Era ritenuto dai Greci il più intelligente e saggio dei Titani. Alleato di Zeus nella guerra contro Crono, Prometeo non esitò a rinnegare la sua amicizia con il re dell’Olimpo per donare il fuoco agli uomini, affrancandoli da una condizione di umiliante servitù. Un tradimento che Zeus non gli perdonò mai, condannandolo a un supplizio che sarebbe dovuto essere eterno.
Nel mito antico la figura di Prometeo è descritta in modo ambivalente: da un lato è il trasgressore, il ribelle, colui che si oppone a Zeus sfidando l’ordine divino; dall’altro è l’amico dell’uomo, il benefattore, pronto a spogliarsi della propria divinità pur di aiutare i mortali. Una duplicità in qualche modo già moderna, connaturata a un personaggio sempre in bilico tra generosità e scaltrezza.
GENEALOGIA DI PROMETEO
Cugino di ZEUS e di gran parte degli dèi dell’Olimpo, PROMETEO discendeva come loro da un Titano: suo padre, infatti, era GIAPETO, nato dalla relazione di URANO e GAIA e fratello di CRONO, il padre di Zeus. Sulla madre di Prometeo, invece, gli antichi avevano le idee confuse: la maggior parte riteneva che fosse CLIMENE, una ninfa nata dagli amori marini tra OCEANO e TETI; ma c’era anche chi faceva il nome di ASIA, un’altra Oceanina, e addirittura chi riteneva che a generare Prometeo fosse stata ERA, ingravidata con la violenza da un giovane di nome EURIMEDONTE. Pochi dubbi invece sui fratelli di Prometeo; erano tre, tutti più rozzi di lui: il violento ATLANTE, il brutale MENEZIO, e il maldestro EPIMETEO, che di Prometeo è un vero e proprio alter ego in negativo. Abbastanza lineare anche la vita familiare di Prometeo. Il Titano ebbe un’unica moglie, CELENO, e con essa generò tre figli, DEUCALIONE, LICO e CHIMEREO. Secondo il drammaturgo Euripide, tuttavia, Prometeo tentò senza successo di sedurre ATENA, la casta dea della guerra, che si era mostrata assai benevola nei suoi confronti insegnandogli l’architettura, l’astronomia, la matematica, la medicina e molte altre scienze.
IL FUOCO RUBATO
IL FUOCO RUBATO
Nella letteratura classica, Prometeo è sempre descritto come il benefattore del genere umano, colui che diede dignità e coscienza di sé a una stirpe poco amata da Zeus e condanata a vivere nel sottosuolo. La sua opera di emancipazione cominciò nel momento stesso della creazione, quando gli dèi affidarono a lui e al fratello Epimeteo, che però sbagliò nella distribuzione delle risorse e, quando giunse all’uomo, si accorse di non avere più nulla da donargli. Dovette così intervenire Prometeo che, per porre rimedio all’errore, rubò il fuoco agli dèi e lo diede agli uomini. Il suo furto però mandò su tutte le furie Zeus, che fece incatenare il Titano a una roccia e lo punì con uno spaventoso supplizio: ogni giorno un’aquila si avventava su di lui e gli divorava il fegato, che ricresceva durante la notte rendendo eterna la tortura.
A questa versione del mito se ne affianca poi un’altra, secondo la quale l’ostilità tra Zeus e Prometeo ebbe origine in occasione di un solenne sacrificio a Mecone: la vittima sacrificale era un toro e bisognava decidere quale parte delle sue carni destinare a Zeus e quale agli uomini. Prometeo, volendo favorire i mortali, preparò due sacche apparentemente uguali, ma ne riempì una con le sole ossa del toro, rivestite da un appetitoso strato di grasso, l’altra con le parti migliori dell’animale, nascoste sotto un pezzo di scarto. Zeus, ovviamente, scelse la prima sacca e, quando si accorse del raggiro, si vendicò togliendo agli uomini il fuoco. Prometeo, con l’aiuto di Atena, scalò allora il monte Olimpo, rubò dal carro del Sole una scintilla e, nascostala in un tronco cavo, la porto sulla Terra. Gli uomini riebbero così il fuoco, ma Zeus, vedendo dall’alto dell’Olimpo brillare sulla Terra migliaia di falò, si avvide del furto e punì i mortali inviando loro Pandora, l’origine di tutti i guai umani. Quanto a Prometeo, anche in questa seconda versione finisce incatenato a una roccia, vittima di un supplizio da cui solo molto tempo dopo sarebbe stato liberato.
LA CREAZIONE DELL'UOMO
Secondo l’erudito greco Apollodoro, Prometeo non si limitò ad aiutare gli uomini, ma fu lui stesso a crearli, modellandoli con l’acqua e la creta a immagine e somiglianza degli dèi. Poi convocò Atena e la convinse a insufflare il suo soffio vitale nelle creature di fango che aveva plasmato.
LA LIBERAZIONE
Per liberarsi dal suo orrendo supplizio, Prometeo ricorse alle proprie doti profetiche. Egli sapeva infatti da quale donna sarebbe nato il figlio di Zeus che, secondo l’oracolo, un giorno lo avrebbe deposto. Convinse allora il re dell’Olimpo a barattare la preziosa informazione con la fine della sua pena: Zeus consentì a Eracle di liberare Prometeo e apprese così che la donna in questione era la nereide Teti, subito allontanata dall’Olimpo.
