domenica 18 novembre 2012

URANIA



Il suo nome significava “cielo”, e degli spazi celesti Urania conosceva anche i minimi dettagli. Affascinante Musa dell’astronomia, era spesso raffigurata come una giovane maga, con una veste di seta azzurra, la testa coronata di stelle e, al fianco, un grande globo raffigurante la volta celeste. Ma tra le mani Urania teneva quasi sempre un compasso, a riprova degli stretti legami che, per i Greci, intercorrevano tra l’astronomia, la geometria e la matematica.
Divinità priva di un ciclo mitologico proprio, Urania era una delle nove Muse, le dee ispiratrici del canto e di tutte le attività intellettuali. Dette anche Eliconie perché avevano sede sul monte Elicona, in Beozia, le Muse in origine erano appena tre. Solo in età classica si cominciò a considerarle nove, anche se alcuni autori ne ridimensionavano il numero a quattro, sette oppure otto.

GENEALOGIA DI URANIA

Al pari delle altre Muse, Urania era figlia della dea della Memoria Mnemosine e del signore dell’Olimpo Zeus, che avevano generato le nove sorelle nel corso di altrettante notti d’amore.
La patrona dell’astronomia aveva dunque origini assai nobili, poiché tra i suoi antenati poteva vantare i tre sovrani che si erano succeduti sul trono del cosmo dall’inizio dei tempi: il primordiale Urano, che della giovane musa era nonno materno; il terribile Crono, a cui Urania era legata tramite il padre Zeus; e, appunto, Zeus, grazie al quale Urania e le sue sorelle – caso quasi unico al di fuori della cerchia degli dèi più potenti – avevano il privilegio di poter risiedere sull’Olimpo. Altre tradizioni mitologiche attribuivano invece a Urania – e alle Muse in genere – un’origine differente, facendole discendere da Urano e Gaia oppure da Armonia, la bellissima dea della concordia, e da un padre di identità misteriosa.

LE DEE DEL CANTO

Le Muse, in epoca arcaica, erano considerate semplicemente le dee ispiratrici della musica, la più nobile fra tutte le arti. In seguito, tuttavia, le loro funzioni si ampliarono, e nel mondo ellenico si cominciò a pensare alle nove figlie di Zeus e Mnemosine come alle divinità che presiedevano al pensiero nelle sue varie manifestazioni: dall’eloquenza alla storia, dalla poesia all’astronomia fino al teatro.
Spesso raffigurate nell’atto di rallegrare Zeus con i loro canti e le loro danze, le Muse, secondo il poeta greco Esiodo (VII-VI secolo a.C.), avevano un’influenza benefica anche sulle vite umane: esse, infatti, non solo instillavano nei sovrani l’eloquenza necessaria per placare le dispute e salvaguardare la pace, ma, quando ispiravano i poeti, regalavano loro parole così dolci da placare all’istante le preoccupazioni e le ansie di chi li ascoltava.
Secondo i mitografi greci, le Muse, in quanto dee del canto, avevano un rapporto strettissimo con Apollo, il dio della musica, che era al tempo stesso il loro protettore e il loro signore. Detto non a caso Musagete, cioè “guida delle Muse”, Apollo trascorreva con le sue protette gran parte del proprio tempo, dirigendo i loro cori sul monte Parnaso, presso la città di Delfi, o assistendo alle loro danze attorno alla fonte di Ippocrene, alle pendici del monte Elicona.
L’identità delle singole Muse è stata a lungo oggetto di discussione da parte degli antichi. Tuttavia, man mano che si affermava l’idea che esse fossero nove, anche la loro personalità individuale cominciò a prendere forma. Così, accanto a Urania, la musa dell’astronomia, vi erano Clio, quella della storia, e Polimnia, dea degli inni sublimi. La danza era sotto la protezione di Tersicore, spesso considerata la madre delle Sirene, mentre alla commedia e alla tragedia presiedevano rispettivamente Talia, la “festiva”, e Melpomene.
Infine Calliope, “dalla bella voce”, era considerata la musa della poesia epica, da non confondere con quella lirica, affidata a Euterpe, e con la poesia erotica, a cui presiedeva la fascinosa Erato.

