In quasi tutte le
mitologie antiche c’è la figura di un drago che custodisce immensi tesori. Nel
mondo greco, questo drago è Ladone, il guardiano dell’albero dai pomi d’oro
nascosto nel giardino delle ninfe
Esperidi. Un mostro per tanti aspetti “minore”, ma in ogni caso legato a uno
dei cicli-chiave della mitologia greca: quello che narra le dodici fatiche del
grande Eracle.
Per alcuni autori era un serpente a cento teste, per altri un
drago; altri ancora lo descrivevano come un rettile malefico e astuto. Su un
solo punto tutti erano d’accordo: Ladone era una creatura maligna e insidiosa,
dotata di poteri magici ricevuti in dono da Era, la sua protettrice.
GENEALOGIA
DI LADONE
Esistono due diverse tradizioni genealogiche riguardo alla
nascita di Ladone. La prima individua i genitori del drago nei due mostri da
cui discendono tutti gli esseri più orribili del mito greco: il terrificante
Tifone, un gigante alato con cento teste e due spire di serpenti al posto dei
piedi, e la donna-vipera Echidna, con un busto da donna innestato su una coda
da rettile. Dall’unione di questi due esseri immondi ebbe origine Ladone, che
poi fu adottato da Era, la moglie di Zeus, e trasformato nel custode dei più
preziosi frutti del mito greco. Contrapposta a questa mappa genealogica ce
n’era una seconda che, curiosamente, faceva discendere Ladone dal mare. Secondo
questa versione minore del mito, il drago delle Esperidi sarebbe infatti figlio
di Forco (o Forcide) e Ceto, una coppia di amanti-fratelli collocati dalla tradizione
greca tra le divinità marine primordiali. Nati dalle nozze tra Ponto e Gaia –
il Mare e la Terra – Forco e Ceto erano ritenuti i genitori, oltre che di
Ladone, anche di molti altri mostri mitologici, tra cui Echidna, le Gorgoni e
le bellissime ma insidiose ninfe Esperidi.
I POMI
PROIBITI
La figura di Ladone compare, per di più marginalmente, solo
nell’undicesima fatica di Eracle. L’eroe, chiamato a espiare attraverso queste
dodici imprese l’omicidio della moglie Megara, uccisa in un raptus di follia,
era appena rientrato a Micene dopo la cattura dei buoi di Gerone quando
Euristeo, re della città, gli ordinò di portargli i pomi d’oro nascosti nel
Giardino delle Esperidi. Di questo luogo incantato, sorvegliato da un drago che
non dormiva mai, nessuno conosceva l’esatta collocazione. Trovarlo fu perciò
difficile e faticoso, e forse Eracle non ci sarebbe riuscito senza l’aiuto del
dio marino Nereo il quale, pur tentando di sfuggirgli, gli rivelò infine la
regione – forse a ovest della Libia – dove si trovava il giardino.
Iniziò così per Eracle un interminabile viaggio, costellato da
molte e mirabolanti imprese: l’eroe liberò tra l’altro le coste libiche dal
feroce gigante Anteo e pose termine al tormento di Prometeo, incatenato a una
roccia dove, per volere di Zeus, un’aquila gli divorava quotidianamente il
fegato. Proprio Prometeo, grato a Eracle per averlo liberato, consigliò
all’eroe – se voleva davvero i pomi – di non recarsi personalmente nel Giardino
delle Esperidi, ma di affidare il compito a suo fratello, il Titano Atlante.
Eracle accolse il suggerimento e, recatosi dal gigante, gli offrì, in cambio
dell’aiuto richiesto, di reggere fino al suo ritorno la volta celeste che
Atlante, per ordine di Zeus, doveva portare giorno e notte sulle spalle. Atlante
accettò e, come previsto da Prometeo, non ebbe difficoltà a impossessarsi dei
pomi; ma, una volta tornato, si rifiutò di consegnarli a Eracle, perché non
voleva riprendere su di sé il peso del cielo. Così Eracle, per non restare
intrappolato in quella scomoda situazione, dovette ingannare Atlante,
convincendolo con una scusa a rimettersi per qualche istante il cielo sulle
spalle, salvo poi fuggire con i pomi d’oro che il Titano, ingenuamente, aveva
posato per terra.
Una diversa versione del mito sostiene invece che Eracle si
recò personalmente nel Giardino delle Esperidi, uccise o addormentò Ladone e si
impadronì dei pomi, senza alcun aiuto da parte di Atlante.
IL FIGLIO
DI GAIA, LA MADRE TERRA
Una delle imprese più celebri compiute da Eracle durante l’undicesima
fatica fu l’uccisione del crudele Anteo, un gigante libico dai poteri
straordinari. Nato dall’unione tra Gaia e Poseidone, Anteo era pressoché invincibile finché restava in contatto con
sua madre, la Terra; ma Eracle riuscì a sollevarlo per il tronco e, tenendolo
sollevato, lo strinse fino a soffocarlo.
