La parola, il canto, la musica: queste le armi con cui il
poeta tracio Orfeo, il meno muscolare tra gli eroi greci, incantava e
soggiogava i suoi nemici e la stessa natura. Un’arte, quella di Orfeo, che
sapeva svelare il mistero celato oltre la superficie delle cose, e che ha
originato una vera e propria religione a lui ispirata, il cosiddetto Orfismo.
Una voce così nitida e potente da risuonare con forza persino nelle profondità
dell’Oltretomba, dove Orfeo si era avventurato per amore…
Nato in Tracia, terra di confine tra la Grecia e l’oriente,
Orfeo fondeva in sé le qualità dello
sciamano, del filosofo e del sacerdote. La sua arte, esoterica e insieme
razionale, sapeva cogliere per via intuitiva i segreti più intimi della natura,
ma al tempo stesso dare ordine al caos attraverso la ragione. Una bivalenza,
quella di Orfeo, da cui nasceva il tono inconfondibile della sua voce, così
ispirata da assumere la forza di una profezia.
GENEALOGIA
DI ORFEO
Tutti gli autori antichi concordano nel ritenere Orfeo figlio
di Eagro, re della Tracia. Quest’ultimo aveva ereditato il trono dal padre
Carope, al quale era stato concesso dal dio Dioniso come ricompensa per averlo
salvato da un tentativo di assassinio. Più discussa l’identità della madre di
Orfeo, che in genere viene identificata con Calliope, la più alta in dignità
delle nove Muse, protettrice dell’epica e della poesia lirica. Altre fonti
attribuiscono invece la maternità di Orfeo a Polimnia, Musa dell’arte mimica o
della danza, e altri ancora a Menippe, figlia di Tamiri, mitico suonatore di
lira. Qualunque discendenza gli venga attribuita, Orfeo è comunque sempre
associato alla figura delle Muse (lo stesso Tamiri è talora considerato figlio
di una di esse, Melpomene), e ricondotto a un’area geografica, la Tracia, nota,
oltre che per i suoi legami con l’arte divinatoria, anche per la sua vicinanza
all’Olimpo (dove spesso Orfeo è raffigurato mentre suona). Secondo alcune
tradizioni mitologiche, il poeta tracio aveva anche un fratello, Lino, a sua
volta abilissimo musicista, e forse persino un figlio, Museo, nato però non dal
suo matrimonio con la ninfa Euridice, bensì da una relazione con Selene, la dea
della Luna.
VIAGGIO
AGLI INFERI
Secondo ma mitologia greca, Orfeo è il più grande musicista,
cantore e poeta dell’antichità, superiore persino a Omero, che alcuni ritengono
un suo discendente. Celebrato già in epoca antichissima, ha assunto tratti via
via più misteriosi, fino a trasformarsi in una sorta di figura sacerdotale,
quasi una divinità attorno alla quale si è sviluppata una teologia di tipo
iniziatico, l’Orfismo, che condizionò notevolmente la spiritualità del mondo
greco. Lo stesso Cristianesimo delle origini è stato influenzato dalla
religione orfica, come testimonia l’esistenza di raffigurazioni di Orfeo nell’iconografia
cristiana primitiva. Al di là della sua valenza spirituale, Orfeo è però
ricordato dai testi antichi soprattutto per il suo viaggio agli Inferi in cerca
della moglie Euridice. La vicenda, narrata tra gli altri anche dal poeta latino
Virgilio, inizia quando Euridice, ninfa dei boschi, viene morsa da una vipera
mentre cerca di sfuggire a un tentativo di stupro. La giovane muore, ma il
marito Orfeo, incapace di rassegnarsi alla sua perdita, scende negli Inferi a
cercarla, incantando con la sua musica i mostri che ne sorvegliano l’accesso.
Giunto infine dinnanzi ad Ade e Persefone, ottiene dai sovrani dell’Oltretomba
il permesso di riportare Euridice sulla Terra, a patto che non si volti a
guardarla fino all’uscita dall’Aldilà. La forza dell’amore, però, tradisce
Orfeo, che si gira per controllare che Euridice lo stia seguendo, e così la
perde definitivamente. Disperato, Orfeo cerca di tornare nel regno di Ade, ma
stavolta Caronte è inflessibile e gli nega l’accesso. Al poeta non resta perciò
che risalire sulla Terra, dove il rimpianto per la moglie perduta lo renderà
ostile verso l’intero genere femminile.
ROCCE IN
MOVIMENTO
Con le sue melodie, Orfeo poteva ammansire gli uomini e le
belve feroci, far piegare le chiome degli alberi e persino stregare le rocce e
gli oggetti, che si muovevano al suono della sua cetra.
