sabato 17 novembre 2012

SELENE



Personificazione ellenica della Luna, Selene, la “splendente”, era una dea sfuggente e misteriosa. Raffigurata come una giovane donna che percorre il cielo su una carro d’argento trainato da cavalli, compariva raramente nei miti, e quasi sempre come oggetto del desiderio di divinità maschili più note. In un solo caso gli antichi le attribuirono un ruolo da protagonista: nel mito di Endimione, il fascinoso re dell’Elide per il quale Selene aveva completamente perso la testa…
Nel mondo greco il culto di Selene non era molto sentito. Tuttavia la sua figura distante ed erotica al tempo stesso non poteva suggestionare i poeti, che difatti ne cantarono a più riprese il fascino. Con il passaggio al mondo romano, poi, la dea della luna venne identificata con quella della caccia Diana, in una sovrapposizione di attributi che contribuì a renderne popolare la figura.

GENEALOGIA DI SELENE

Assimilabile ad analoghe ma più antiche divinità lunari, come la mesopotamica Ishtar e l’egizia Iside, Selene era figlia di Titani. I suoi genitori, difatti, erano Iperione e Teia, dèi della prima generazione, nati entrambi dagli amori tra Urano, il Cielo, e Gaia, la Terra. Iperione e Teia, benché fratelli, avevano presto scoperto di amarsi, e dalla loro relazione erano nati tre figli: oltre a Selene, anche Eos, l’Alba, ed Elio, il Sole. I tre erano legati da grande affetto reciproco, ma Selene prediligeva il fratello Elio, al punto che si diceva che fosse la sua amante e che con lui avesse generato le Ore. Ma queste erano versioni minori del mito, che in genere attribuiva a Selene un’unica figlia, Pandia, nata dalla sua relazione con Zeus. Altri autori, invece, sostenevano che, oltre a Pandia, Selene con il re dell’Olimpo avesse generato anche Erse, la Rugiada, più spesso però ritenuta figlia di Eos. C’erano infine molti mitologi secondo i quali anche l’unione di Selene con Endimione era stata feconda, anche se esistevano parecchie incertezze circa l’identità e il numero dei figli generati dalla coppia.

GLI AMORI DELLA DEA

Divinità multiforme e inafferrabile, Selene era ricordata soprattutto per i suoi numerosi amori, quasi sempre circondati da un’aura di mistero. A partire dal primo e più importante (almeno in termini gerarchici), quello con Zeus, sul quale non a caso non esistevano o quasi leggende. Certamente più ricca di risvolti la storia d’amore tra Selene e Pan, il dio-capro, anche se alla fine l’intero mito si riduceva all’inganno escogitato da quest’ultimo per sedurre la Luna. Consapevole di ripugnare alla dea, che trovava disgustoso il suo pelo nero e irsuto, Pan di avvolse infatti completamente in un candido manto di pecora, rendendosi irriconoscibile. In tal modo riuscì a possedere la Luna, anche se poi dovette farsi perdonare l’inganno regalandole una mandria di sua proprietà.
Tra gli amori vissuti da Selene, il più popolare era comunque certamente quello per Endimione, il re pastore, al quale la dea era legata da una passione irrefrenabile. Pur di incontrarlo nella sua grotta, Selene spariva ogni notte dietro la cresta del monte Latmio, in Asia Minore, lasciando il cielo nell’oscurità. E poiché temeva che un giorno quel giovane così affascinante potesse lasciarla, Selene finì per imprigionarlo in un sonno eterno, così da potersi recare indisturbata ogni notte nel suo antro ad ammirarlo.
Altre leggende sostenevano invece che il sonno da cui era stato sopraffatto Endimione fosse una punizione di Zeus, piccato perché aveva scoperto il giovane mentre corteggiava sua moglie Era. E altre ancora, al contrario, interpretavano il letargo di Endimione come un dono di Zeus, che in tal modo aveva soddisfatto la richiesta del giovane di sfuggire alla vecchiaia e alla morte. Qualunque versione scegliessero di abbracciare, su un punto la maggior parte dei poeti che aveva raccontato il mito sembrava concorde: quella tra Selene ed Endimione era stata un’unione feconda. Addirittura qualcuno, come lo scrittore greco Pausania, si spingeva a quantificare il numero delle figlie nati dagli amori tra il pastore e Selene, contandone almeno cinquanta.


