Valoroso e opportunista, insensibile e temerario, Giasone è
l’eroe più controverso del mondo greco. In lui l’audacia si mescola spesso
all’irresolutezza, e il senso dell’onore lascia il posto al calcolato cinismo
con cui sfrutta i sentimenti dell’amante Medea per conquistare il Vello d’oro.
Un personaggio ambiguo e sottilmente “odioso”, un “antieroe” radicalmente
diverso dagli epici guerrieri dei poemi omerici.
Nelle Argonautiche
di Apollonio Rodio, il suo principale cantore, Giasone è descritto come inadeguato,
fragile, indeciso, scialbo, un semplice ingrediente di un poema epico
incentrato sulla figura di Medea, ben più forte e risoluta di lui. Eppure
Giasone è uno dei più antichi eroi classici, preesistente persino ai personaggi
di Omero. Una figura venerata in molte città greche, che in lui riconoscevano
il simbolo dell’espansione ellenica in Asia Minore.
GENEALOGIA DI GIASONE
A differenza di molti altri eroi greci, Giasone non ha, tra
i suoi parenti più immediati, eroi o divinità. Suo padre, infatti, è Esone,
figlio del re di Tessaglia Creteo, defraudato del trono dal fratellastro Pelia,
che prima lo imprigionò e poi lo uccise. Quanto alla madre, in genere veniva
identificata con Polimede, figlia dell’astuto Autolico, noto per le sue ruberie
e per il fatto di essere il nonno di Ulisse. Altre fonti sostengono invece che
a generare Giasone fosse stata Alcimede, figlia di Filaco e Climene, che restò
al fianco di Esone anche durante i duri anni della prigionia, e si suicidò
quando questi venne messo a morte da Pilia. Privo di legami diretti con gli
Olimpi (ma tra i suoi antenati più lontani figuravano Ermes, padre di Autolico,
e Zeus, bisnonno di Creteo), Giasone si ricollegava al mondo delle divinità
attraverso la moglie Medea, il cui padre, Eete, era figlio del dio del Sole
Elio, mentre la madre Idia era il frutto dell’unione tra Oceano, dio delle
acque, e Teti. Inoltre, in quanto discendente di Eolo, padre di Creteo, Giasone
apparteneva alla stirpe di Deucalione, rifondatore del genere umano dopo il
diluvio voluto da Zeus.
UNA VITA IN FUGA
Sopravvissuto per miracolo al colpo di stato di Pelia, che
aveva ucciso tutti gli altri figli di Esone, il piccolo Giasone fu cresciuto in
una grotta dal centauro Chirone, che lo educò all’arte della guerra e della
medicina. Poi, una volta adulto, tornò a Iolco, in Tessaglia, con l’intenzione
di rivendicare il trono che gli era stato sottratto. Vestito con una pelle di
pantera, si presentò a Pelia, che al solo vederlo ne ebbe timore: un oracolo,
infatti, gli aveva predetto che sarebbe morto per mano di un uomo con un solo
piede calzato. E Giasone, per scelta o per caso, quel giorno indossava un unico
sandalo. Deciso a togliere di mezzo il rivale, Pelia finse dunque di
assecondarlo, dicendosi disposto a cedergli il trono a condizione che egli
portasse a Iolco il Vello d’oro, prezioso manto d’ariete in possesso del re
della Colchide Eete. Era certo, Pelia, che il nipote sarebbe morto
nell’impresa. Ma Giasone, con il sostegno di Atena, allestì una spedizione a
cui parteciparono tutti i più grandi eroi greci, ribattezzati Argonauti dal
nome della nave su cui viaggiavano. E insieme a loro – e con l’aiuto di Medea,
figlia adolescente di Eete che si era innamorata di lui – si impradonì del
Vello. Tornato a Iolco, Giasone ricorse alle arti magiche di Medea per
eliminare Pelia, che aveva ucciso suo padre Esone. Poi cercò di sostituirlo sul
trono, ma Acasto, figlio di Pelia, riuscì a cacciarlo dalla città. Per Giasone
e la moglie Medea iniziò così una lunga serie di peregrinazioni che li
condussero infine a Corinto. Qui l’eroe conobbe Glauce, bella figlia del re
Creonte, e se ne innamorò. Ripudiata la moglie per la nuova amante, Giasone fu
vittima della vendetta di Medea, che prima uccise Glauce con una veste stregata
e poi massacrò i due figli nati dal suo matrimonio con l’eroe. Fuggì quindi in
cielo su un carro alato, mentre Giasone, in disgrazia presso gli dèi, lasciava
Corinto per un esilio conclusosi con la morte.
