sabato 7 aprile 2012

GIASONE



Valoroso e opportunista, insensibile e temerario, Giasone è l’eroe più controverso del mondo greco. In lui l’audacia si mescola spesso all’irresolutezza, e il senso dell’onore lascia il posto al calcolato cinismo con cui sfrutta i sentimenti dell’amante Medea per conquistare il Vello d’oro. Un personaggio ambiguo e sottilmente “odioso”, un “antieroe” radicalmente diverso dagli epici guerrieri dei poemi omerici.
Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, il suo principale cantore, Giasone è descritto come inadeguato, fragile, indeciso, scialbo, un semplice ingrediente di un poema epico incentrato sulla figura di Medea, ben più forte e risoluta di lui. Eppure Giasone è uno dei più antichi eroi classici, preesistente persino ai personaggi di Omero. Una figura venerata in molte città greche, che in lui riconoscevano il simbolo dell’espansione ellenica in Asia Minore.

GENEALOGIA DI GIASONE

A differenza di molti altri eroi greci, Giasone non ha, tra i suoi parenti più immediati, eroi o divinità. Suo padre, infatti, è Esone, figlio del re di Tessaglia Creteo, defraudato del trono dal fratellastro Pelia, che prima lo imprigionò e poi lo uccise. Quanto alla madre, in genere veniva identificata con Polimede, figlia dell’astuto Autolico, noto per le sue ruberie e per il fatto di essere il nonno di Ulisse. Altre fonti sostengono invece che a generare Giasone fosse stata Alcimede, figlia di Filaco e Climene, che restò al fianco di Esone anche durante i duri anni della prigionia, e si suicidò quando questi venne messo a morte da Pilia. Privo di legami diretti con gli Olimpi (ma tra i suoi antenati più lontani figuravano Ermes, padre di Autolico, e Zeus, bisnonno di Creteo), Giasone si ricollegava al mondo delle divinità attraverso la moglie Medea, il cui padre, Eete, era figlio del dio del Sole Elio, mentre la madre Idia era il frutto dell’unione tra Oceano, dio delle acque, e Teti. Inoltre, in quanto discendente di Eolo, padre di Creteo, Giasone apparteneva alla stirpe di Deucalione, rifondatore del genere umano dopo il diluvio voluto da Zeus.

UNA VITA IN FUGA

Sopravvissuto per miracolo al colpo di stato di Pelia, che aveva ucciso tutti gli altri figli di Esone, il piccolo Giasone fu cresciuto in una grotta dal centauro Chirone, che lo educò all’arte della guerra e della medicina. Poi, una volta adulto, tornò a Iolco, in Tessaglia, con l’intenzione di rivendicare il trono che gli era stato sottratto. Vestito con una pelle di pantera, si presentò a Pelia, che al solo vederlo ne ebbe timore: un oracolo, infatti, gli aveva predetto che sarebbe morto per mano di un uomo con un solo piede calzato. E Giasone, per scelta o per caso, quel giorno indossava un unico sandalo. Deciso a togliere di mezzo il rivale, Pelia finse dunque di assecondarlo, dicendosi disposto a cedergli il trono a condizione che egli portasse a Iolco il Vello d’oro, prezioso manto d’ariete in possesso del re della Colchide Eete. Era certo, Pelia, che il nipote sarebbe morto nell’impresa. Ma Giasone, con il sostegno di Atena, allestì una spedizione a cui parteciparono tutti i più grandi eroi greci, ribattezzati Argonauti dal nome della nave su cui viaggiavano. E insieme a loro – e con l’aiuto di Medea, figlia adolescente di Eete che si era innamorata di lui – si impradonì del Vello. Tornato a Iolco, Giasone ricorse alle arti magiche di Medea per eliminare Pelia, che aveva ucciso suo padre Esone. Poi cercò di sostituirlo sul trono, ma Acasto, figlio di Pelia, riuscì a cacciarlo dalla città. Per Giasone e la moglie Medea iniziò così una lunga serie di peregrinazioni che li condussero infine a Corinto. Qui l’eroe conobbe Glauce, bella figlia del re Creonte, e se ne innamorò. Ripudiata la moglie per la nuova amante, Giasone fu vittima della vendetta di Medea, che prima uccise Glauce con una veste stregata e poi massacrò i due figli nati dal suo matrimonio con l’eroe. Fuggì quindi in cielo su un carro alato, mentre Giasone, in disgrazia presso gli dèi, lasciava Corinto per un esilio conclusosi con la morte.


