mercoledì 27 giugno 2012

PARIDE



Bello come un dio, imperfetto come un uomo: così, nell’Iliade, Omero presenta Paride, il principe troiano che, rapendo Elena, scatenò la rabbia dei Greci e la guerra fatale alla sua città. Un personaggio anomalo e, per tanti versi, contraddittorio: amante della vita pastorale ma pronto, pur di avere Elena, a voltarle le spalle; non privo di coraggio ma così restio a battersi da essere accusato di viltà. Un personaggio, comunque, mai all’altezza del fratello Ettore e degli altri guerrieri omerici, loro sì interpreti di quella visione eroica della vita che l’Iliade intendeva celebrare.
Figlio di Priamo, fratello di Ettore, amante di Elena, giustiziere di Achille, Paride si colloca al centro, o almeno nelle vicinanze, di tutti gli snodi cruciali dell’Iliade. Eppure la sua figura rimane sempre defilata rispetto a quella degli altri eroi del poema, quasi che, agli occhi di Omero, egli dovesse rivestire un unico, scomodissimo ruolo: quello di responsabile primo, ancorché, almeno in parte, inconsapevole, della distruzione di Troia.

GENEALOGIA DI PARIDE

Nato dall’unione tra il re di Troia, Priamo, e la sua seconda moglie Ecuba, Paride discendeva attraverso il padre da quel Laomedonte che, avendo mancato alla parola data nei confronti di Eracle, aveva causato la rovina della sua stessa stirpe. Forse per questo la vita del fratello minore di Ettore fu accompagnata sin dalla nascita da funesti presagi. Poco prima di partorire Paride, infatti, Ecuba ebbe un incubo nel quale lo vide trasformarsi in una torcia che avrebbe dato fuoco a Troia e all’intera regione. Ciò spinse i sovrani a esporre il neonato sulle pendici del monte Ida, dove fu allattato da un’orsa e poi preso in cura da un pastore di nome Agelao. Divenuto adulto, Paride rivelò doti non comuni nel tiro con l’arco e nella difesa degli armenti, tanto da suscitare la simpatia di tutti i pastori locali. Le donne, invece, lo ammiravano per la sua bellezza, così eccezionale che persino la ninfa dei boschi Enone si innamorò di lui, sposandolo e dandogli un figlio, Corito. Dopo essere stato riammesso a corte, Paride lasciò Enone per Elena, l’incantevole figlia di Zeus e Leda, con la quale generò quattro figli: tre maschi, Agano, Bugono e Ideo, e una femmina, Elena. Nessuno di essi, però sopravvisse al padre: ancora in fasce, infatti, restarono uccisi nel crollo di un soffitto durante l’assedio di Troia.

IL GIUDIZIO FATALE

Alla figura di Paride si lega uno degli episodi più celebri della mitologia greca, quello relativo alla gara di bellezza tra Era, Afrodite e Atena. Secondo la leggenda, mentre erano in corso le nozze tra il re di Ftia, Peleo, e la Nereide Teti, la dea della discordia Eris, offesa per non essere stata invitata, lanciò tra i partecipanti alla festa un pomo d’oro che recava incisa la scritta “alla più bella”. Subito, tra Era, Afrodite e Atena scoppiò un violento diverbio su chi tra loro meritasse il pomo. Alla fine Zeus, stufo di quel litigio e timoroso che esso potesse minare l’unità dell’Olimpo, decise di affidare a un umano il compito di risolvere la questione. La scelta cadde su Paride, un bellissimo pastore del monte Ida noto per la sua bellezza nelle faccende amorose. Avvicinato da Ermes, il giovane dapprima rifiutò il ruolo di giudice, ma poi si lasciò convincere e ascoltò le tre dee, che peroravano ciascuna la propria causa condendola con promesse e adulazioni. Parlò per prima Era, che lusingò Paride offrendogli in cambio del suo “voto” grandi ricchezze e il dominio sull’intero mondo. Poi fu la volta di Atena, che tentò di trarre dalla sua parte il giovane assicurandogli l’invincibilità in battaglia. Infine prese la parola Afrodite, che si limitò a garantire a Paride l’amore di Elena di Sparta, la più bella tra le donne. A Paride parve che quest’ultima fosse la promessa più allettante, e decretò la vittoria di Afrodite. In tal modo, senza saperlo, aveva sancito la rovina di Troia. Già presente in forma embrionale nelle pagine dell’Iliade, il mito del concorso di bellezza tra le dee fu sviluppato soprattutto da scrittori di epoca post-omerica come il greco Luciano di Samosata e i latini Ovidio e Igino. Di esso si occuparono anche i mitografi razionalisti, che tentarono di “normalizzare” la leggenda interpretando l’apparizione delle tre dee come un sogno di Paride assopitosi sul monte Ida.


