domenica 30 ottobre 2011

EROS


L’amore ai tempi dei Greci aveva due volti: quello lontano e indecifrabile di Afrodite e quello, beffardo, del figlio Eros, un fanciullo alato che, con le sue frecce, scatenava passioni irrefrenabili nel cuore degli uomini. Una divinità, Eros, in cui si incarnava il volto più primordiale del desiderio, tanto sfrenato e irrazionale da soggiogare al suo potere persino degli dèi.
Dispettoso, irrequieto, crudele: così i poeti greci descrivevano Eros, un fanciullo alato che svolazzava qua e là per il mondo, infiammando i cuori con le sue frecce scoccate a caso. Nessuno, per quanto anziano o potente, poteva sottrarsi alle sue saette. Gli stessi dèi non erano immuni alle ferite di Eros che, scatenando i sensi, mettevano in pericolo la pace dell’Olimpo.

GENEALOGIA DI EROS

Vi sono differenti versioni sulle origini di Eros, identificato spesso nel mondo romano con Cupido. Nelle più antiche genealogie era considerato un dio primordiale, scaturito dal Caos insieme alla Terra. Tradizioni più recenti lo ritenevano invece figlio di Afrodite, che lo avrebbe generato con Ermes oppure con il padre Zeus, che quindi era contemporaneamente genitore e nonno del neonato. Una leggenda tarda attribuiva la maternità di Eros a Iris, l’Arcobaleno, che sarebbe stata fecondata da Zefiro, il vento dell’Ovest. Di tutte le possibile genealogie di Eros, la più consolidata tra gli antichi era però quella che lo riteneva frutto dell’ardente passione tra la dea dell’amore Afrodite e il dio della guerra Ares. Dall’unione tra i due dèi, allietata dalla nascita di numerosi figli, sarebbero stati generati anche Antero, dio dell’amore corrisposto, e Armonia, l’unificatrice, colei che appiana dissidi e favorisce la concordia tra i coniugi. A sua volta Eros, sposando Psiche, avrebbe generato Piacere, dalla cui soddisfazione dipende la sopravvivenza del genere umano.

ADORATO E TEMUTO

I testi mitologici più antichi descrivono Eros come una divinità primordiale, antica come Gaia (la Madre Terra), potente come nessun’altra, adorata dagli adepti sotto forma di pietra grezza.
Sulle sue origini i pareri erano discordi: alcuni mitologi lo facevano discendere dal Caos, il vuoto abisso da cui si era generata ogni cosa, mentre altri ritenevano che fosse nato dall’Uovo Primordiale, le cui due metà costituivano l’una la Terra e l’altra il Cielo. A prescindere dalle divergenze sulla sua origine, Eros era comunque ritenuto da tutti una forza travolgente, creativa e distruttiva insieme, fondamentale nell’assicurare la continuità della specie e la stessa coesione interna del Cosmo. Solo il filosofo Platone, nel Convivio, si dissociò da questa visione divinizzata del desiderio sessuale: a suo dire, infatti, Eros altri non era che un demone, un intermediario tra gli uomini e gli dèi, sempre alla ricerca del suo oggetto del piacere e quindi perennemente inquieto e insoddisfatto.
Finita l’epoca delle grandi riflessioni filosofiche, con la civiltà classica la figura di Eros si fissò in quella che sarebbe diventata la sua iconografia tradizionale: un bambino alato che si compiace di scatenare la passione nei cuori umani, ferendoli con le sue frecce d’oro (ma Eros dispone anche di frecce di piombo per cancellare il desiderio) o incendiandoli con le sue torce. Si moltiplicarono anche le leggende sul dio, spesso rappresentano nei panni di deus ex machina. È il caso per esempio del mito di Dafne e Apollo. Qui Eros fa innamorare il dio della ninfa recalcitrante, per vendicarsi delle sue continue canzonature. Al di là di questi racconti, dai contenuti lievi e spesso licenziosi, resta comunque costante, anche in epoca classica e poi alessandrina, la percezione di Eros come un dio pericoloso e inaffidabile: un fanciullo che la stessa madre Afrodite mostrava di temere, e del quale i poeti greci non mancavano mai di evidenziare la potenza accecante, capace di sconvolgere la mente umana e, quindi, di sovvertire ogni ordine familiare o sociale.


AMORE E PSICHE

Il più celebre mito dedicato a Eros compare nell’unico romanzo in latino giunto fino a noi, le Metamorfosi di Lucio Apuleio (II sec.d.C). Racconta la storia d’amore tra Eros (o Amore) e Psiche, una giovanissima principessa il cui nome, in greco, significa “anima”. Dotata di una bellezza sovrumana, Psiche si attirò la gelosia di Afrodite, che chiese al figlio Eros di farla innamorare del più abietto tra gli uomini. Eros però le disobbedì, stregato a sua volta dalla fanciulla, e fece in modo che Psiche fosse trasportata dal vento in un palazzo incantato, dove si univa a lei ogni notte senza svelarle il suo volto. Dopo qualche tempo, tuttavia, Psiche cominciò a soffrire di malinconia, poiché di giorno era sempre sola: ottenne così da Eros il permesso di rivedere le sue sorelle. Queste però, vedendo i regali che Psiche aveva donato loro, e sentendo la sua gioia per l’amante, furono vinte dalla gelosia, e la convinsero che il misterioso visitatore notturno fosse in realtà un pericoloso mostro. Al suo rientro a palazzo, Psiche nascose perciò una lampada a olio sotto il letto e attese che Eros si addormentasse per vederne il volto: scoprì così di essere amata da un bellissimo dio alato. Accadde però che una goccia di olio bollente cadesse dalla lampada sulla spalla di Eros, che si risvegliò e, offeso dall’inganno di Psiche, la abbandonò. Folle di dolore, la ragazza vagò di città in città alla ricerca dell’amato. Giunse infine nel palazzo di Afrodite che, memore dell’antica rivalità, la imprigionò e la costrinse a fatiche improbe. L’ultima di questa consisteva nel recuperare l’acqua della giovinezza da Persefone, regina dell’Aldilà. Psiche scese agli Inferi ma, sulla via del ritorno, cedette alla tentazione e aprì la boccetta, cadendo in un sonno mortale. Allora Eros, che dall’Olimpo aveva seguito tutte le peripezie dell’amata, la raggiunse e la risvegliò con una freccia. Quindi la portò sull’Olimpo, dove ottenne da Zeus il permesso di sposarla. I due amanti poterono così coronare il loro sogno d’amore, allietato dalla riconciliazione tra Psiche e Afrodite.


L’AMORE CARNALE

Nella letteratura postclassica Eros perde i suoi connotati di divinità per trasformarsi in un archetipo dell’amore terreno. In tale veste lo si ritrova in opere medievali – per esempio il poema cortese Roman de la Rose di Guillame de Lorris – o seicentesche (come le commedie Cynthia’s Revels, di Ben Jonson e El amor enamorado, di Lope de Vega). Anche la poesia non disdegna il mito di Eros, che ha ispirato versi di J.W. Goethe, A.C. Swinburne e R.M. Rilke. Nell’arte figurativa, a partire dal periodo gotico, Eros è stato spesso interpretato come personificazione dell’amore carnale contrapposto a quello divino. Ma altrettanto frequenti sono letture allegoriche diverse: Eros dormiente, per esempio, è il simbolo del sonno del desiderio; Eros in lacrime l’immagine della castità forzata (come nella Danae di Rembrandt); Eros bendato l’emblema dell’accecamento amoroso; Eros che lotta con il fratello Antero la raffigurazione dello scontro tra amore fisico e spirituale.