IL VELLO D’ORO
Nel suo nucleo originario, il mito della spedizione degli
Argonauti alla ricerca del Vello d’oro è antichissimo: già Omero, nell’Odissea, mostra infatti di conoscere le
imprese di Giasone e dei suoi compagni. A dare dignità letteraria al racconto
fu però Apollonio Rodio, erudito di epoca alessandrina che, nel poema Le Argonautiche, narrò la spedizione nei
minimi particolari. Il racconto di Apollonio inizia quando Giasone, invitato da
Pelia a recuperare il prezioso manto, incarica Argo, figlio di quel Frisso che,
anni prima, lo aveva donato al re della Colchide Eete, di costruire una nave da
cinquanta posti. La nave (ribattezzata Argo come il suo costruttore) è presto
pronta, e vi si imbarcano, oltre allo stesso Giasone, tutti i principali eroi
dell’epoca: da Eracle a Teseo, dai gemelli Castore e Polluce a Laoconte. Inizia
così un’avventura che, attraverso un numero infinito di pericoli, deviazioni,
imprese, porterà gli Argonauti a raggiungere la Colchide, sulle coste del Mar
Nero. Qui Giasone ottiene da re Eete la promessa di riavere il Vello d’oro, ma
a patto che aggioghi all’aratro una coppia di buoi dalle narici fiammeggianti,
e che con essi semini i denti del drago ucciso anni prima dall’eroe tebano
Cadmo. Nell’impresa, Giasone viene aiutato da Medea, figlia di Eete, che con i
suoi poteri magici lo rende immune dai colpi dei tori e poi addormenta il drago
che vigila sul Vello d’oro, consentendogli di recuperare il mitico manto senza
pericolo. I due, insieme agli altri Argonauti, fuggono quindi dalla Colchide,
dirigendosi con il Vello verso Iolco. Ma nel viaggio di ritorno sono colti da
una violenta tempesta, che porta la loro nave fuori rotta e li costringe a
vagare a lungo nel Mediterraneo prima di ritrovare la via di casa.
UN TRAGICO EQUIVOCO
Un celebre episodio delle Argonautiche ha per protagonista
Cizico, nobile re dei Dolioni. Egli dapprima accoglie con tutti gli onori gli
Argonauti, ma poi, quando questi, sospinti dai venti, approdano per la seconda
volta sull’isola, a causa dell’oscurità li scambia per pirati, costringendoli a
ucciderlo in battaglia.
IL LUTTO DI ERACLE
Tra gli eroi che si imbarcano sulla nave Argo vi è anche
Eracle, il figlio di Zeus, che però lascia la spedizione quasi subito,
distrutto dalla morte del suo amante Ila che le ninfe, durante uno scalo, hanno
annegato in una sorgente.
L’INCONTRO CON CIRCE
Di ritorno dalla Colchide, gli Argonauti approdano
sull’isola di Ea, regno della maga Circe, zia di Medea. Questa purifica Giasone
e ha una lunga conversazione con la nipote, ma si rifiuta di ospitare l’eroe
nel proprio palazzo, forse presagendo il suo tradimento ai danni della moglie.
UN LAMPO NEL BUIO
Nel mare di Creta, gli Argonauti sono sorpresi da una notte
opaca e tenebrosa, che li mette in pericolo. Giasone implora allora Febo Apollo
di mostrargli la rotta, e questi, impietosito, lancia in cielo un dardo
infuocato che, squarciando l’oscurità, permette agli Argonauti di individuare
un approdo sicuro.
UN PERSONAGGIO DA
TRAGEDIA
Primo antieroe della cultura occidentale, Giasone ha
riscosso attenzione soprattutto nel XX secolo, quando di lui si sono
interessati la letteratura (con i romanzi Il
Vello d’oro, di Robert Graves, e Il
racconto di Giasone, di Vassilis Vassilikos), la pittura (celebre il
dipinto di Giorgio de Chirico intitolato La
partenza di Giasone) e il cinema (con due film dedicati alla spedizione
degli Argonauti). Più marginale la presenza di Giasone nell’arte antica, anche
se Dante non manca di inserirlo tra i fraudolenti dell’ottavo cerchio
dell’Inferno e Francesco Petrarca gli dedica una biografia nel De Viris Illustribus. Nel teatro
seicentesco, Giasone ha un ruolo da protagonista in tragedie di Calderòn de la
Barca (Divino Giasone), Lope de la
Vega (Il Vello d’oro) e Pierre
Corneille (Medea), mentre l’arte
ottocentesca si è riappropriata del suo mito rendendogli omaggio attraverso la
trilogia di Franz Grillparzer Il Vello
d’oro e le complesse allegorie dei pittori preraffaelliti e simbolisti.