VITTIMA
SACRIFICALE
Durante la marcia di avvicinamento al Giardino delle Esperidi,
Eracle passò anche dall’Egitto, dove il crudele re Busiride aveva l’abitudine
di sacrificare a Zeus gli stranieri che passavano dal suo paese. Anche Eracle
rischiò di restare vittima della barbara usanza, ma, condotto all’altare con le
mani e i piedi legati, si liberò dai lacci e uccise Busiride.
IL DONO
DI ATENA
Una volta ottenuti i pomi d’oro, Euristeo, cugino senza
qualità di Eracle, non mostrò alcun interesse per i preziosi frutti, e li
restituì all’eroe greco.
Eracle poté così donarli ad Atena, che subito li riportò nel
Giardino delle Esperidi, dove, secondo la legge divina, erano destinati a
restare per l’eternità.
LA
COSTELLAZIONE DEL SERPENTE
Secondo una leggenda ellenistica, Era, inconsolabile per la
morte di Ladone, tentò di perpetuarne il ricordo innalzandolo in cielo sotto
forma di astro. Nacque così la costellazione del Serpente, ben visibile nelle
notti estive dalle coste greche. Dal canto loro le Esperidi, disperate per non
aver saputo proteggere i frutti che avevano ricevuto in custodia, si
trasformarono in alberi (un pioppo, un olmo e un salice), sotto le cui fronde
si riposò Giasone quando, nel corso della sua ricerca del Vello d’Oro, approdò
con gli Argonauti nel mitico giardino.
L’ORA DEL
DRAGO
Terrificante, insonne, gigantesco: Ladone non è che una delle
infinite forme che il drago assume nella fantasia dei Greci. Simile a lui,
quasi un fratello-gemello, c’è per esempio il drago del Vello d’Oro, un mostro
senza nome chiamato a sorvegliare la preziosa pelle dell’ariete magico donato da
Ermes a Nefele, moglie di Atamante. Un ostacolo apparentemente invalicabile per
qualsiasi essere umano, ma non per Giasone, che, secondo alcuni, per recuperare
il Vello d’Oro dovette calarsi nello stomaco del mostro, proprio come il
biblico Giona nel ventre della balena.
Un custode di tesori, sia pure di diversa natura, è anche
Pitone, il rettile che Gaia, la Madre Terra, nella notte dei tempi pose a
guardia del suo oracolo a Delfi. Apollo lo sconfisse in una mitica battaglia e
in tal modo strappò a Gaia il controllo dell’oracolo, che divenne così la voce
della sua volontà sulla Terra.
Altri draghi greci paiono invece, più che custodi di tesori
intangibili, espressioni di una natura spaventosa e matrigna. Così l’Idra di
Lerna, uccisa da Eracle con il sostegno del nipote Iolao, sembra quadi
un’emanazione venefica della palude maleodorante in cui abita. E il mostro
marino decapitato da Perseo per liberare Andromeda assomiglia, più che a un
drago, a uno dei giganteschi pesci (forse balene) che, nell’immaginario degli
antichi, dovevano popolare i fondali marini. Tutti draghi, quelli del mito
greco, che comunque, pur nelle loro differenze, hanno un aspetto in comune: la
loro esistenza pare avere come unico scopo quello di far risaltare la grandezza
dell’eroe che, vincendoli, viene elevato al rango di “salvatore” del mondo.
Un aspetto che accomuna i mostri greci e quelli di altre
mitologie, orientali o nordiche che siano: dal drago marino Tiamat,
intrappolato in una rete e poi ucciso dal babilonese Marduk, al velenoso
Jormungandr, sconfitto, ma al prezzo della vita, dal dio norreno del tuono
Thor.
SUGGESTIONI
INDIRETTE
Le tracce lasciate da Ladone nell’arte postclassica sono
interamente legate al successo iconografico del mito di Eracle. Succede così che
in opere dedicate all’eroe trovi spazio anche il drago, spesso raffigurato come
un cimelio di caccia sotto i piedi del suo uccisore. Altre volte, invece, il
soggetto del dipinto è la lotta tra l’eroe e il mostro – come in un olio su
tela di Juan Bautista Martinez del Mazo – oppure il contesto mitologico in cui
tale scontro è avvenuto. Significativo in tal senso un dipinto di Frederic
Leighton, dove il Giardino delle Esperidi diventa una sorta di Paradiso
Terrestre con Ladone nella parte del serpente tentatore. È indubbio, comunque,
che l’influenza più duratura della figura di Ladone sia indiretta, e vada
rintracciata nelle centinaia di quadri su San Giorgio e il drago che, in un
modo o nell’altro, risentono delle suggestioni del mito.