UN CULTO MINORE

Nel pantheon greco, Selene era una divinità secondaria, quasi periferica. Non a caso, per quanto ne sappiamo, in tutto il mondo ellenico le era dedicato un unico tempio, in Laconia, dove peraltro le si attribuivano anche poteri oracolari.
Più sentita la venerazione per Selene a Roma, se non altro per la frequente identificazione con Diana, la dea della caccia. Anche nell’Urbe, peraltro, esisteva un solo tempio specificatamente dedicato alla Luna: si trovava sull’Aventino e si diceva l’avesse inaugurato Servio Tullio, il sesto re della città.

IL DIO DEL SOLE

Fratello di Selene, Elio, il dio del Sole, era descritto come un giovane bellissimo, prestante, con la testa circonfusa di raggi che davano ai suoi capelli affascinanti sfumature d’oro. Considerato “l’occhio del mondo”, che tutto vede e tutto sente, era spesso interpellato dalle altre divinità per sapere ciò che era sfuggito al loro sguardo: così Demetra si rivolse a lui per sapere chi le avesse rapito la figlia Persefone, mentre Efesto scoprì proprio dal dio del Sole i tradimenti di sua moglie Afrodite con Ares.
In genere, tuttavia, nei racconti e nelle raffigurazioni mitologiche, Elio era quasi sempre rappresentato al “lavoro”, mentre percorreva il cielo sul suo carro di fuoco trainato da cavalli velocissimi: Piroide, Eoo, Etone e Flegone, tutti nomi che richiamano l’idea del fuoco, della fiamma o della luce.
Secondo il mito, Elio partiva ogni mattina all’alba dal palazzo d’oro che aveva in Oriente; percorreva quindi l’intera volta celeste lungo lo stretto sentiero che taglia in due il cielo, e la sera si riposava nel suo palazzo d’Occidente, mentre i cavalli, stremati, pascolavano sull’isola dei Beati.
Sposato con Perseide, una ninfa figlia di Oceano e Teti, Elio aveva avuto da lei diversi figli, tra cui la maga Circe. Ma il figlio che più gli somigliava era Fetonte, nato dalla sua relazione con la bella Climene, un giovane ambizioso al quale, in un’occasione, Elio aveva addirittura concesso di guidare il carro solare. Un errore fatale, perché Fetonte, incapace di tenere a bada i focosi destrieri, aveva perso totalmente il controllo del carro, giungendo a un passo dall’incenerire la Terra. Fu così costretto ad intervenire Zeus che, per evitare una conflagrazione universale, dovette fulminare con una folgore Fetonte, di cui poi fece precipitare il corpo esanime nel fiume Eridano.



UNA PASSIONE IMMORTALE

Nel mondo postclassico, l’unico mito su Selene che sopravvisse alla dimenticanza fu quello relativo alla passione della dea per Endimione. Così John Lyly, autore elisabettiano, dedicò a quell’amore impossibile un dramma mitologico (Endymion, the Man in the Moon), seguito poi da Pietro Metastasio che nel 1721, a ventun anni, costruì sulla vicenda la sua prima serenata musicale. Anche Oscar Wilde si interessò al mito, sul quale scrisse una poesia in cui il sonno di Endimione è interpretato come l’estremo custode di una bellezza senza macchia. In campo figurativo, la passione tra Selene e il re pastore è stata tra l’altro immortalata da Antoon Van Dick, Nicolas Poussin e Anton Raphael Mengs, mentre la musica ha utilizzato il mito come soggetto idillico in numerose opere del XVII-XVIII secolo, tra cui una cantata di Johann Sebastian Bach (1713).