IL CANTORE ARROGANTE

Alla divina Urania molti mitografi greci attribuivano un figlio, Lino, che la musa avrebbe generato con il dio Apollo oppure con il tebano Anfimaro.
Cantore di considerevole talento, Lino aveva perfezionato il suono della lira sostituendone le corde in budello con quelle in fibra vegetale. Tra i suoi meriti, inoltre, si annoverava l’invenzione del ritmo e, forse della melodia, nonché la diffusione in Grecia dell’alfabeto fenicio, che secondo alcuni gli era stato insegnato dall’eroe tebano Cadmo.
Fin troppo consapevole delle sue qualità, Lino finì tuttavia per montarsi la testa, commettendo un errore fatale: sfidò nell’arte del canto Apollo, il quale, indispettito da tanta arroganza, lo uccise.
Un’altra versione del mito sosteneva invece che a uccidere Lino fosse stato Eracle, esasperato dalle continue punizioni di quel maestro troppo severo nei confronti della sua scarsa attitudine musicale.

DUELLI CANORI

La presenza delle Muse nella mitologia greca è al tempo stesso capillare e periferica. Da un lato non si contano i racconti in cui le nove figlie di Mnemosine compaiono nelle vesti di cantatrici e danzatrici divine, con il compito di allietare matrimoni leggendari come quello di Cadmo e Armonia o di celebrare trionfi epocali come la vittoria di Zeus e degli Olimpi sui Titani.
D’altro canto sono rarissimi i miti in cui le Muse assumono il ruolo di protagoniste. Tra questi, uno dei più famosi è quello che celebra il loro duello con le Pieridi, figlie del re di Emazia Pierio, nove sorelle che si ritenevano migliori delle Muse nell’arte del canto: così si recarono sul monte Elicona e le sfidarono, ma furono battute e, per vendetta, le Muse le trasformarono in gazze.
Peggio di loro andò alle Sirene che, avendo anch’esse dubitato della supremazia musicale delle Muse, scoprirono troppo tardi che la magia delle loro voci nulla valeva al confronto di quella delle figlie di Mnemosine, e finirono spiumate – nella mitologia greca, infatti, le Sirene erano donne con corpo da uccello – e private della loro bellezza.
Chi però subì la sorte peggiore fu Tamiri, un cantore tracio che riteneva ineguagliabile la combinazione di note generata dalla sua voce e dalla sua lira. Avendo osato sfidare le Muse in un duello musicale dalla posta altissima – se avesse vinto, infatti Tamiri avrebbe potuto giacere con tutte e nove le Muse – fu, com’era inevitabile, sconfitto. Dovette perciò patire l’immancabile ritorsione da parte delle figlie di Mnemosine che, ancora una volta, si dimostrarono tanto divine nel canto quanto terribili nella vendetta, accecando Tamiri e privandolo proprio di quell’arte canora di cui andava tanto orgoglioso.

LA DECIMA MUSA

Nella letteratura medievale, le Muse sono spesso evocate come rappresentanti delle arti, ma di rado con specifici caratteri individuali. Così Dante, nella Divina Commedia, le invoca genericamente come ispiratrici di poesia, e Shakespeare dedica uno dei suoi sonetti alla decima musa, “dieci volte più degna di quelle antiche”. Anche il poeta romantico Friedrich Schiller celebra indirettamente le figlie di Mnemosine, attraverso la sua rivista Almanacco delle Muse, mentre nella letteratura contemporanea vaghi riferimenti alle nove sorelle si trovano in Baudelaire, Pavese e Sylvia Plath. L’arte figurativa rappresenta più volte le muse, sia attraverso dipinti di Poussin, Goya e De Chirico sia tramite le statue di Canova e Brancusi. Celebri, infine, in campo musicale, le opere-balletto composte sul tema delle muse da Jean-Baptiste Lully e Jean-Jacques Rousseau.