lunedì 2 aprile 2012

SFINGE



Già solo a vederla metteva paura: un enorme corpo di leone con un volto femminile e due ali da rapace. Ma ancora più spaventosa era l’abitudine della Sfinge di sbranare i viandanti che non sapevano rispondere al suo indovinello. Un enigma appreso dalle Muse e all’apparenza irresolubile, con il quale terrorizzò Tebe fino al giorno in cui incontrò Edipo…
Assai diffusa in Egitto , dove costituiva un’immagine simbolica del faraone, la figura della Sfinge cambiò aspetto e connotati nel passaggio al mondo greco: da maschile, solare e benevola divenne femminile, tenebrosa e distruttrice. Un minaccioso incrocio tra umano e bestiale, in cui la forza dell’intelligenza era sovrastata dalla brutalità dell’istinto e dalla pulsione alla violenza.

GENEALOGIA DI SFINGE

Legata soprattutto alla leggenda di Edipo e al ciclo tebano, la Sfinge (il nome, in greco, significa “la Strangolatrice”) passava per essere figlia di Echidna, orrendo ibrido tra una donna e una vipera, e del cane a più teste Ortro. Tra i suoi fratelli vi erano dunque creature spaventose come il Leone di Nemea, ucciso da Eracle nella sua prima fatica, e Fice, feroce mostro di Beozia. E tra i suoi antenati più prossimi vi era il nonno Tifone, gigante alato alto fino al cielo e con vipere al posto delle gambe. Altre tradizioni mitologiche sostenevano invece che proprio Tifone fosse il padre della Sfinge, nata dall’unione del mostro con Echidna o, come sosteneva Euripide, con la figlia di quest’ultima Chimera. Una terza versione del mito, infine, si distanziava dalle precedenti perché attribuiva alla Sfinge un padre non mostruoso bensì umano. A generarla, nel corso di una relazione extraconiugale, sarebbe stato infatti Laio, re di Tebe, che poi l’avrebbe chiamata a Tebe e posta a guardia della città. Secondo questa genealogia, la Sfinge sarebbe stata quindi sorellastra di Edipo, l’eroe che, molti anni più tardi, l’avrebbe uccisa.

L’ENIGMA FATALE

La Sfinge comparve a Tebe durante il regno di Laio, pronipote del fondatore della città Cadmo e padre di Edipo, ripudiato dal sovrano subito dopo la nascita. A inviarla si diceva fosse stato Dioniso, il dio del vino, offeso con i tebani perché trascuravano il suo culto; ma altri, forse più credibilmente, attribuivano la comparsa del mostro alla collera di Era, indignata con Laio perché aveva rapito il piccolo Crisippo e lo aveva reso il suo amante. Accovacciata su una colonna alle porte della città (o, secondo altri, su una rupe del monte Ficio), la Sfinge teneva da anni in scacco Tebe, sottoponendo ogni viandante che vi transitava al suo terribile indovinello: “Quale essere, con una sola voce, ha dapprima quattro gambe, poi due, infine tre, ed è tanto più debole quante più ne ha?”. Chi non sapeva rispondere (e nessuno finora vi era riuscito) veniva strangolato e divorato sul posto. I Tebani erano disperati: ogni giorno si riunivano nella piazza principale della città per tentare di risolvere in comune l’enigma, ma senza risultato. Finché a Tebe non giunse Edipo, il figlio di Laio, che poco prima aveva ucciso il padre in una zuffa fuori città senza riconoscerlo. Edipo si recò dalla Sfinge e, senza esitazioni, rispose al suo quesito. “L’uomo”, disse, “perché va carponi da bambino, cammina sulle due gambe da adulto e si aiuta con un bastone in vecchiaia”. Disperato, il mostro alato si uccise gettandosi dalla colonna. Al che i Tebani, esultanti, acclamorono Edipo loro re ed egli sposò Giocasta, la moglie di Laio, ignaro che fosse sua madre. Secondo un’altra versione del mito, il quesito posto a Edipo dalla Sfinge sarebbe stato diverso: “Esistono due sorelle, delle quali una genera l’altra, che a sua volta genera la prima. Chi sono?” (la soluzione è il Giorno e la Notte). Inoltre la Sfinge, dopo la “vittoria” di Edipo, non si sarebbe “suicidata”, ma sarebbe stata uccisa dall’eroe con un colpo di lancia.


LE ORIGINI DEL MITO

Quando approdò nel mito classico, la figura della Sfinge aveva già una lunga storia alle spalle. Le sue origini vengono in genere collocate in Mesopotamia, circa 3000 anni prima di Cristo, dove spesso si trovano rappresentati demoni alati con la testa umana e il corpo di leone (per esempio nel palazzo imperiale di Susa, che risale però al 600 a.C.). Da lì, il mito della Sfinge si irradiò poi nei paesi vicini, fino al Mediterraneo, trovando declinazioni diverse a seconda delle popolazioni da cui veniva adottato. In particolare ebbe enorme fortuna in Egitto, dove pare che la Sfinge rappresentasse l’autorità del Faraone, oltre che una sorta di custode dei sepolcri. Non a caso, di fronte all’ingresso di molte piramidi, si trovano gigantesche riproduzioni del mostro in posizione distesa, con le zampe anteriori protese in avanti e lo sguardo perso nel vuoto, come a scrutare un orizzonte ultramondano. Il passaggio in area micenea segnò un’ulteriore evoluzione della Sfinge, che cambiò innanzitutto i suoi connotati fisici: se in Egitto era un leone (o cane) privo di ali e con la testa di uomo, nella versione greca divenne una leonessa con il corpo alato, ma il petto e il volto femminile. Si esasperarono inoltre i tratti più minacciosi del mostro, che perse ogni aspetto metafisico per diventare, in età arcaica, una belva spietata che rapisce e divora i bambini.
Nell’arte arcaica mesopotamica, così come successivamente  in quella egizia e greca, la Sfinge poteva avere talvolta il volto di uomo barbuto.
Persi i suoi attributi negativi, nella Grecia postclassica la Sfinge iniziò a essere considerata la messaggera della giustizia divina e una sorta di amuleto contro gli influssi malefici.
Le sfingi dell’antico Egitto avevano solitamente il busto eretto, lo sguardo rivolto verso oriente (forse in ossequio ai culti solari praticati nella regione del Nilo) e il viso che ritraeva quella di un Faraone.


UNA VITA DA COMPRIMARIA

Nella letteratura occidentale, la figura della Sfinge è stata spesso messa in ombra da quella di Edipo, immortalato dalla tragedia di Sofocle Edipo Re. Rari, e quasi tutti moderni, i testi in cui l’enigmatico mostro diventa protagonista: tra questi Edipo e la Sfinge, di Hugo von Hofmannsthal (1906), insolita riscrittura del mito alla luce delle teorie psicoanalitiche (che, con Carl Jung, vedono nella Sfinge l’archetipo della “Madre Terrificante”), e La macchina infernale di Jean Cocteau (1935), dramma teatrale in cui il mostro appare come una ingenua adolescente innamorata di Edipo. In campo pittorico, la Sfinge è stata più volte omaggiata dal francese Jean-Auguste-Dominique Ingres, a cui si è ispirato anche Francis Bacon per dipingere il suo Edipo e la Sfinge, olio su tela del 1983 dove i rapporti di forza tra l’eroe e la sua vittima paiono quasi capovolti.