LA CETRA
MAGICA
La cetra di Orfeo era in genere ritenuta un dono di Apollo,
che l’aveva ceduta all’eroe dopo averla ricevuta da Ermes. Altri autori
sostenevano invece che fosse stato lo stesso Orfeo a inventare quel magico
strumento, oppure che l’avesse modificato portandone le corde da sette a nove
(come il numero delle Muse).
FINE DEI
SUPPLIZI
Dalle corde di Orfeo scaturivano note così celestiali che,
quando egli scese agli Inferi per recuperare la moglie Euridice, la sua musica
non solo commosse Ade e Persefone, ma fece cessare per qualche istante persino
i supplizi con cui venivano puniti i dannati.
LE SIRENE
ZITTITE
Nelle Argonautiche
di Apollonio Rodio, Orfeo fa parte della schiera di eroi che, al seguito di
Giasone, salpa dalla Tessaglia alla ricerca del Vello d’oro. Dato il suo
modesto vigore fisico, egli resta però ai margini di scontri e combattimenti.
Durante la navigazione, il suo ruolo principale è quello di capovoga, ovvero di
colui che dà la cadenza ai rematori con la sua musica. In occasione di una
tempesta, inoltre, egli placa i flutti con il canto e, quando la nave Argo
approda in Samotracia, intercede per i suoi compagni presso i Cabiri,
misteriose divinità ctonie al cui culto è stato iniziato. La sua presenza di
rivela infine decisiva in occasione del passaggio degli Argonauti dinnanzi
all’isola delle Sirene: con il suo canto, infatti, egli riesce a superare in
dolcezza quello delle Sirene, impedendo ai suoi compagni di gettarsi in mare
per raggiungere quei famelici demoni marini.
IL PASTO
DELLE BACCANTI
La morte di Orfeo ha dato origine a diverse interpretazioni
mitologiche, tutte però concordi nell’attribuire alle donne tracie l’uccisione
del poeta. La più comune è quella prospettata dal drammaturgo greco Eschilo,
secondo il quale Orfeo, dopo aver perso definitivamente Euridice, vagò a lungo
sconsolato per i boschi, fino a che non incontrò un gruppo di Baccanti (dette
anche Menadi). Queste lo invitarono a partecipare a uno dei loro riti
orgiastici, ma poiché Orfeo, dopo la morte di Euridice, rifiutava ogni contatto
con le donne, le Baccanti, offese, lo fecero a pezzi e lo divorarono. Una
variante dello stesso mito attribuisce invece l’uccisione di Orfeo alla sua
predicazione a favore della sua omosessualità, ritenuta dalle donne tracie un
insulto alla loro femminilità. C’è poi una terza versione della leggenda,
secondo la quale Orfeo, al suo ritorno dagli Inferi, avrebbe fondato una
confraternita di iniziati, dedita a culti misterici ispirati alla sua
esperienza nell’Aldilà. Dalla setta erano però escluse le donne che, per
vendetta, tesero un agguato a Orfeo e compagni e li massacrarono. Dopo la
morte, le Muse raccolsero i pochi resti di Orfeo e li seppellirono a Libetra,
sulle pendici del monte Olimpo. La testa dell’eroe, invece, fu gettata dalle
Baccanti nel fiume Ebro, che la trasportò fino al mare da dove approdò sull’isola
di Lesbo. Qui gli abitanti le tributarono solenni onori funebri ed eressero una
grande tomba a ricordo del poeta, seppellendovi anche la sua cetra. Secondo una
curiosa leggenda, anche dopo essere stata sepolta la testa di Orfeo continuò a
cantare e profetare, fino a che Apollo, indispettito da quei vaticini che
allontanavano i fedeli dall’oracolo di Delfi, a lui consacrato, si recò a Lesbo
e le intimò di tacere.
UN
SIMBOLO SENZA TEMPO
La figura di Orfeo ha conosciuto grande fortuna nell’arte di
ogni epoca. Se nel V secolo d. C. Sant’Agostino ne fa il simbolo del
poeta-teologo, Severino Boezio, nel De
Consolatione Philosophiae interpreta il suo volgersi verso Euridice come un
emblema della sconfitta dell’anima legata alle passioni terrene. Nel Rinascimento,
il poeta Angelo Poliziano (Fabula di
Orfeo) utilizza il mito greco come spunto per una riflessione sul tema di
amore e morte. Invece Calderon de la Barca, ne Il Divino Orfeo, fa del cantore tracio una personificazione di Gesù
Cristo. La pittura celebra Orfeo con dipinti di numerosi artisti, tra cui Tiziano
e Rubens, mentre la musica lo omaggia con l’opera Orfeo ed Euridice di C. W. Gluck. L’arte moderna ha più volte
riletto il mito di Orfeo con i testi teatrali di Vinicius de Moraes e Jean
Anouilh, le poesie di Dario Campana e Rainer Maria Rilke, i racconti di
Gesualdo Bufalino e Cesare Pavese, i film di Jean Cocteau e Albert Camus.