Già solo
a vederla metteva paura: un enorme corpo di leone con un volto femminile e due
ali da rapace. Ma ancora più spaventosa era l’abitudine della Sfinge di
sbranare i viandanti che non sapevano rispondere al suo indovinello. Un enigma
appreso dalle Muse e all’apparenza irresolubile, con il quale terrorizzò Tebe
fino al giorno in cui incontrò Edipo…
Assai
diffusa in Egitto , dove costituiva un’immagine simbolica del faraone, la
figura della Sfinge cambiò aspetto e connotati nel passaggio al mondo greco: da
maschile, solare e benevola divenne femminile, tenebrosa e distruttrice. Un
minaccioso incrocio tra umano e bestiale, in cui la forza dell’intelligenza era
sovrastata dalla brutalità dell’istinto e dalla pulsione alla violenza.
GENEALOGIA DI SFINGE
Legata
soprattutto alla leggenda di Edipo e al ciclo tebano, la Sfinge (il nome, in
greco, significa “la Strangolatrice”) passava per essere figlia di Echidna,
orrendo ibrido tra una donna e una vipera, e del cane a più teste Ortro. Tra i
suoi fratelli vi erano dunque creature spaventose come il Leone di Nemea,
ucciso da Eracle nella sua prima fatica, e Fice, feroce mostro di Beozia. E tra
i suoi antenati più prossimi vi era il nonno Tifone, gigante alato alto fino al
cielo e con vipere al posto delle gambe. Altre tradizioni mitologiche
sostenevano invece che proprio Tifone fosse il padre della Sfinge, nata
dall’unione del mostro con Echidna o, come sosteneva Euripide, con la figlia di
quest’ultima Chimera. Una terza versione del mito, infine, si distanziava dalle
precedenti perché attribuiva alla Sfinge un padre non mostruoso bensì umano. A
generarla, nel corso di una relazione extraconiugale, sarebbe stato infatti
Laio, re di Tebe, che poi l’avrebbe chiamata a Tebe e posta a guardia della
città. Secondo questa genealogia, la Sfinge sarebbe stata quindi sorellastra di
Edipo, l’eroe che, molti anni più tardi, l’avrebbe uccisa.
L’ENIGMA FATALE
La
Sfinge comparve a Tebe durante il regno di Laio, pronipote del fondatore della
città Cadmo e padre di Edipo, ripudiato dal sovrano subito dopo la nascita. A
inviarla si diceva fosse stato Dioniso, il dio del vino, offeso con i tebani
perché trascuravano il suo culto; ma altri, forse più credibilmente,
attribuivano la comparsa del mostro alla collera di Era, indignata con Laio
perché aveva rapito il piccolo Crisippo e lo aveva reso il suo amante.
Accovacciata su una colonna alle porte della città (o, secondo altri, su una
rupe del monte Ficio), la Sfinge teneva da anni in scacco Tebe, sottoponendo
ogni viandante che vi transitava al suo terribile indovinello: “Quale essere,
con una sola voce, ha dapprima quattro gambe, poi due, infine tre, ed è tanto
più debole quante più ne ha?”. Chi non sapeva rispondere (e nessuno finora vi
era riuscito) veniva strangolato e divorato sul posto. I Tebani erano
disperati: ogni giorno si riunivano nella piazza principale della città per
tentare di risolvere in comune l’enigma, ma senza risultato. Finché a Tebe non
giunse Edipo, il figlio di Laio, che poco prima aveva ucciso il padre in una
zuffa fuori città senza riconoscerlo. Edipo si recò dalla Sfinge e, senza
esitazioni, rispose al suo quesito. “L’uomo”, disse, “perché va carponi da
bambino, cammina sulle due gambe da adulto e si aiuta con un bastone in
vecchiaia”. Disperato, il mostro alato si uccise gettandosi dalla colonna. Al
che i Tebani, esultanti, acclamorono Edipo loro re ed egli sposò Giocasta, la
moglie di Laio, ignaro che fosse sua madre. Secondo un’altra versione del mito,
il quesito posto a Edipo dalla Sfinge sarebbe stato diverso: “Esistono due
sorelle, delle quali una genera l’altra, che a sua volta genera la prima. Chi
sono?” (la soluzione è il Giorno e la Notte). Inoltre la Sfinge, dopo la
“vittoria” di Edipo, non si sarebbe “suicidata”, ma sarebbe stata uccisa
dall’eroe con un colpo di lancia.
LE ORIGINI DEL MITO
Quando
approdò nel mito classico, la figura della Sfinge aveva già una lunga storia
alle spalle. Le sue origini vengono in genere collocate in Mesopotamia, circa
3000 anni prima di Cristo, dove spesso si trovano rappresentati demoni alati
con la testa umana e il corpo di leone (per esempio nel palazzo imperiale di
Susa, che risale però al 600 a.C.). Da lì, il mito della Sfinge si irradiò poi
nei paesi vicini, fino al Mediterraneo, trovando declinazioni diverse a seconda
delle popolazioni da cui veniva adottato. In particolare ebbe enorme fortuna in
Egitto, dove pare che la Sfinge rappresentasse l’autorità del Faraone, oltre
che una sorta di custode dei sepolcri. Non a caso, di fronte all’ingresso di
molte piramidi, si trovano gigantesche riproduzioni del mostro in posizione
distesa, con le zampe anteriori protese in avanti e lo sguardo perso nel vuoto,
come a scrutare un orizzonte ultramondano. Il passaggio in area micenea segnò
un’ulteriore evoluzione della Sfinge, che cambiò innanzitutto i suoi connotati
fisici: se in Egitto era un leone (o cane) privo di ali e con la testa di uomo,
nella versione greca divenne una leonessa con il corpo alato, ma il petto e il
volto femminile. Si esasperarono inoltre i tratti più minacciosi del mostro,
che perse ogni aspetto metafisico per diventare, in età arcaica, una belva
spietata che rapisce e divora i bambini.
Nell’arte
arcaica mesopotamica, così come successivamente
in quella egizia e greca, la Sfinge poteva avere talvolta il volto di
uomo barbuto.
Persi i
suoi attributi negativi, nella Grecia postclassica la Sfinge iniziò a essere
considerata la messaggera della giustizia divina e una sorta di amuleto contro
gli influssi malefici.
Le
sfingi dell’antico Egitto avevano solitamente il busto eretto, lo sguardo
rivolto verso oriente (forse in ossequio ai culti solari praticati nella
regione del Nilo) e il viso che ritraeva quella di un Faraone.
UNA VITA DA COMPRIMARIA
Nella
letteratura occidentale, la figura della Sfinge è stata spesso messa in ombra
da quella di Edipo, immortalato dalla tragedia di Sofocle Edipo Re. Rari, e quasi tutti moderni, i testi in cui l’enigmatico
mostro diventa protagonista: tra questi Edipo
e la Sfinge, di Hugo von Hofmannsthal (1906), insolita riscrittura del mito
alla luce delle teorie psicoanalitiche (che, con Carl Jung, vedono nella Sfinge
l’archetipo della “Madre Terrificante”), e La
macchina infernale di Jean Cocteau (1935), dramma teatrale in cui il mostro
appare come una ingenua adolescente innamorata di Edipo. In campo pittorico, la
Sfinge è stata più volte omaggiata dal francese Jean-Auguste-Dominique Ingres,
a cui si è ispirato anche Francis Bacon per dipingere il suo Edipo e la Sfinge, olio su tela del 1983
dove i rapporti di forza tra l’eroe e la sua vittima paiono quasi capovolti.