di epoca
post-omerica come il greco Luciano di Samosata e i latini Ovidio e Igino. Di
esso si occuparono anche i mitografi razionalisti, che tentarono di
“normalizzare” la leggenda interpretando l’apparizione delle tre dee come un
sogno di Paride assopitosi sul monte Ida.
ELENA RAPITA
Dopo che Afrodite
gli ebbe promesso Elena, Paride lasciò la ninfa Enone e, sotto la protezione
della dea, si imbarcò per Sparta. Secondo una tradizione, la stessa Afrodite
diede ordine a Enea, l’eroe troiano, di scortare Paride in questo viaggio. Una
volta giunti a Sparta, i due ospiti furono accolti dai Dioscuri, i fratelli di
Elena, e condotti alla corte di Menelao, che li ricevette con tutti gli onori.
Poi, dovendo recarsi a Creta, per un funerale, il re spartano affidò gli
stranieri alle cure della moglie Elena, raccomandandole di tenerli presso di sé
fino a che essi l’avessero voluto. In breve, il fascino di Paride fece breccia
nel cuore della regina, che riunì tutti i tesori a cui aveva accesso e,
abbandonata la figlia Ermione a Sparta, fuggì con Paride verso Troia. Il
viaggio dei due amanti fu tutt’altro che sereno: una violenta tempesta
scatenata da Era sospinse infatti la loro nave fino a Sidone, in Fenicia, dove
Paride si dimostrò una volta di più subdolo tradendo l’ospitalità del re e
saccheggiando la città. Sfuggito all’inseguimento dei Fenici, Paride approdò
infine a Troia, dove il vecchio Priamo, evidentemente immemore del sogno di
Ecuba e incurante delle profezie della figlia Cassandra, lo accolse con grande
affetto. Ben presto, tuttavia, dalla Grecia giunsero cattive notizie: Elena,
infatti, prima di sposare Menelao, aveva avuto tra i suoi pretendenti tutti i
più grandi eroi greci, tranne forse Achille. E questa schiera di principi,
indignata per il “rapimento” di Elena, aveva deciso di vendicare l’oltraggio
subito da Menelao, affiancandolo in una spedizione che si proponeva di punire
Paride e riportare Elena in Grecia. Era l’inizio della guerra di Troia.
LONTANO DALLA BATTAGLIA
Malgrado tra le
sue vittime figurino intrepidi guerrieri come Menestio ed Euchenore, secondo la
tradizione il comportamento di Paride nella guerra di Troia fu tutt’altro che
valoroso: oltre ad essere battuto da Menelao in duello, infatti, egli cercò in
ogni modo di sottrarsi ai combattimenti, tanto che il fratello Ettore dovette
rimproverarlo aspramente alla presenza di Elena per convincerlo a scendere in
campo.
NASCOSTO IN UNA NUBE
Durante l’assedio
di Troia, Paride affrontò il rivale Menelao in un duello che avrebbe dovuto
decidere a chi spettasse Elena senza ulteriori spargimenti di sangue.
Sconfitto, il principe troiano si salvò solo grazie all’intervento di Afrodite,
che lo nascose dentro una spessa nube sottraendolo ai colpi dell’avversario.
IL RIFIUTO DI ENONE
Alla caduta di
Troia, Paride fu ferito dal greco Filottete con una delle frecce avvelenate che
erano appartenute a Eracle. Agonizzante, chiese alla prima moglie Enone, che
aveva doti di guaritrice, un antidoto contro il veleno che lo stava uccidendo.
Ma la ninfa, ancora offesa per l’abbandono patito dall’ex marito, si rifiutò di
aiutarlo, attendendo che morisse. Poi però, pentita, si suicidò, gettandosi
nella pira funebre su cui ardeva il corpo di Paride.
L’UCCISIONE DI ACHILLE
Secondo il
racconto omerico, l’atto più glorioso compiuto da Paride durante la guerra di
Troia fu l’uccisione di Achille, trafitto al tallone con una freccia. Anche su
questo episodio, tuttavia, molti autori antichi (tra cui lo stesso Omero)
nutrono dei dubbi: la maggior parte, infatti, sottolinea come a indirizzare la
freccia verso l’unico punto vulnerabile di Achille sia stato non tanto Paride
quanto Apollo, che in tal modo avrebbe dato compimento al destino dell’eroe.
Altre versioni del mito sostengono invece che la freccia sia stata tirata
direttamente da Apollo, sia pure nei panni di Paride; e altre ancora
attribuiscono la morte di Achille a un agguato tesogli dallo stesso Paride nel
tempio di Apollo Timbreo, a Troia, dove Achille era entrato disarmato. Secondo
questa versione del mito, Achille, sul finire della sua vita, si sarebbe
innamorato di Polissena, una delle figlie di Priamo. Per lei sarebbe stato
anche pronto a passare tra le fila nemiche, se Paride, uccidendolo, non avesse
cancellato anche l’ultima possibilità per Troia di scampare alla distruzione.
OMAGGI POSTCLASSICI
La fortuna
postclassica della figura di Paride comincia già nel medioevo con l’Historia Destructionis Troiae, di
Guido delle Colonne, e l’Ovide Moralisè,
poema trecentesco anonimo in cui il principe troiano impersona l’uomo che si
lascia travolgere dalla bellezza materiale, non curandosi della saggezza e del
potere. Paride compare anche nel Faust
di Wolfgang Goethe, nel poema Oenone
di Alfred Tennyson, nei drammi Troilo e
Cressida di William Shakespeare e La
guerra di Troia non si farà di Jean Giraudoux. In campo pittorico, gli
episodi del giudizio di Paride e del ratto di Elena sono stati raffigurati, tra
gli altri, da Cranach il Vecchio, Peter Paul Rubens, Pierre-August Renoir e
Paul Gauguin. Notevoli alcuni nudi di Paride scolpiti da Antonio Canova, mentre
la musica ha omaggiato l’eroe omerico con l’opera Paride ed Elena di C.W. Gluck.