ELENA RAPITA

Dopo che Afrodite gli ebbe promesso Elena, Paride lasciò la ninfa Enone e, sotto la protezione della dea, si imbarcò per Sparta. Secondo una tradizione, la stessa Afrodite diede ordine a Enea, l’eroe troiano, di scortare Paride in questo viaggio. Una volta giunti a Sparta, i due ospiti furono accolti dai Dioscuri, i fratelli di Elena, e condotti alla corte di Menelao, che li ricevette con tutti gli onori. Poi, dovendo recarsi a Creta, per un funerale, il re spartano affidò gli stranieri alle cure della moglie Elena, raccomandandole di tenerli presso di sé fino a che essi l’avessero voluto. In breve, il fascino di Paride fece breccia nel cuore della regina, che riunì tutti i tesori a cui aveva accesso e, abbandonata la figlia Ermione a Sparta, fuggì con Paride verso Troia. Il viaggio dei due amanti fu tutt’altro che sereno: una violenta tempesta scatenata da Era sospinse infatti la loro nave fino a Sidone, in Fenicia, dove Paride si dimostrò una volta di più subdolo tradendo l’ospitalità del re e saccheggiando la città. Sfuggito all’inseguimento dei Fenici, Paride approdò infine a Troia, dove il vecchio Priamo, evidentemente immemore del sogno di Ecuba e incurante delle profezie della figlia Cassandra, lo accolse con grande affetto. Ben presto, tuttavia, dalla Grecia giunsero cattive notizie: Elena, infatti, prima di sposare Menelao, aveva avuto tra i suoi pretendenti tutti i più grandi eroi greci, tranne forse Achille. E questa schiera di principi, indignata per il “rapimento” di Elena, aveva deciso di vendicare l’oltraggio subito da Menelao, affiancandolo in una spedizione che si proponeva di punire Paride e riportare Elena in Grecia. Era l’inizio della guerra di Troia.

LONTANO DALLA BATTAGLIA

Malgrado tra le sue vittime figurino intrepidi guerrieri come Menestio ed Euchenore, secondo la tradizione il comportamento di Paride nella guerra di Troia fu tutt’altro che valoroso: oltre ad essere battuto da Menelao in duello, infatti, egli cercò in ogni modo di sottrarsi ai combattimenti, tanto che il fratello Ettore dovette rimproverarlo aspramente alla presenza di Elena per convincerlo a scendere in campo.

NASCOSTO IN UNA NUBE

Durante l’assedio di Troia, Paride affrontò il rivale Menelao in un duello che avrebbe dovuto decidere a chi spettasse Elena senza ulteriori spargimenti di sangue. Sconfitto, il principe troiano si salvò solo grazie all’intervento di Afrodite, che lo nascose dentro una spessa nube sottraendolo ai colpi dell’avversario.

IL RIFIUTO DI ENONE

Alla caduta di Troia, Paride fu ferito dal greco Filottete con una delle frecce avvelenate che erano appartenute a Eracle. Agonizzante, chiese alla prima moglie Enone, che aveva doti di guaritrice, un antidoto contro il veleno che lo stava uccidendo. Ma la ninfa, ancora offesa per l’abbandono patito dall’ex marito, si rifiutò di aiutarlo, attendendo che morisse. Poi però, pentita, si suicidò, gettandosi nella pira funebre su cui ardeva il corpo di Paride.


L’UCCISIONE DI ACHILLE

Secondo il racconto omerico, l’atto più glorioso compiuto da Paride durante la guerra di Troia fu l’uccisione di Achille, trafitto al tallone con una freccia. Anche su questo episodio, tuttavia, molti autori antichi (tra cui lo stesso Omero) nutrono dei dubbi: la maggior parte, infatti, sottolinea come a indirizzare la freccia verso l’unico punto vulnerabile di Achille sia stato non tanto Paride quanto Apollo, che in tal modo avrebbe dato compimento al destino dell’eroe. Altre versioni del mito sostengono invece che la freccia sia stata tirata direttamente da Apollo, sia pure nei panni di Paride; e altre ancora attribuiscono la morte di Achille a un agguato tesogli dallo stesso Paride nel tempio di Apollo Timbreo, a Troia, dove Achille era entrato disarmato. Secondo questa versione del mito, Achille, sul finire della sua vita, si sarebbe innamorato di Polissena, una delle figlie di Priamo. Per lei sarebbe stato anche pronto a passare tra le fila nemiche, se Paride, uccidendolo, non avesse cancellato anche l’ultima possibilità per Troia di scampare alla distruzione.

OMAGGI POSTCLASSICI

La fortuna postclassica della figura di Paride comincia già nel medioevo con l’Historia Destructionis Troiae, di Guido delle Colonne, e l’Ovide Moralisè, poema trecentesco anonimo in cui il principe troiano impersona l’uomo che si lascia travolgere dalla bellezza materiale, non curandosi della saggezza e del potere. Paride compare anche nel Faust di Wolfgang Goethe, nel poema Oenone di Alfred Tennyson, nei drammi Troilo e Cressida di William Shakespeare e La guerra di Troia non si farà di Jean Giraudoux. In campo pittorico, gli episodi del giudizio di Paride e del ratto di Elena sono stati raffigurati, tra gli altri, da Cranach il Vecchio, Peter Paul Rubens, Pierre-August Renoir e Paul Gauguin. Notevoli alcuni nudi di Paride scolpiti da Antonio Canova, mentre la musica ha omaggiato l’eroe omerico con l’opera Paride ed Elena di C.W. Gluck.