IL DONO DELLA PROFEZIA
Le doti di preveggenza non servirono a Prometeo solo per convincere Zeus a porre termine alla sua prigionia. Già in precedenza, ai tempi della Titanomachia, lo avevano salvato dalla rovina spingendolo a schierarsi al fianco di Zeus nella guerra contro Crono, che era sostenuto da tutti gli altri Titani. In seguito il veggente Prometeo fece uso delle sue doti profetiche per indicare a Eracle (impegnato nell’undicesima fatica) come sottrarre i pomi d’oro dal giardino delle Esperidi e, più tardi, per salvare il figlio di Deucalione dal diluvio con cui Zeus intendeva annientare la mai troppo amata stirpe umana.
PANDORA E IL VASO
LA CREAZIONE DELL'UOMO
Secondo l’erudito greco Apollodoro, Prometeo non si limitò ad aiutare gli uomini, ma fu lui stesso a crearli, modellandoli con l’acqua e la creta a immagine e somiglianza degli dèi. Poi convocò Atena e la convinse a insufflare il suo soffio vitale nelle creature di fango che aveva plasmato.
LA LIBERAZIONE
Per liberarsi dal suo orrendo supplizio, Prometeo ricorse alle proprie doti profetiche. Egli sapeva infatti da quale donna sarebbe nato il figlio di Zeus che, secondo l’oracolo, un giorno lo avrebbe deposto. Convinse allora il re dell’Olimpo a barattare la preziosa informazione con la fine della sua pena: Zeus consentì a Eracle di liberare Prometeo e apprese così che la donna in questione era la nereide Teti, subito allontanata dall’Olimpo.
IL DONO DELLA PROFEZIA
Le doti di preveggenza non servirono a Prometeo solo per convincere Zeus a porre termine alla sua prigionia. Già in precedenza, ai tempi della Titanomachia, lo avevano salvato dalla rovina spingendolo a schierarsi al fianco di Zeus nella guerra contro Crono, che era sostenuto da tutti gli altri Titani. In seguito il veggente Prometeo fece uso delle sue doti profetiche per indicare a Eracle (impegnato nell’undicesima fatica) come sottrarre i pomi d’oro dal giardino delle Esperidi e, più tardi, per salvare il figlio di Deucalione dal diluvio con cui Zeus intendeva annientare la mai troppo amata stirpe umana.
PANDORA E IL VASO
L’ira di Zeus per il furto del fuoco si riversò, oltre che su Prometeo, anche sugli uomini, colpevoli a suo dire di aver assecondato il Titano. Per questo il signore dell’Olimpo li punì inviando loro Pandora, una bellissima fanciulla forgiata da Efesto con l’aiuto di Atena. A Pandora gli dèi avevano donato ogni sorta di qualità: il fascino, l’abilità manuale, la grazia, la persuasione. Ma Ermes instillò nel suo cuore la menzogna e la furbizia, rendendola così inaffidabile. Quando la creazione di Pandora fu completata, Zeus mandò la ragazza da Epimeteo, il quale restò incantato dalla sua bellezza e, trascurando i saggi consigli del fratello Prometeo (che lo aveva esortato a non accettare doni da Zeus, perché potevano nascondere un inganno), decise di sposarla. Mai errore si rivelò più fatale. Pandora, infatti, aveva portato con sé dall’Olimpo un vaso nel quale erano racchiuse tutte le possibili sciagure destinate agli uomini. Spinta dalla curiosità, la giovane scoperchiò il vaso, e tutte le disgrazie schizzarono fuori, diffondendosi per il mondo. Solo la speranza, che era in fondo al contenitore, rimase nel vaso, perché la fanciulla rimise il coperchio prima che fosse uscita. Grazie a Pandora, Zeus si vendicò così del genere umano, che pagò la sua amicizia con Prometeo ottenendo in sorte una vita piena di guai e tribolazioni.
SFIDA AGLI DEI
Simbolo della tendenza umana a ribellarsi agli dèi, Prometeo ha affascinato sia gli antichi che i moderni. Tra i primi si sono occupati di lui Esiodo, Platone, Eschilo e, in epoca postclassica, Boccaccio e il filosofo Francis Bacon. Molto ricca la produzione letteraria su Prometeo tra XVIII e XIX secolo: se Voltaire vede nel Titano un rivoluzionario che si batte per la libertà, Rousseau lo identifica invece con il corruttore del felice stato di natura, e George Byron con un ribelle in lotta col destino. Nel Novecento il mito di Prometeo – che nei secoli ha ispirato dipinti di El Greco e Rubens, opere musicali di Beethoven e Franz Liszt, drammi teatrali di Calderòn dela Barca e P. Bysshe Shelley – ha avuto interpreti d’eccezione nel filosofo Albert Camus e nello scrittore Andrè Gide, autore di una spiazzante rivisitazione del mito intitolata Prometeo male incatenato.
SFIDA AGLI DEI
Simbolo della tendenza umana a ribellarsi agli dèi, Prometeo ha affascinato sia gli antichi che i moderni. Tra i primi si sono occupati di lui Esiodo, Platone, Eschilo e, in epoca postclassica, Boccaccio e il filosofo Francis Bacon. Molto ricca la produzione letteraria su Prometeo tra XVIII e XIX secolo: se Voltaire vede nel Titano un rivoluzionario che si batte per la libertà, Rousseau lo identifica invece con il corruttore del felice stato di natura, e George Byron con un ribelle in lotta col destino. Nel Novecento il mito di Prometeo – che nei secoli ha ispirato dipinti di El Greco e Rubens, opere musicali di Beethoven e Franz Liszt, drammi teatrali di Calderòn de