IL VELLO D’ORO

Nel suo nucleo originario, il mito della spedizione degli Argonauti alla ricerca del Vello d’oro è antichissimo: già Omero, nell’Odissea, mostra infatti di conoscere le imprese di Giasone e dei suoi compagni. A dare dignità letteraria al racconto fu però Apollonio Rodio, erudito di epoca alessandrina che, nel poema Le Argonautiche, narrò la spedizione nei minimi particolari. Il racconto di Apollonio inizia quando Giasone, invitato da Pelia a recuperare il prezioso manto, incarica Argo, figlio di quel Frisso che, anni prima, lo aveva donato al re della Colchide Eete, di costruire una nave da cinquanta posti. La nave (ribattezzata Argo come il suo costruttore) è presto pronta, e vi si imbarcano, oltre allo stesso Giasone, tutti i principali eroi dell’epoca: da Eracle a Teseo, dai gemelli Castore e Polluce a Laoconte. Inizia così un’avventura che, attraverso un numero infinito di pericoli, deviazioni, imprese, porterà gli Argonauti a raggiungere la Colchide, sulle coste del Mar Nero. Qui Giasone ottiene da re Eete la promessa di riavere il Vello d’oro, ma a patto che aggioghi all’aratro una coppia di buoi dalle narici fiammeggianti, e che con essi semini i denti del drago ucciso anni prima dall’eroe tebano Cadmo. Nell’impresa, Giasone viene aiutato da Medea, figlia di Eete, che con i suoi poteri magici lo rende immune dai colpi dei tori e poi addormenta il drago che vigila sul Vello d’oro, consentendogli di recuperare il mitico manto senza pericolo. I due, insieme agli altri Argonauti, fuggono quindi dalla Colchide, dirigendosi con il Vello verso Iolco. Ma nel viaggio di ritorno sono colti da una violenta tempesta, che porta la loro nave fuori rotta e li costringe a vagare a lungo nel Mediterraneo prima di ritrovare la via di casa.

UN TRAGICO EQUIVOCO

Un celebre episodio delle Argonautiche ha per protagonista Cizico, nobile re dei Dolioni. Egli dapprima accoglie con tutti gli onori gli Argonauti, ma poi, quando questi, sospinti dai venti, approdano per la seconda volta sull’isola, a causa dell’oscurità li scambia per pirati, costringendoli a ucciderlo in battaglia.

IL LUTTO DI ERACLE

Tra gli eroi che si imbarcano sulla nave Argo vi è anche Eracle, il figlio di Zeus, che però lascia la spedizione quasi subito, distrutto dalla morte del suo amante Ila che le ninfe, durante uno scalo, hanno annegato in una sorgente.

L’INCONTRO CON CIRCE

Di ritorno dalla Colchide, gli Argonauti approdano sull’isola di Ea, regno della maga Circe, zia di Medea. Questa purifica Giasone e ha una lunga conversazione con la nipote, ma si rifiuta di ospitare l’eroe nel proprio palazzo, forse presagendo il suo tradimento ai danni della moglie.


UN LAMPO NEL BUIO

Nel mare di Creta, gli Argonauti sono sorpresi da una notte opaca e tenebrosa, che li mette in pericolo. Giasone implora allora Febo Apollo di mostrargli la rotta, e questi, impietosito, lancia in cielo un dardo infuocato che, squarciando l’oscurità, permette agli Argonauti di individuare un approdo sicuro.

UN PERSONAGGIO DA TRAGEDIA

Primo antieroe della cultura occidentale, Giasone ha riscosso attenzione soprattutto nel XX secolo, quando di lui si sono interessati la letteratura (con i romanzi Il Vello d’oro, di Robert Graves, e Il racconto di Giasone, di Vassilis Vassilikos), la pittura (celebre il dipinto di Giorgio de Chirico intitolato La partenza di Giasone) e il cinema (con due film dedicati alla spedizione degli Argonauti). Più marginale la presenza di Giasone nell’arte antica, anche se Dante non manca di inserirlo tra i fraudolenti dell’ottavo cerchio dell’Inferno e Francesco Petrarca gli dedica una biografia nel De Viris Illustribus. Nel teatro seicentesco, Giasone ha un ruolo da protagonista in tragedie di Calderòn de la Barca (Divino Giasone), Lope de la Vega (Il Vello d’oro) e Pierre Corneille (Medea), mentre l’arte ottocentesca si è riappropriata del suo mito rendendogli omaggio attraverso la trilogia di Franz Grillparzer Il Vello d’oro e le complesse allegorie dei pittori preraffaelliti  e simbolisti.